In occasione dell’uscita della nuova raccolta di racconti Undici dello scrittore Andrej Longo, Sellerio ripubblica Dieci, raccolta edita nel 2007 da Adelphi. Il tempo non ha alterato o intaccato la contemporaneità di questi racconti, i cui temi centrali, suggestivi, identitari per l’autore, possiedono la potenza idonea e necessaria per raccontare Napoli e la sua gente. Per chi apprezza Longo è una collezione imprescindibile, per chi non lo conoscesse un’opportunità da cogliere per entrare nella sua narrativa.
Dieci è una raccolta di dieci racconti e i titoli sono i noti comandamenti consegnati da Dio a Mosè: è singolare come il significato del comandamento sia riscontrabile o meno all’interno della trama del racconto, di certo come metafora, ma in alcuni casi con un messaggio più sottile, interpretabile, meno diretto e quindi estremamente interessante. La particolarità di Longo è proprio questa, mostrare scene di vita, mettere in cruda evidenza gli istinti primordiali umani: la violenza, la cupidigia, la falsità, l’ipocrisia, ma anche l’amore, l’onore e l’orgoglio; esponendoli, non descrivendoli, applicando il vero show don’t tell della grande letteratura del Novecento americana. Niente spiegazioni, la narrazione parla, le azioni di ogni personaggio rendono Napoli una città vivida, il più delle volte incomprensibile. In questa serie di racconti le immagini diventano frustate emotive e Longo usa saggiamente la rigidità morale delle tavole di Dio consegnate sul Monte Sinai per enfatizzare la caoticità complessa della città partenopea.
In questi racconti gravitano storie legate al tradimento, all’abbandono, allo sfruttamento, al degrado, alla sopravvivenza. Incontriamo un figlio con la madre morente, determinato a prendere una decisione irrimediabile, un soldato ritornato nella sua Napoli che stenta a riconoscere, una moglie che vive un giorno alla settimana per un marito assente, una ragazza con un segreto da nascondere, una sposa nel giorno del matrimonio che si rifiuta di diventare la moglie di un uomo che non ama, un cantautore strozzato dal suo successo comprato; diverse trame, per differenti temi, tutte narrazioni trascinanti.
Per chi non conoscesse l’autore, la sua prosa ha una cadenza napoletana, comprensibile e musicale, nei dialoghi invece il dialetto più stretto subentra per dare enfasi e rendere ancora più concrete le azioni dei personaggi, restando comunque, per chi non avesse familiarità, accessibile. La forma colloquiale e il parlato dialettale se non gestiti, rischiano di impoverire la cifra stilistica, ma con Longo tutto ciò non accade, la sua prosa appare sempre elegante, pulita e accattivante. Spero che il parallelismo non disturbi lo scrittore, ma in alcuni punti le ambientazioni ricordano quella cupezza descritta da Ermanno Rea in Napoli Ferrovia. Nelle pagine di Longo, in ogni suo romanzo, vi è una crasi di sentimentalismo e non-sentimentalismo, una medaglia lanciata in aria che atterra, mostrandoti una volta Napoli, l’altra la sua gente, i grandi misteri di questa città, la sua mutevolezza allo stesso tempo incastrata nella sua immutabilità.