Da Spoon River a Winesburg: rileggendo Sherwood Anderson

Quasi contemporanei, Edgar Lee Masters affascinò i lettori americani con la poesia di Spoon River, Sherwood Anderson con Winesburg, Ohio aprì la strada a una nuova generazione di narratori, da Hemingway a Faulkner. In Italia il primo divenne un cult, il secondo fu relegato ai margini.

Un modo curioso – ma secondo me efficace – per farsi un’idea della popolarità di un autore nel mondo anglofono è dare un’occhiata alla lunghezza della sua voce su Wikipedia (naturalmente non quella in italiano). Seguendo questo piccolo criterio, si scopre che la voce dedicata a Sherwood Anderson è lunga circa il doppio rispetto a quella del nostro amatissimo Edgar Lee Masters.

Non che l’autore dell’Antologia di Spoon River sia trascurato negli Stati Uniti: alcune sue poesie rientrano stabilmente nei programmi scolastici. Tuttavia, la sua notorietà è stata in parte oscurata dal successo di Anderson e della raccolta di racconti Winesburg, Ohio. Eppure i versi di Masters erano usciti già nel 1915, quattro anni prima, e Anderson ne era rimasto così colpito da leggerli senza sosta fino all’ultima pagina. Non sorprende, dunque, che qualcuno abbia visto in Winesburg, Ohio una sorta di versione in prosa di Spoon River.

Diciamo subito che i due scrittori appartenevano alla medesima generazione, con Masters più vecchio di Anderson di otto anni – avrebbero potuto essere fratelli. Inoltre venivano dalla stessa area geografica, il Midwest: Anderson dell’Ohio, Masters del Kansas. Erano nati e cresciuti in piccole città di provincia in quello sconfinato territorio pianeggiante un tempo coperto di sterminate foreste, poi abbattute per far posto al granaio degli Stati Uniti. Erano figli di un’America agraria, non ancora industrializzata, che si muoveva col treno o a cavallo, che ricordava ancora il tempo in cui c’era la frontiera, e il Midwest era territorio indiano. Entrambi, nelle loro opere, si concentrano su quella realtà, che tutti e due avevano lasciato per andarsene – dopo varie peripezie – nella grande metropoli, che per loro non era New York bensì Chicago. È la classica storia del ragazzo di paese che va in città in cerca di fortuna; dei due quello che se la cavò meglio fu indubbiamente Anderson, che con Winesburg, Ohio non solo arrivò al successo, ma divenne un modello letterario per la generazione più giovane di scrittori, quella di Hemingway, Faulkner, Crane, e venne elogiato da critici prestigiosi come Mencken, Wilson, Stein. Certo, all’epoca della pubblicazione la raccolta di Masters ebbe un successo commerciale superiore (ottantamila copie vendute in quattro anni), fu apprezzata da Ezra Pound e Carl Sandburg, ma non si può dire che abbia esercitato sui poeti successivi un influsso paragonabile a quello di Anderson sui narratori.

Non credo di dover illustrare il contenuto e soprattutto la struttura dell’Antologia di Spoon River; ma siccome da noi Anderson è molto meno conosciuto di Masters, andrà spesa qualche parola sui racconti di Winesburg. Sono 22 racconti, ognuno dei quali ha un diverso protagonista, che viene esplicitato nel sottotitolo: il primo, per esempio, è “Hands – concerning Wing Biddlebaum” (cioè “Mani – riguardante Wing Biddlebaum”). Come nella raccolta di poesie di Masters ciascun componimento dà la parola a un diverso “abitante” del cimitero di Spoon River, in Winesburg, Ohio ogni racconto è incentrato su un abitante (per lo più vivente) della cittadina, e ne rivela la personalità penetrando nella sua interiorità, spesso svelandone segreti che i suoi concittadini ignorano.

