Alberto Arbasino / “Fratelli d’Italia” 1963-2025

La notizia è questa: Giovanni Agosti, storico dell’arte, si è accollato l’impresa di curare la riedizione di Fratelli d’Italia nella versione originale del 1963. La meno stratificata, “meno monumentale, meno malinconica, e più diretta” delle successive.

© Dino Ignani, Alberto Arbasino alla libreria Feltrinelli 18 novembre 2013

Natalia Aspesi scrive che Arbasino era lì, alla Feltrinelli di via Manzoni, già famoso e adorato con stili diversi da donne che avevano avuto fra le mani, più o meno svogliatamente, la prima versione di Fratelli d’Italia. E chissà quante di esse, in realtà, s’erano infastidite nel riconoscersi dentro a quel libro. Ma meglio non dirlo, era il 1963 e il jet set aveva le sue regole, da seguire o tradire per agghindare – a seconda dell’umore e della scena – conformismo e anticonformismo.

Fama che per gli adepti in giro per l’Italia tardo-novecentesca tenevano nella tasca del blazer o nei sorrisi furbetti come fosse un dono da imitare, ahimé, sognando reportage ben remunerati. Arbasino era l’inviato principe del Paese analogico, uno dei pochi a cui premeva lo sdoganamento provinciale della cultura e del gusto. Lo leggevano capendo un terzo, quando andava bene, di quanto scritto – ma la presunzione era ben appiccicata ai loro petti vogliosi di donne colte e intraprendenti. Ma per Arbasino questa piccola folla si confondeva fra “ragazzini pensierosi” e “fanciulline scatenate”. In fondo ben prima di Fratelli d’Italia era uscito Piccole vacanze voluto da Calvino (di lui diceva: “ha già ventisette anni, non si può mettere in una collana di debuttanti”) nei “Coralli” einaudiani: l’estate del ’57 iniziava a divertirsi al suono degli scappamenti di Vespe e Lambrette, Fiat 500, Giulietta spider (rare) mentre Miss Italia è una veronese biondina e sorridente.

La notizia è questa: Giovanni Agosti, storico dell’arte, si è accollato l’impresa di curare la riedizione di Fratelli d’Italia nella versione originale del 1963. La meno stratificata, “meno monumentale, meno malinconica, e più diretta” delle successive, che sono per chi ancora non lo sapesse quelle del 1967, sempre Feltrinelli, del 1976 con Einaudi, e l’ultima del 1993 con Adelphi (smisurata nelle sue 1371 pagine rispetto alle 532 iniziali) interamente riscritta. Questo sfrenato “viaggio in Italia” degli anni Sessanta si presenta ora, nella sua veste color lime (nuance simile all’originale, della serie “I Narratori”, occultata dalla sovraccoperta con su presente il famoso ritratto fotografico di Giulia Niccolai), corredato di un apparato di note e una lunga postfazione.

Ora ci si trova davanti al romanzo a cui Arbasino lavorò intorno ai suoi trent’anni, proponendosi un novel contemporaneo, finalmente distante dallo stile proustiano di cui tutti erano abbastanza stufi. L’uso di un linguaggio moderno e impertinente, il misto di racconto e saggismo suscitarono, dopo l’uscita nel 1963, non poche reazioni negative, e stroncature scatenate, da parte di coloro che si sentirono presi di mira. L’establishment mondano e intellettuale non si fece attendere, dunque, come i più accorti avevano già prefigurato. E si scatenò il gossip, come un gioco che prevedeva cadute d’amicizie e molto altro. Occorre ricordare però che Pasolini, nella sua eroica posizione controcorrente, definì Fratelli d’Italia “uno dei più bei libri del secondo Novecento”. Mentre Giuliano Gramigna, Angelo Guglielmi e Pietro Bianchi non fecero mancare il loro appoggio critico su “Settimo Giorno”, “il Verri” e “Il Giorno”. La rottura con Bassani, invece, fu definitiva (“Arbasino è soltanto un uomo di mondo che sa scrivere”).

Importante, per comprendere il contesto, è leggere le pagine che Agosti dedica alla genesi del testo arbasiniano, seguendo la cronologia e tutte le gallerie e i cunicoli della miniera dello scrittore lombardo (“lombardissimo”). Impresa ardua, evidentemente, e non solo per l’abbondanza di personaggi e “scene di massa” presenti nel romanzo. Senza contare del retroterra sotterraneo precedente la pubblicazione, coinvolgente Bassani e Moravia (con probabili altri) fra le pareti redazionali di Feltrinelli, che considerano Arbasino “out”. Ma il polverone successivo fu perfino maggiore. Oggi le definizioni negativissime date all’opera, e raccolte rapidamente da Agosti nel suo scritto, fanno anche sorridere: un florilegio di accozzaglie alessandrine, rancorose e di cattivo gusto.

Agosti elegge Fratelli d’Italia, al netto della Recherche, come suo libro della vita, e si vede con quanta meticolosa attenzione, ma priva di orpelli digressivi, descrive nella sua postfazione la genesi di questa originaria edizione del romanzo, prima che giungessero (in pratica fino alla vecchiaia dello scrittore) “riscritture, ritocchi, restauri e manutenzioni” che portarono il testo alla mole mastodontica dell’edizione Adelphi. Giorgio Manganelli scova nell’autore lombardo un’intensa fede registica poiché i suoi libri sono composti di trame rilasciate come serie naturalistiche di eventi, forme abbondantissime posate sulla pagina bidimensionale che rappresenta per Arbasino il vero ideale.

Il congegno letterario adottato da Arbasino nel corso della sua vita è lui stesso a esplicarlo in quell’altro romanzo laterale che ci ha regalato in occasione dell’uscita dei due “Meridiani” (2009, 2010) a lui dedicati dalla collana mondadoriana: la Cronologia scritta con Raffaele Manica (curatore dell’edizione) dove per la prima volta lo scrittore decide di – “in vista di una probabile terza guerra mondiale” – mettere a posto certi ricordi molesti, smancerie e una “massa di sciocchezze insignificanti”. Una specie di autocronologia intessuta di nuovi testi. Qui la poetica di Arbasino trova un’ulteriore funzione.

A cinque anni dalla scomparsa (era nato il 22 gennaio 1930), oltre alla pubblicazione di Fratelli d’Italia nella prima edizione, è uscito il documentario Stile Alberto, diretto da Michele Masneri e Antongiulio Panizzi, tratto dal libro omonimo di Masneri edito da Quodlibet. Presentato alla Festa del cinema di Roma e andato in onda il 28 ottobre su Rai 3.

Grazie a Dino Ignani, fotografo, per aver concesso la pubblicazione dell’istantanea di Arbasino tratta dal suo archivio personale.