I russi potrebbero dire: se ti leghi all’albero, ti taglieranno semplicemente insieme all’albero. In questa lotta, tutti i mezzi sono abbastanza buoni: se non puoi amare la tua patria come un essere umano, se il nemico ti spinge fuori, amala come una pianta – resta, resisti; o amala come una bestia: corri, attacca o scappa, ma non lasciare loro la tua patria; impacchettala nel tuo cuore e portala con te ovunque tu vada.
Com’è possibile amare la patria in un paese come la Russia di Putin, sempre più autoritario, tirannico e impegnato in una guerra di invasione? In questo libro, scritto nel 2019 ma quanto mai attuale, Oxana Timofeeva racconta le sue tre patrie in Unione Sovietica: dove è nata, i primi ricordi d’infanzia nella steppa kazaka e i suoi giorni da studentessa vicino al circolo polare artico. Racconta come nelle scuole sovietiche si distinguesse fra la ‘piccola’ e la ‘grande’ patria, attraverso le parole di Bertolt Brecht affronta il problema della patria e dell’esilio in epoca fascista e infine respinge il desiderio filosofico reazionario dell’origine. La patria non deve essere il lascito del passato ma attraverso la resistenza può essere reinventata e trasportata nel futuro.
Elisabetta Michielin Internazionalismo vs patria. Abbiamo sempre pensato così. Tu invece fai saltare la più classica delle opposizioni dicendo internazionalismo e patria. Il segreto di questa felice congiunzione è forse nel come si ama la patria? Cosa intendi per patria?
Oxana Timofeeva Dal mio punto di vista, la patria non è una Nazione, un’identità nazionale, un’etnia o altro. Non si tratta nemmeno del luogo di nascita, né del nome delle origini. Per questo non uso le parole “madrepatria” o “patria”, ché si porterebbero dietro una storia edipica e familiare. Madrepatria e patria sono spesso citate dalle macchine della propaganda, soprattutto in tempo di guerra. Questa retorica allude all’idea delle origini biologiche e produce l’illusione di un’unità tra bio- e geo-logica che i nazisti chiamavano “sangue e suolo”. Inoltre, madrepatria e patria portano con sé il significato di nazionalità intesa come appartenenza a un certo Stato con i suoi governanti e la sua ideologia dominante. Così, coloro che si definiscono “patrioti” nella Russia di oggi sono spesso sostenitori attivi del regime di Putin con il suo militarismo aggressivo, o semplici conformisti che cercano di trarre vantaggio da questo regime. Al contrario, la patria riguarda la casa, il luogo in cui abitiamo, gli ambienti e i paesaggi con cui, in quanto esseri viventi, sviluppiamo una relazione sensuale. Nella misura in cui, nel corso della nostra vita, ci spostiamo qua e là e siamo in grado di abitare in più di un luogo, la patria può essere intesa come multipla. Immaginate un nuovo luogo in cui venite a stabilirvi, dotandovi dei servizi necessari. Questo luogo sarà la vostra nuova casa, e la città, il paese o il villaggio, così come il Paese in cui si trova, saranno la vostra nuova patria.
E.M. Il tuo discorso si potrebbe riassumere con uno slogan usato anni fa da alcune associazioni di migranti che diceva: “Chi è qui è di qui?”