Questo porta Anderson a toccare temi che nel 1919 erano decisamente scabrosi. Prendiamo per esempio Wing Biddlebaum, che in realtà si chiama Adolph Myers; il nomignolo “Wing” (ali) gli deriva dall’abitudine di muovere freneticamente le mani quando parla, come un uccello che spicca il volo. Wing ha un segreto: era un maestro elementare in una cittadina della Pennsylvania prima di trasferirsi a Winesburg, e i suoi atteggiamenti troppo affettuosi coi suoi alunni (quelle mani che si muovevano sempre e carezzavano) portarono i genitori a sospettare che fosse un pedofilo, al punto di malmenarlo e farlo fuggire. Ripeto: non era un tema facile da toccare all’epoca, e Anderson ci lascia nel dubbio, senza chiarire se Wing fosse semplicemente molto affettuoso o veramente nutrisse un’attrazione morbosa per i suoi scolari. Interessante notare che la pedofilia veniva toccata, in modo assai più esplicito e inequivoco, in un altro racconto, “Un incontro”, incluso nella raccolta joyciana Gente di Dublino, del 1914 – quando si parla del modernismo si tende a evidenziare soprattutto il carattere sperimentale delle opere partorite dal movimento, ma esse erano rivoluzionarie anche per il fatto di andare a toccare argomenti fino ad allora evitati o solamente sottintesi nella letteratura inglese e americana. Non dimentichiamo che Ulisse fu ritenuto per decenni un libro osceno la cui vendita era vietata; non a caso Joyce lo pubblicò a Parigi e non a Londra o New York.

Di Winesburg, Ohio è nuova anche la lingua. Ci fu un fitto scambio di lettere tra Anderson e Gertrude Stein, la grande sperimentatrice, e certamente la prosa di questi racconti, pur senza arrivare alla sinteticità cubista di Hemingway (tradita da certe discutibili traduzioni italiane, ma si sta rimediando), è decisamente diversa da quella turgida dell’Ottocento (come la troviamo nelle pagine di Henry James): è lineare, essenziale, scarnificata. Anderson se ne serve per scavare nella psiche dei personaggi, e identificare quell’idea di cui si sono impossessati e che li ha fatti diventare grotteschi. Perché ognuno di essi ha una fissazione, un’ossessione, un desiderio inespresso e spesso frustrato, che è divenuto il centro della loro esistenza; questo viene detto esplicitamente nel capitolo introduttivo, “Il libro del grottesco”, nel quale Anderson rigioca il vecchio topos del manoscritto ritrovato, opera di un vecchio e anonimo scrittore restato inedito. Elizabeth Willard, la protagonista di “Madre”, ha l’ambizione frustrata di diventare un’attrice; in “Solitudine” Enoch Robinson va a New York illudendosi di poter diventare un’artista, senza riuscirvi; nell’ottavo racconto (il più lungo, diviso in quattro parti), “Devozione”, Jesse Bentley si identifica col suo omonimo biblico, padre del futuro re David, e si sforza di fare del figlio un grand’uomo. Queste ambizioni più o meno nascoste quasi sempre segnano la vita di chi ne è preda, e lo conducono al fallimento o all’infelicità – o entrambe le cose.

Fa eccezione, tutto sommato, il personaggio ricorrente che in qualche modo tiene insieme i vari racconti, e cioè George Willard, figlio di Elizabeth, che lavora come cronista nel giornale locale. Per via del suo lavoro George è perennemente in giro per Winesburg in cerca del minimo avvenimento da riportare sul quotidiano, e ciò fa sì che compaia in pressoché tutti i racconti; talvolta come figura sullo sfondo, talvolta come interlocutore, o parte in causa. Ricorda un po’ quel Leopold Bloom che gira per Dublino in cerca di inserzionisti nell’Ulisse, e a tutti gli effetti è l’alter ego del suo autore – non a caso nel penultimo racconto, “Sofisticazione”, del quale è protagonista assieme a Helen White, una ragazza con la quale sta flirtando, George giunge a una sorta di maturazione che sembra innescare l’evento cruciale dell’ultimo racconto, “Partenza”, l’unico nel quale il giovane è protagonista, dove si narra il giorno in cui prende il treno per lasciare Winesburg senza poi farvi più ritorno. Un po’ quel che accadde ad Anderson, anche se in chiave assai meno melodrammatica. Lo scrittore, infatti, nel 1912 lasciò la cittadina di Elyria, nell’Ohio, dove possedeva una piccola fabbrica di vernice, dopo un esaurimento nervoso accompagnato da amnesia temporanea (sparì per quattro giorni prima di presentarsi in una farmacia chiedendo di essere identificato); lasciò lavoro e famiglia (moglie e due figli) per trasferirsi a Chicago e intraprendere la carriera di scrittore.

