Brigitte Reimann / Fratelli bugiardi?

Brigitte Reimann, Fratelli, tr. di Monica Pesetti, Neri Pozza, pp. 192, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Siamo nel 1961 nella Repubblica Democratica Tedesca qualche mese prima della costruzione del Muro, tirato su in una notte perché si dovevano pur fermare le persone che lasciavano la Germania dell’Est come una emorragia inarrestabile. Fra queste persone anche i due fratelli di Elisabeth: Konrad, espatriato ad Amburgo già da qualche anno, mentre ora è l’amatissimo Uli a volersene andare. Fratelli ruota attorno a questo lacerante disfarsi delle famiglie e rompersi degli affetti in cui sono inciampate moltissime famiglie tedesche compresa quella dell’autrice la cui storia si legge in filigrana. Lacerazioni si sono sovrapposte alle fedi e passioni politiche, le hanno messe in questione o revisionate.

“Konrad” disse Uli con disprezzo. “Non mi starai sul serio paragonando a Konrad, voglio sperare. Se esiste un cittadino della Repubblica federale, quello è Konrad”.

Lo fissai incredula.

Mio fratello proseguì: “Abbandono la vostra gente, ma non la nostra causa. Non ho mai dubitato, nemmeno nei momenti più bui, che il mondo del futuro sarà un mondo comunista. Nessuno che abbia compreso le leggi della storia può dubitarne. È questo il mio programma, Betsy, e nulla mi farà cambiare idea”.

Replicai beffarda: “Ma certo, il socialismo è una bella cosa finché non ce l’hai nel tuo Paese”.

“Finché puoi combattere nel suo nome, finché non viene svuotato di significato da un branco di imbecilli buoni solo a parlare” gridò Uli.

“Sei tu l’imbecille” gridai io.

Quando leggiamo questo dialogo alterato dalla rabbia, ma anche così sincero e vibrante, mi dico che tutti – della mia generazione – volevamo o abbiamo cercato di essere Uli. E ancora oggi c’è chi vorrebbe essere Elisabeth o è convinto di essere Uli o che la storia abbia una filosofia e una direzione inevitabile (verso il comunismo).

Alla fine del quarto capitolo, pagina sinistra: “I fratelli sono bugiardi”. © Schloss & Stadtmuseum Hoyerswerda

Ma l’autrice nel manoscritto alla fine del 4° capitolo chiosa scrivendo “I fratelli sono bugiardi”.

È una annotazione sorprendente perché i due fratelli fanno parte di quella generazione ipercritica e politicizzata uscita dalla fine della Germania nazista, piena di cultura, sapere, vista e lingua tagliente. Una generazione che ha messo sotto accusa i propri padri con le compromissioni o indifferenza verso il nazismo, ma che è anche molto critica nei confronti del partito comunista, dei funzionari spesso disonesti, la burocrazia terribile, i favoritismi. Quello che il giovane ingegnere Uli non sopporta è il fatto che la sua intelligenza e capacità non vengano riconosciute per quel che valgono solo perché non è iscritto al partito e perché non vuole leccare il culo al funzionario di turno. La stessa cosa patisce Elisabeth nel suo lavoro in cui insegna pittura agli operai in un kombinat, un grande complesso industriale. Detta così sembra una cosa meravigliosa: verrà un giorno in cui gli operai nel loro tempo libero saranno tutti pittori. Le passioni che il nonno e la famiglia borghese dei fratelli potevano coltivare, la lettura, il teatro perché qualcun altro creava nel frattempo la loro ricchezza sarà un diritto garantito a tutti, così pensa Elisabeth. Nel frattempo il sogno di una cosa si allontana, gli operai devono fare sacrifici e la commissione che decide gli acquisti riempie i magazzini di orrendi quadri realistico-sentimentali del pittore ufficiale, e naturalmente non tutti gli operai amano l’arte o hanno del talento. Con pazienza infinita Elisabeth dipinge e cerca di trasmettere il proprio sapere in un ambiente in cui l’importanza dell’arte e la qualità del suo lavoro sono risibili e in molti pensano che “l’arte sia un passatempo che non comporta il minimo sforzo”. Per non parlare degli “sfaticati candidi, pieni di zelo e tutti rose e fiori che dipingono mettendoci l’anima. L’anima, santo cielo, e invece l’arte richiede comunissimo sudore”. Così grida una esasperata Elisabeth alle prese con l’antico modo per neutralizzare una donna in uso evidentemente anche nella DDR: la diffamazione. E se non basta, arrivano le molestie sessuali.