O.T. Sì, assolutamente. Ma c’è un’altra cosa che trovo importante, soprattutto quando parliamo di migranti e rifugiati. La patria non si riferisce solo a un luogo, ma anche all’esperienza dello spostamento. In un certo senso, per trovare una patria, bisogna prima perderla. A volte si prova il sentimento della patria solo quando si è già sfollati e si capisce che si ha o non si ha la possibilità di tornare. Con la guerra in Ucraina, milioni di persone sia ucraine che russe stanno perdendo le loro case. Gli ucraini diventano rifugiati perché i militari russi bombardano ogni giorno le loro città e le infrastrutture civili. Diventare rifugiati è una questione urgente di sopravvivenza. In Russia le città non vengono bombardate, ma milioni di persone devono comunque fuggire dal Paese, non solo perché c’è il terrore della polizia da un lato e la mobilitazione dell’esercito dall’altro, ma anche perché non si sentono più a casa. Sto mantenendo una posizione quasi impossibile, facendo la spola tra la Russia e la Germania, e ora Berlino sembra essere diventata la mia seconda casa. Sto cercando di percepire questa città, di scoprirvi le mie cose, di esplorarla come un animale in un nuovo habitat. Ma ho ancora un luogo dove poter tornare. È un privilegio. Conosco russi che non possono tornare, perché sono scappati dallo Stato non per loro volontà, ma sotto la pressione della polizia, e russi che non vogliono tornare, perché vogliono sbarazzarsi della loro identità nazionale e di qualsiasi associazione con il loro Paese. Ma conosco anche ucraini che vorrebbero tornare, ma non hanno più una casa, perché la loro città, o la loro casa, è stata distrutta dai bombardamenti. Devono iniziare una nuova vita in Europa e ci vorrà un po’ di tempo prima che si sentano finalmente a casa e a loro agio. Il Paese migliore sarebbe quello che si offrisse facilmente come nuova casa amorevole per tutti i rifugiati e gli esiliati. Forse questo Paese non esiste, ma mi piace pensare di provenire da lì.
E.M. Mi ha colpito molto la tua scrittura che àncora la filosofia alla biografia, non intrecciandole ma mettendole sullo stesso piano. Perché questa scelta?
O.T. Qualcuno ha appena commentato che il mio problema è che mi identifico con la mia professione, ma non credo che la filosofia debba essere collocata nel dominio dell’attività professionale. La filosofia è un modo di vivere, non solo una professione o un lavoro di cui ci si libera quando si torna a casa dall’ufficio (se lo si ha). Si può essere buoni o cattivi filosofi senza necessariamente diventare professori di filosofia o accademici in generale. È sufficiente mettere permanentemente in discussione i quadri della realtà empirica. La formazione filosofica rende una persona in grado di leggere cosa c’è dietro la realtà e di concepirla in concetti e strutture; ci dà un metodo in base al quale possiamo dare un senso a qualsiasi tipo di materiale appreso, compresa la nostra stessa biografia.
Questo libro non è assolutamente un lavoro accademico o scolastico, bensí un tentativo di commisurare le patrie empiriche e concettuali in una sorta di diario di viaggio. Gli elementi di biografia, o meglio di geografia personale che vi sono delineati, dimostrano che l’idea di patria come Nazione o Stato condivisa da tutti i tipi di destra è sbagliata: è solo un’idea astratta che non ha un’esistenza reale. Ciò che esiste nella realtà è materiale e concreto: odori, colori, molteplici cose viventi e non viventi che ci collegano all’esperienza di una patria. I fiori non hanno nazionalità, ma crescono lì, in quella particolare zona, che magari ricordiamo dalla nostra infanzia o che abbiamo appena inventato.
E.M. Brecht, Deleuze, Guattari ti hanno accompagnato in questa riformulazione della patria. In particolare, sorprende la tua riattualizzazione di Aristotele in chiave deleuziana. Puoi approfondire questo aspetto?
O.T. Non mi piace la tendenza, presente in alcune teorie contemporanee, a ignorare tutto ciò che c’è stato nella filosofia prima di Deleuze. In realtà, ci sono tante cose nella storia della filosofia occidentale (parlo di quella occidentale, perché la conosco meglio) che sono assolutamente rivoluzionarie se le leggiamo con mente aperta, al di là di ogni stereotipo. Adoro i vecchi trattati e volumi filosofici, scritti da Platone, Aristotele, Cartesio, Spinoza, Schelling o Hegel. Vi si può sempre trovare qualcosa che suona davvero fresco e nuovo. La filosofia inizia sempre dalla lotta contro i dogmatismi e l’ideologia dominante. A differenza della scienza positivista, il modo in cui la filosofia sviluppa i suoi concetti è tale che ogni nuova teoria non confuta le precedenti, ma non solo si costituisce in un dialogo o in una discussione con esse, ma le ripete in una sorta di nuova trascrizione, nel linguaggio del proprio tempo. È come una partitura musicale con variazioni e tempi diversi, ma il motivo può essere lo stesso.
