Abitanti minuscoli di un grande mondo

Jean-Henri Fabre, Ricordi di un entomologo. Volume primo, trad. Laura Frausin Guarino, Adelphi, pp. 679, euro 38,00 stampa, euro 12,99 epub

Sarà che, forse, tra uomini e insetti, la distanza sul piano etico, esistenziale e metafisico – se non proprio su quello biologico evolutivo – è assai minore di quanto si ami pensare, ma tra letteratura ed entomologia le relazioni sono sempre state strette e feconde. Si contano davvero a decine gli scienziati-scrittori e gli scrittori-scienziati che hanno condiviso le passioni di Jean-Henri Fabre (1823-1915), autore del classico Ricordi di un entomologo, monumentale monografia enciclopedica o enciclopedia monografica pubblicata in originale in dieci volumi, il primo dei quali è stato appena pubblicato da Adelphi.

Citando a casaccio fra loro ricordiamo l’austriaco Karl Von Frisch, che ricevette il premio Nobel per avere compreso il linguaggio delle api, basato sulla danza; Edward O. Wilson, che dedicò la sua vita allo studio delle formiche, rilevando come questi imenotteri gregari abbiano, molto prima dei mammiferi bipedi presuntamente (e presuntuosamente) sapiens, praticato l’agricoltura (coltivano funghi), l’allevamento (mungono gli afidi) e la tessitura (cuciono foglie). Poi ovviamente i più noti: il poeta belga Maurice Maeterlinck, che dette alle stampe anche libri dedicati ad api, formiche e termiti, vedendo nelle loro società un’immagine della nostra; il nostro grande Guido Gozzano con la sua raccolta Farfalle. Epistole entomologiche, e nel 1911 addirittura collaboratore di un documentario su La vita delle farfalle; Vladimir Nabokov che condivideva la stessa passione per i lepidotteri, dilettandosi a classificare i Licenidi; e lo scrittore ed eroe di guerra tedesco Ernst Jünger, che soprattutto nel libro Cacce sottili raccontò la sua dedizione ai coleotteri.

Fabre, che fu letto e apprezzato da Charles Darwin, ma non ricambiò la stima rifiutando la teoria dell’evoluzione darwiniana, ebbe però, se non il dono dell’obiettività assoluta, quello dell’affabulazione: riuscì a rendere appassionanti e quasi avventurose vicende, costumi e abitudini degli insetti che descriveva. Lo prese a maestro letterario, ancor più che scientifico, un altro grande naturalista affabulatore, Gerald Durrell, che non a caso ha firmato l’accorata prefazione al volume in cui definisce lo studioso francese “il migliore amico” della sua infanzia, scrittore “dal linguaggio semplice ma poetico”, il cui maggior pregio è stato quello di averci saputo condurre fuori delle mura dei musei, in mezzo alle campagne di Provenza, cercando, e spesso trovando, “la risposta alla domanda perché.

Docente di fisica nello stesso liceo di Avignone dove Stéphan Mallarmé insegnava inglese, amico personale di John Stuart Mill, strenuo paladino della causa femminista (l’aspra polemica col clero gli costò la cattedra nel 1871), questo autore di testi scientifici che si leggono come romanzi e che Victor Hugo definì “l’Omero degli insetti”, non ha mai goduto – forse perché marginale rispetto al ciclo di studi classici, e in larga misura autodidatta – di grande riconoscimento nel paese nativo dove è oggi quasi dimenticato mentre curiosamente è uno degli scrittori francesi più conosciuti in Giappone. In realtà oltre che di specie animali, Fabre è un dettagliato descrittore di paesaggi francesi, dal litorale lungo il delta del Rodano, fino ai crinali del Mont Ventoux, lo stesso asceso da Francesco Petrarca nel 1336.

Il genius loci abita profondamente le sue pagine e conduce lo studioso e la spesso allegra brigata che lo accompagna (Fabre non è un cercatore solitario e ama la compagnia e la condivisione delle proprie osservazioni) attraverso le movimentate escursioni faunistiche alla scoperta di un piccolo mondo di meraviglie. Dallo Scarabeo stercorario, le cui strenue lotte fra esemplari rivali per il possesso della maleodorante pallottola, fanno citare argutamente a Fabre le teorie sulla proprietà di Proudhon; alla Cerceris tubercolata, sapiente imenottero cacciatore e killer, il cui pungiglione dosa il veleno da somministrare nel centro nervoso della preda per mantenerla paralizzata ma viva come cibo per le sue larve; dalle formiche rosse ai complicati ditteri, alle ipermetamorfosi dei Sitaris e delle Meloe, fino alle tecniche di caccia e di combattimento della tarantola dal ventre nero e di altri aracnidi considerati pericolosi come la Malmignatta corsa o il Theridion lugubre dell’avignonese, scopriamo i minuscoli protagonisti di una realtà ignorata della quale ci vengono dischiuse le porte: un mondo affascinante da contemplare con uno sguardo capace di conservare insieme sia il rigore dell’analisi scientifica che il sapore incantato dello stupore infantile.