Annie Ernaux / “Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere”

Annie Ernaux, Il ragazzo, tr. Lorenzo Flabbi, L’Orma, pp. 64, euro 8,00 stampa

L’inizio del secondo capoverso è folgorante e profondamente femminista. “Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere.” Come se la soddisfazione del piacere, il rappacificamento derivato dal desiderio placato, liberassero la creatività e solo allora, nella fatica del dopo, fosse perseguibile il vero obiettivo. “Speravo che la fine dell’attesa di godere, mi facesse provare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro.” È proprio per questo, per iniziare a scrivere un romanzo, che la narratrice, una donna di cinquantaquattro anni, invita a casa sua A., uno studente di quasi trent’anni più giovane. Per mesi trascorrono insieme tutti i fine settimana nell’appartamento di lui, a Rouen, la città dove lei era stata studentessa negli anni Sessanta. Nell’umidità delle stanze dai soffitti alti, impossibili da riscaldare, nelle piastre elettriche dove non si può regolare la temperatura, nel materasso steso sul pavimento, lei ritrova la precarietà di tanti anni prima. Il ragazzo acquista solo cibi a basso costo, entra nei bar di soppiatto per fare pipì senza pagare, non ha mai votato, non ha spirito politico, non pensa che si possa cambiare la società. Eppure le ricorda il suo primo mondo, i gesti dimenticati; è una incarnazione e una replica del passato. In cambio del piacere ricevuto, lo inizia al teatro, alla letteratura e a certe abitudini borghesi, gli regala dei viaggi. Sa di esercitare una forma di crudeltà e di potere. Risponde negativamente a ogni ipotesi di progetto (un figlio insieme) perché solo il presente vale, in quanto replay di quello che è già accaduto: “la principale ragione per cui volevo continuare quella storia era che, in un certo senso, aveva già avuto luogo, che ne ero il personaggio fittizio”. Quando lo vede con l’accappatoio indossato in passato da altri uomini non ripensa agli amanti di un tempo ma soltanto alla “dolcezza della mia stessa durata e dell’identità del mio desiderio”; l’accappatoio riusato è nutrimento e addensamento del suo tempo.

Già consapevoli della perdita e della rottura, i due amanti evocano nell’immaginazione un futuro diverso (lui che probabilmente si sposerà). Eppure nella passione e nella gelosia (il ragazzo la accusa di ricevere un altro uomo perché nel bagno trova la tavoletta del water sollevata) il corpo della donna non ha età e trasgredisce il ruolo che gli spetterebbe, in quanto corpo di donna cinquantenne, nella realtà del mercato sessuale. Quando sono in spiaggia insieme, gli altri pensano che sia sua madre e la osservano quasi come colpevolizzandola di incesto. Lei non nasconde la relazione, sapendo che al tavolo di un ristorante un qualsiasi cinquantenne si può presentare con una ragazza che pare la figlia senza suscitare la minima riprovazione. Ha imparato, come gli uomini sanno da tempo, che non vuole trovarsi davanti il volto di un uomo della sua età, che sarebbe il segno del suo stesso invecchiamento, e che la profondità del tempo che li separa (cercare la realtà della persona di un’altra età, che sempre sfugge) rende più intenso il presente condiviso. Il ruolo del ragazzo come “scoperchiatore del tempo” di lei coincide con la fine della scrittura del libro.

Il ragazzo di Annie Ernaux, fresca vincitrice del premio Nobel, è un libretto agile completato dai testi di tre conferenze tenute dall’autrice tra il 2012 e il 2016, sui temi della libertà femminile e del rapporto tra scrittura e memoria (lei che dell’autobiografia ha fatto un uso personalissimo, sfociato nel capolavoro del 2008, Gli anni, legando la memoria di sé a quella del mondo, l’intimo singolare alla storia collettiva). Il tema del racconto, pubblicato in Francia nell’anno appena trascorso, è quello delle relazioni sentimentali caratterizzate da una notevole sfasatura di tempo, un soggetto poco frequentato dalla letteratura, dal cinema (ci sono eccezioni, da Il laureato al più recente The reader) e dalla saggistica. Nella finzione le grandi storie d’amore non sono quasi mai contraddistinte da una grande differenza di età tra i partner; tutt’al più, sono raccontate le storie con sfasature estetiche (la “Bella e la Bestia” – il “Bello e la Bestia” non tanto) mentre quelle temporali ricorrono poco così come parimenti poco trattato è il tema della sessualità nelle persone di mezza età o anziane, in particolare nelle donne.

A raccontare queste situazioni, sono state quasi sempre delle scrittrici. Da Colette (Chéri, 1920) a Doris Lessing in diversi suoi romanzi, come Le nonne (Feltrinelli 2004), dove due amiche si innamorano ciascuna del figlio adolescente dell’altra, da cui è stato tratto il film Two mothers, del 2013, regista Anne Fontaine, e Amare, ancora (Feltrinelli 1996), dove la produttrice teatrale Sarah Durham si innamora di due uomini più giovani. Ma vengono in mente anche storie reali, intersecate con la letteratura: come quella tra Lalla Romano e il compagno dei suoi ultimi quindici anni, il fotografo e saggista Antonio Ria, di quasi quaranta anni più giovane (sprazzi del loro rapporto sono raccontati dalla scrittrice ad esempio in Le lune di Hvar, Einaudi, Torino 1991), e relazioni prive della componente sessuale e di attrazione ma ugualmente dense di affetto e quindi sentimentali in senso ampio, come quella tra Marguerite Yourcenar e Jerry Wilson, il segretario trentenne, omosessuale, che la accompagna in molti viaggi negli anni Ottanta, morendo di Aids un anno prima di lei.

Tutte scrittrici, quelle citate, che come Ernaux hanno lavorato tantissimo, in modo originale e imprevedibile, sulla materia autobiografica, riuscendo a raccontare donne reali (seppure) di una certa età. Donne che l’uomo, invece, o più che altro l’idea e lo stereotipo di uomo costruito dalla cultura patriarcale, fatica ancora a immaginare e quindi a frequentare – come amiche e come amanti – senza complessi, timori e sospetti, a occhi aperti.