Così, prendo il motivo delle tre anime – pianta, animale e umana [vegetativa, sensitiva e intellettiva] – che esiste già in Platone e Aristotele, ma che poi persiste in tutta la tradizione filosofica. Mi piace che nelle loro riflessioni sulla ri-territorializzazione e sulla de-territorializzazione, così come nel loro concetto di ritournelle (o ritornello) Deleuze e Guattari elaborino ciò che gli antichi chiamerebbero l’anima animale. Scrivono della relazione dell’animale con il territorio ed è in questo contesto che spiegano cosa sia l’amore. Quando dico: Ti amo, ti segno come il mio territorio, la mia casa: tutte le canzoni d’amore in questo senso parlano di patria. Non è incredibile?
Ma il riferimento più vicino nella tua lista è proprio Brecht, perché il contesto della sua opera a cui faccio riferimento nel mio libro mi ricorda, in una certa misura, la nostra situazione storica: l’ascesa del regime fascista e le esperienze di trasferimento. Direi che le riflessioni di Brecht sull’immigrazione come scuola di dialettica e il suo discorso dall’estero ai compagni che rimasero in Germania sotto il regime nazista e crearono lì una resistenza antifascista clandestina sono più che rilevanti oggi, quando la Russia vive tempi davvero bui. Le “Cinque difficoltà nello scrivere la verità” di Brecht sono anche un manuale, un saggio su “come fare”, una guida attraverso l’inferno.
E.M. Il tuo libro è stato pubblicato due anni fa ma oggi risulta essere molto necessario, cosa significa amare la patria e come possono amare la patria oggi i russi? Penso a quelli che rimangono ma anche a quelli che se ne vanno.
O.T. All’epoca in cui stavo scrivendo questo libro, ero spinta non tanto da una certa anticipazione della guerra, quanto dal desiderio di condividere la felicità che ho provato dopo aver visitato i luoghi della mia nascita e della mia infanzia. L’esperienza del ritorno mi ha fatto riconciliare con il mio passato, che era oscuro, terrificante e pieno di violenza. È stato come se i ricordi riportati alla luce in questo viaggio magico avessero un effetto curativo, e mi hanno fatto pensare molto. Mi hanno insegnato, per esempio, che la patria non è solo un sogno, ma qualcosa di veramente materiale e pieno di vita, e che posso trarne qualcosa. Un oggetto che funga da portale per la continuità della mia vita. Per esempio, i tulipani gialli: ogni volta che vedo questi fiori, li ricordo crescere selvatici nella mia steppa nella Valle del Chuy in Kazakistan. Posso vivere ovunque, ma un oggetto della mia terra, anche il più piccolo, mi collegherà sempre e immediatamente al mio luogo di potere.
Dal febbraio 2022, quando è iniziata la guerra su larga scala contro l’Ucraina, il mio libro ha ricevuto molti riscontri. Trattandosi di un piccolo libro tascabile, molte persone lo leggevano mentre fuggivano dal Paese, attraversavano i confini, cercavano di sfuggire alla polizia o all’esercito. Ho ricevuto personalmente un messaggio da un amico che ha letto questo libro nella sua stanza d’albergo in mezzo al nulla, mentre passavo il controllo di frontiera all’aeroporto di Helsinki, in mezzo a una folla di passeggeri in fuga dalla Russia, con valigie enormi e trasportini con gatti, che nascondevano i loro volti pieni di paura e vergogna. Perdere la patria è una disgrazia, ma forse ora ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di diventare più nomadi, di perdere i nostri privilegi e vagare alla ricerca di cosa? Forse la libertà?
