Alessandro Piperno / Come non mollare l’osso

Alessandro Piperno, Ogni maledetta mattina. Cinque lezioni sul vizio di scrivere, Mondadori, pp. 183, euro 19,50 stampa, euro 10,99 epub

Se è vero che – dice Flaubert – i libri “non si fanno come i bambini, ma come le piramidi”, e non abbiamo motivo per sostenere il contrario, la disciplina che Alessandro Piperno diffonde con agile destrezza nei suoi scritti riguardanti le testimonianze classiche della letteratura, europea e americana, mette in buono stato le nostre esigenze di lettori. Disciplina che non si esime dal farsi contagiare da una certa sprezzatura, sorniona e spesso sorridente: c’è premura nell’avvicinarsi a Proust e Kafka, alla loro massiccia ispirazione, senza disdegnare ciò che Hemingway suggeriva ai giovani di belle speranze, di non oltrepassare quell’attimo in cui la voglia di scrivere cede le armi. Il nutrimento “critico” in questo nuovo libro non sottrae l’autore a quanto da sempre – fin dall’esordio avvenuto con il romanzo Con le peggiori intenzioni – a lui interessa: passeggiare come “libero lettore” nei vasti campi dove piacere e inferno si contendono lo spazio. Una logica ferrea e una memoria “ecologica” lo conducono dove le categorie letterarie s’incrociano dando il meglio di sé. Dove Philip Roth e Woody Allen conversano amabilmente (con risolto contegno) non senza inchiodarci alla profonda solitudine (per dire: una manganelliana palude definitiva) di chi usa la scrittura per mostrarcela senza mezzi termini.

Il richiamo al dovere che sente ogni scrittore (memore di un Philip Larkin a tal proposito certamente ironico) ogni santa mattina di azionare quel meccanismo che lo pone davanti al foglio di carta o allo schermo di un computer si traduce in un “provaci ancora” agonistico che assomiglia moltissimo a un vizio, e anche a un perpetuarsi genetico permettendo alle cellule d’estenuarsi di vita. Fosse solo mestiere, dice Piperno, dovremmo accontentarci di risposte pompose e stupide, di fronte all’insensata richiesta di spiegazioni sul perché si scrive e se si ami farlo. La letteratura agisce attraverso millenari rapimenti, al seguito di vizi e virtù che dividono lo stesso letto. Cosa mette in valigia il Piperno viaggiatore? Computer e pipa prima di tutto il resto. Le domande che si pone (e pone) in queste “lezioni” d’epoca post-Calviniana (le Six Memos for the Next Millenium vengono pubblicate nel 1988) sono molteplici, non da meno inrerpretano le speranze che capitolo dopo capitolo inondano la realtà sua e nostra. Prima per importanza, la speranza di diventare intelligenti. E di riuscire a mettere la parola “fine” in coda a un libro, tanto più se lo scrittore passa il suo tempo a decifrare i labirinti della Recherche. Per la cronaca (e lo si prenda come avvertimento): il trionfo dura poco.

Le mattine, qui riunite, sono abitate – letteralmente – dagli dèi in terra della letteratura che ambiziosi secoli ci hanno tramandato e posizionato nelle nostre incontinenti menti postmoderne e pre-IA (qualunque cosa voglia dire). Virginia Woolf è in odore di vanità, ragiona per niente timido Piperno, le metafore sono bandite in quasi tutto il libro, e John Cheever mostra il suo timore d’essere considerato scrittore “trascurabile” – chissà quanti in fondo lo hanno pensato a valle del Nuotatore. Ma poi irrompe Baudelaire che ammira Balzac, e dunque la gloria finanziata da personaggi somiglianti oltremodo ai loro autori s’espande per ogni dove. Ecco che nel nucleo di queste Cinque lezioni ritroviamo pane per gli inesperti, elogi di un canone che sa di buon proverbio, sapore di una stagionatura andata a buon fine. Piperno si guarda bene dal tralasciare coloro che molti abbandonerebbero alla palude, Céline e Bernhard sono tenuti a bada con eleganza, perché in fondo è vero che in letteratura esistono zone franche dove onestamente qualcuno può vendicare gli oltraggi. E pure le assoluzioni. Salinger si sottrae al consesso civile, forse Piperno ha occhio più riguardoso per il povero Capote “irrancidito” che si lancia senza mutande standard nella fiera rombante dei tycoon e delle ereditiere.

Ma poi è vero che Piperno si rivolge sempre a tutti, smaliziati e non, perché volontariamente si rivolge in molte pagine concentrate a quel duo da considerarsi “di diverse spanne superiori a chiunque altro”: Franz Kafka e Marcel Proust. Gran elogio della differenza, si può dire, venuta alla luce per entrambi solo dopo la morte. Non avventure, ma confessioni a latere attraverso lettere, diari, riflessioni (e pettegolezzi) altrui. Nessuna naturalezza, avverte Piperno, nel loro scrivere, ma “sforzi poderosi” e vite che sembrano assomigliare a quel genere di animali che preferiscono di gran lunga l’ombra e la solitudine trovata nelle tenebre. Lo scrittore Piperno ha messo a punto un itinerario tale da considerare il lettore come colui che non aspetta altro che fronteggiare la sperimentazione tirata fuori dal baule magico della conoscenza. Nella sospensione di Marcel, negli incisi di Franz c’è molto di più di quanto lo stile li divida. Infine: Ambizione. Odio. Responsabilità. Piacere. Conoscenza. Cos’altro esiste di matto al di fuori del paniere della realtà?

Intervista a Alessandro Piperno (novembre 2021)