Leonardo Caffo / Autobiozampate

Leonardo Caffo, Il cane e il filosofo. Lezioni di vita dal mondo animale, Mondadori, pp. 181, euro 18,00 stampa.

Libro multiforme, che si lascia leggere secondo diverse prospettive: quella dell’autofiction; quella del Bildungsroman con l’uscita dal mondo dell’adolescenza e con l’entrata dolorosa nella vita degli adulti; quella della riflessione filosofica sulla relazione tra forma di vita umana e non.

Nella prima e nella seconda troviamo Edo, un quindicenne catanese che è chiaramente un alter ego dell’autore. Nell’autunno del 2003 riceve per caso in regalo un cucciolo biondo di cane, Pepe, con il quale costruisce una relazione profonda che durerà fino al 2017, data di morte del compagno di vita. Il cane diventa così il custode di tutte quelle dimensioni che l’età adulta ci obbliga a dimenticare: il gioco, la perdita di tempo, le azioni senza obiettivo, le sensazioni del primo amore. Ma diventa anche un deposito di tutte le cose e di tutte le emozioni che il protagonista perde: un appartamento colonizzato progressivamente dalla presenza di Pepe; il parco in cui l’animale corre maestoso e litiga con i suoi simili; il passato; il rapporto forte con i genitori, specie con la madre; la Sicilia abbandonata per trasferirsi a studiare a Milano.

Nella terza emerge prepotentemente l’autore, filosofo e saggista contemporaneo, un punto di riferimento imprescindibile per gli Animal Studies in Italia. L’obiettivo ostentato del libro è quello di fare filosofia con un’altra forma di scrittura, quella narrativa, interrogandosi su cosa significhi essere uomini e intessere relazioni con forme di alterità assoluta, come quella animale. Ecco allora la strutturazione della narrazione che alterna a ogni capitolo riassuntivo di un anno di vita di Edo la voce di Pepe, che ricostruisce gli stessi eventi dalla sua prospettiva. Ovviamente è un tentativo destinato a un fallimento dichiarato: far parlare un animale significa disanimalizzare una forma di vita che ha una sua poetica altra, irriducibile ai parametri umani.

È questa la prospettiva di lettura più interessante, anche se talvolta appesantita da un bisogno continuo di riferimenti filosofici, sia in maniera diretta (nei titoli dei capitoli e nelle citazioni), sia in maniera indiretta (nei riferimenti intertestuali). Il tentativo di farsi cane del protagonista e, viceversa, le meditazioni filosofiche dell’animale aprono comunque spunti profondi di riflessione: la possibilità di condividere uno spazio e un tempo comuni con altre forme di vita; le emozioni comuni a diverse forme di vita; il richiamo alla corporalità che l’animale esercita sull’uomo, obbligandolo a confrontarsi con le trasformazioni incessanti della vita; il richiamo alla morte, con la quale dobbiamo confrontarci.

Toccanti, specie per chi ha avuto esperienza di vita con animali domestici, sono proprio le pagine sulla morte di Pepe, oramai invecchiato, con un corpo alterato dalla malattia. La sofferenza dell’animale è sempre innocente e, come ci ricorda Jacques Derrida, mette l’uomo a nudo di fronte alla propria finitezza che condivide con tutti gli altri esseri viventi.

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