Ora, abbiamo un muro di incomprensione tra chi è partito e chi è rimasto. Chi è partito tende ad accusare chi resta di collaborazionismo, di appoggiare il regime di Putin con la semplice presenza in loco. In effetti, posso capire questa posizione, ma non la condivido. So quanto sia difficile partire e cercare di stabilirsi in un nuovo Paese, dove non si è cittadini e si hanno molti meno diritti, soldi e cose cosí. Ma so anche quanto sia difficile restare per coloro che non possono andarsene perché hanno parenti, animali domestici, qualcuno o qualcosa di cui prendersi cura, o semplicemente delle cose da fare. Tra coloro che restano ci sono anche partigiani clandestini e persone impegnate in un’azione diretta. Come si può fare un’azione diretta quando si è all’estero? Nel mio libro, questa tensione tra chi è partito e chi è rimasto è stata descritta come la tensione tra l’anima animale e quella vegetale. L’anima animale ha bisogno di muoversi, mentre lo stile di vita vegetale si ostina a rimanere qui: qualunque cosa accada, resterò al mio posto, finché non verranno a tagliarmi. La nostra sopravvivenza dipende ora dalla nostra capacità di creare un equilibrio intelligente tra l’anima animale e quella vegetale o, per meglio dire, di creare catene di solidarietà tra queste due forme di vita.
E.M. Più dura la guerra più c’è il pericolo concreto che in Ucraina ma anche in Russia, l’amor di patria si saldi con il nazionalismo, come si può scongiurare questa deriva?
O.T. Come cittadina dello Stato che ha iniziato la guerra e ha commesso molteplici atti di violenza e aggressione contro l’Ucraina, non ho il diritto di dire nulla sul popolo ucraino e sui suoi atteggiamenti, ma posso solo parlare del mio Paese, che non coincide realmente con la mia patria. Sono nata in Siberia, che secoli fa fu colonizzata dall’Impero russo, e ho trascorso la mia infanzia in Kazakistan, anch’esso colonizzato dall’Impero russo, poi diventato parte dell’Unione Sovietica e quindi Stato indipendente. Vengo dall’Unione Sovietica, uno Stato che non esiste più. L’attuale Federazione Russa è composta da molte regioni e territori che sono stati conquistati, colonizzati, annessi o che sono volontariamente diventati parte della Russia. Questi territori sono popolati da diversi popoli indigeni con culture, religioni e lingue uniche. Il nazionalismo in uno stato del genere sembra assurdo, eppure esiste ancora e più la guerra continua, più cresce. In tempi di guerra, le persone pensano meno e la logica è spesso sostituita dalla paura, dall’odio e da altri affetti negativi. L’illusione che una nazione sia migliore delle altre può aiutare a riconciliarsi con una realtà che altrimenti appare troppo deprimente. “Io sono russo, il mio sangue è di mio padre!” – canta un popolare cantante “patriottico”. Questa canzone manifesta un crollo esistenziale, quando il nazionalismo va di pari passo con i valori patriarcali. Nella Russia di oggi vengono chiamati “valori tradizionali”. La propaganda di Stato si appella alla lunga tradizione, all’interno della quale il forte sconfigge il debole e che normalizza la schiavitù, il dominio e la violenza. Ma noi femministe conosciamo il segreto: l'”amore” patriarcale non è veramente amore, ma abuso. Il nazionalismo è come una relazione abusante, dove l’amore non è altro che la lotta per il dominio. Pertanto, il “patriottismo” tradizionale implica la guerra. Al contrario, credo che ci possa essere un amore libero – verso altre persone di ogni genere, così come verso i luoghi in cui siamo, siamo stati, o forse un giorno saremo felici.
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Oxana Timofeeva, nata in Siberia, insegna al Centro di Filosofia “Stasis” dell’Università Europea di San Pietroburgo, autrice e membro del collettivo artistico Chtodelat [Cosa si deve fare]. Fra i suoi libri tradotti in inglese: Solar Politics (Polity 2022), History of Animals (Bloomsbury 2018), Introduction to the Erotic Philosophy of Georges Bataille (Moscow: New Literary Observer, 2009). How to Love a Homeland (Kayfa ta 2020).