O forse la scrittrice vuole semplicemente dire che è lei la bugiarda che ha “salvato” la DDR dando ai due fratelli una possibilità fittizia nel momento in cui Elisabeth riesce sia a persuadere Uli a non partire (almeno per questa volta) sia a compiere il suo dovere di militante denunciando il fratello ma con la scappatoia di denunciarlo a una autorità che le è amica: il suo fidanzato, uomo retto e intelligente funzionario di partito.

La scrittura di Riemann indugia sull’opacità dell’agire e pensare di Elisabeth: non vuole che il fratello parta per le ragioni dell’amore o arriva alla delazione nei suoi confronti perché crede con tutta sé stessa che vale la pena restare in un Paese che da lì a qualche mese sarà circondato da un muro chiamato con ironia involontaria “Antifaschistischer Schutzwall” (barriera di protezione antifascista) per impedire alle persone di muoversi.

Fratelli è un romanzo molto bello e molto vero in cui l’intreccio di verità e menzogna non riguarda la scrittura ma i tempi in cui ai due fratelli e all’autrice è stato dato in sorte di vivere: per questo Elisabeth e Uli – anche oggi – non sono maschere grottesche (per ingenuità o ideologia) ma rimandano a una fotografia inevitabilmente piena di significati per tutti quelli di noi che sono “gli ultimi di un mondo” come dice la crepuscolare Internazionale fortiniana. Se provare nostalgia è da citrulli provare una certa invidia per la loro superbia intellettuale e politica è invece inevitabile.

Fratelli inoltre racconta la migrazione e le sue motivazioni in modo più complesso di quanto il mondo solidale l’ha sempre letta, vale a dire solo come un prodotto del colonialismo e del sottosviluppo causato dall’Occidente. Da questo punto di vista anche noi solidali siamo “bugiardi” perché non c’è fenomeno o romanzo o testimonianza che davvero ci abbia fatto prendere in considerazione e riflettere su queste emigrazioni di cui è stata ed è ancora piena l’Europa Centrale.

Brigitte Reimann (1933-1973) morta prematuramente appartiene alla stessa generazione della scrittrice Christa Wolf, decisamente più conosciuta in Italia. Un carteggio fra le due testimonia dell’amicizia che le legava. Fratelli è già stato pubblicato in Italia da Voland nel 2013 che di Reimann ha pubblicato anche Franziska Linkerhand. Ora, una fortunata scoperta di inediti ha permesso il reintegro di questo testo che era stato censurato al momento della pubblicazione nel 1963. Una accurata appendice della versione integrale di Fratelli pubblicata da Neri Pozzi racconta la storia e le vicissitudini del romanzo per il lettore curioso o troppo giovane e ignorante dei fatti dell’epoca in cui fu scritto.

In ultimo: quando si legge della scrittrice, in ogni luogo non si manca di rilevare quanti amanti e mariti avesse avuto. Questa libertà nel decidere e delimitare il proprio sé con assoluta sicurezza e senza patemi Reimann l’ha sicuramente regalata anche al personaggio di Elisabeth che ci rimarrà nella memoria insieme a Uli, presentato dalla sorella agli amici con queste parole: “[…] è bello, il più bel ragazzo che conosco. È intelligente, molto più intelligente di me. Si è diplomato a pieni voti. È il migliore del suo gruppo di seminario. Le ragazze gli corrono dietro. È forte, un ottimo sportivo. Legge molto. Va spesso ai concerti. Ci amiamo.” Due fratelli indimenticabili Elisabeth e Uli, meno mistici di Ulrich e Agathe, meno cinici di Lucas e Klaus. La letteratura è così e fa collegamenti evocativi, in questo caso con Musil e Kristof.