Roghi di libri (versione grafica)

Tim Hamilton e Ray Bradbury, Fahrenheit 451, tr. Adalidia Lussonzer, Mondadori, pp. 146, €20 stampa €3,70 ebook

Recensisce DAVIDE CARNEVALE

La riscrittura a fumetti di un classico della letteratura come Fahrenheit 451 è sempre un’operazione delicata, che comporta per lo meno due rischi: il primo è quello di realizzare una riduzione lacunosa e insoddisfacente, troppo distante dall’opera originale per riuscire a restituirne lo spirito in un altro linguaggio; il secondo, di segno opposto, è rappresentato dalla tentazione di trasporre il testo di partenza in maniera eccessivamente “verbosa”, di seguirne cioè troppo fedelmente i binari senza tenere conto delle specificità del medium di arrivo, una non sempre perfetta commistione di parole e immagini. Da una parte si scontentano i cultori del libro, dall’altra, e a ragione, gli appassionati di fumetti.

Per loro e nostra fortuna Tim Hamilton (già autore, tra le altre cose, di un ottimo adattamento de L’isola del tesoro di Stevenson) ha dato ampiamente prova di saper evitare entrambi i pericoli con la pubblicazione nel 2010 di questa sua versione della celebre distopia di Ray Bradbury, con cui Mondadori è andata ad arricchire nelle ultime settimane il già corposo catalogo della collana Oscar Ink. Ora, con quasi un decennio di ritardo (ma meglio tardi che mai), anche i lettori italiani potranno di godere dello splendido lavoro dell’illustratore americano.

Legittimato dallo stesso Bradbury, che ne firma anche l’interessante introduzione, il graphic novel si presenta infatti sin dalle prime pagine come un’efficace traduzione del romanzo, riproposto dal disegno, vignetta dopo vignetta, anche nei suoi passaggi più “letterari”. Hamilton riesce in quest’operazione senza venire mai a compromessi con quello che dovrebbe essere il primo proposito di ogni fumetto, ossia raccontare per immagini. In questo si dimostra un indiscutibile maestro, grazie anche al suo stile minimale ed evocativo, capace di delineare con pochissimi tratti tanto gli ambienti suburbani della provincia americana, le sue strade debolmente illuminate dai lampioni al neon e dai lontani falò di libri che i pompieri come Montag, il protagonista, appiccano ogni notte in nome del mantenimento di un rassicurante stato di ignoranza, quanto gli squallidi interni delle abitazioni dove tristi figure impasticcate passano le loro esistenze all’interno delle martellanti telenovelas trasmesse senza sosta da ogni parete. Con pochi segni la matita dell’artista restituisce le vivide emozioni che passano sul volto di personaggi per cui è facile provare una forte empatia, riuscendo così a mostrarne i più intimi pensieri senza ricorrere all’aiuto di didascalie e dialoghi ridondanti.

Ma quella ricreata da Hamilton è soprattutto una distopia cromatica, un viaggio da incubo scandito dal colore, dalle tonalità uniformi e alienanti che invadono ogni spazio della tavola, cancellando dettagli e contorni di una realtà allucinante e allo stesso tempo vagamente familiare (e per questo ancor più spaventosa), nella quale il primo bisogno è quello di perdere consapevolezza della propria condizione. Il merito più grande del graphic novel è, allora, proprio quello di riportarci (o portarci per la prima volta) nel malinconico e brutale futuro immaginato da Bradbury, di farci nuovamente riflettere (o riflettere per la prima volta) sulle straordinarie e terribili intuizioni di una visione mai tanto attuale, che continua a ricordarci da sessant’anni a questa parte che il salto nel precipizio potrebbe non venire imposto con la forza, ma essere liberamente cercato.

Un’ultima osservazione: nei tratti appena accennati dei personaggi, nei loro profili incerti, mi è parso di intravedere più di una volta i lineamenti bonari, da romantico bibliotecario, dello stesso Bradbury, di cui sentiamo da sei anni, ormai, un’immensa mancanza. Fino a che punto, però, si possa parlare di un preciso omaggio del disegnatore al grande scrittore americano o di semplice suggestione non saprei dirlo…

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