Quest’anno il Women’s Prize for Fiction, rinomato premio letterario inglese, è stato assegnato alla scrittrice e docente olandese Yael van der Wouden per il suo romanzo d’esordio Estranea, finalista anche al Booker Prize 2024, pubblicato da Garzanti con la traduzione di Roberta Scarabelli. La scrittura intima e fluida di Yael ci conduce nella campagna olandese, in una grande casa circondata da un silenzio spezzato solo dal palpitare di un’abitazione, solerte spettatrice delle vite che, come nodi, si sono intrecciate e sciolte sotto il suo tetto, custode delle ombre che l’hanno popolata. È il 1961 e in quella casa ora ci vive solo Isabel.
Mentre la madre è costretta a rimanere sotto il cielo burrascoso di Amsterdam, nell’inverno del 1944 Isabel e i suoi fratelli trovano rifugio a Zwolle, nell’entroterra olandese, in una nuova casa scovata dallo zio. Laddove una grave carestia minacciava la parte occidentale dei Paesi Bassi, la guerra dilaniava l’Europa, dividendo e massacrando intere famiglie e le loro esistenze. Per Isabel e la sua famiglia una nuova quotidianità prende forma in quella grande abitazione circondata dalla campagna olandese, fino al momento in cui la placidità dell’adolescenza finisce e lentamente quella grande casa si svuota come un’infanzia abbandonata.
Isabel plasma la solitudine in cui si trova in un’esistenza salvifica. Vive nella semplicità, circondata dagli oggetti che hanno scandito gli anni della sua giovinezza, portandola a prendersene cura in modo maniacale: un modo per controllare il ritmo del mondo e preservare il ricordo di chi non c’è più. Può un’abitazione diventare un confine che tracciamo attorno alla nostra vita, dove releghiamo chi siamo veramente, con le nostre fragilità e le nostre ossessioni? Una casa, tuttavia, non custodisce solo la nostra storia individuale: una casa è anche, e soprattutto, un luogo, influenzato e parte integrante delle maree della Storia collettiva. Reclama a sé chi se n’è andato, perduto in un esodo senza ritorno: così, un giorno, un’estranea risponde al richiamo.
Eva è la ragazza di Louis, fratello di Isabel; costretto ad andare lontano per lavoro, Louis lascia Eva in compagnia di Isabel per diverse settimane nella casa in cui è cresciuto, evocando la compagnia della sorella e le ampie superfici in cui l’improbabile convivenza può sussistere. Isabel vede il suo perimetro vitale calpestato da una ragazza che non riesce ad apprezzare e che vede appropriarsi non solo dei suoi spazi, ma anche degli oggetti che popolano la casa, rendendo quell’intrusione nella sua vita un furto di ciò che è più prezioso.
Lentamente, però, la casa si fa spettatrice di come le liti, il disprezzo e l’intolleranza iniziale scivolino, quasi impercettibilmente, in qualcos’altro. Innescata da un bacio furtivo e brioso, l’ostilità muta in una forte passione carnale: una comunione di anime affini che trovano una casa l’una nell’altra per la propria fragilità, per il proprio dolore, per il proprio passato. La casa, però, ricorda. Ricorda una famiglia ebrea strappata al suo calore e riparo, mai più restituita. Ricorda l’arrivo di una nuova famiglia, che è guarita dal terrore delle bombe proprio tra le sue mura. E rimembra anche quando la famiglia ebrea è tornata, dilaniata, dalla guerra, ma è rimasta sulla sua soglia, incapace di riprendere possesso di quello che è stato suo.
Dove risiede, quindi, la verità, la vera appartenenza? Dove trova collocazione quell’amore proibito nel grande puzzle della Storia e nei microcosmi delle vite di Isabel ed Eva, quando il vento soffia forte contro di loro? Con Estranea van der Wouden compone una storia intima e seducente di passione, amore, ossessione e riscatto; di silenzio nella notte e di una calda luce che filtra da una stanza della casa: soffusa, furtiva e poi così abbagliante da illuminare ogni cosa.