Inevitabilmente al centro di questa costellazione di storie c’è l’opposizione tra centro e periferia, tra la piccola cittadina sonnolenta dove non succede niente, e la grande metropoli dove c’è la vita vera. Un tema classico, ma particolarmente rilevante negli Stati Uniti. Cesare Pavese era convinto che la letteratura americana fosse compatibile con la cultura italiana perché entrambe le nazioni erano fatte di paesi e paesoni, senza una Capitale con la maiuscola (come Parigi o Londra) a fare da centro di gravità socioculturale; in realtà la particolarità americana, e in qualche modo anche italiana, è di avere più capitali (da noi, la Roma della politica e la Milano del danaro). Il mondo della piccola città rurale lontana da tutto, esplorato da Anderson, ritornerà in tanti romanzi e racconti statunitensi: basti pensare a Babbitt di Sinclair Lewis, all’opera di Ray Bradbury, che da Winesburg, Ohio prese tanto, ai romanzi di Stephen King; potremmo tranquillamente uscire dalla letteratura stampata e arrivare alla Twin Peaks di David Lynch – la lista è lunga.

Quel mondo oggi sembra si stia prendendo la sua rivincita, visto che tanti sostenitori dell’attuale presidente (paradossalmente uomo della metropoli più metropolitana del mondo) provengono da o risiedono in cittadine assai simili alla Winesburg di Anderson, anche se pickup e fuoristrada hanno sostituito i calessi, e al posto del giornale locale ci sono i social media della destra razzista e omofoba. Fors’anche per questo vale la pena di andare a leggere questi racconti, perché da quest’America che non c’è più discende l’America più inquietante che c’è oggi. E in fondo, in questa galleria di casi umani, alcuni dei quali decisamente curiosi, non è escluso che ne incontriate qualcuno che vi somiglia parecchio – se è vero che il microcosmo del Midwest rispecchia il macrocosmo globale, alla fine può anche darsi che tutto il mondo sia Winesburg.

Chiudiamo tornando alla considerazione iniziale: Sherwood Anderson più famoso di Edgar Lee Masters in patria, eclissato dall’Antologia di Spoon River da noi. Curioso fenomeno, tenuto conto che Cesare Pavese amava entrambi gli autori, e se non fosse stato per la censura fascista avrebbe fatto tradurre o avrebbe tradotto sicuramente Winesburg, Ohio prima della guerra, come accadde alla raccolta di poesie di Masters. Comunque, come si potrà vedere dalla piccola bibliografia in appendice, già dopo la caduta del Duce usciva la prima traduzione italiana, e nel 1950 Anderson entrava nel catalogo Einaudi. Come mai non giunse allo stato di cult book come Spoon River? La mia ipotesi è che alla fine della fiera la cultura italiana ritenesse sempre la poesia al vertice della gerarchia letteraria; inoltre, la sua somiglianza della raccolta di Masters coll’Antologia greca (alias Antologia palatina) la rendeva accettabile anche ai prof di italiano e latino; mettiamoci anche che i versi di Masters sono decisamente immediati, e che a leggere uno dei componimenti di Spoon River ci si mette meno che a finire un racconto. E poi Masters ha incontrato da noi un eccezionale influencer, un certo De André, che col suo LP Non al denaro non all’amore né al cielo ha fatto diventare quel cimitero del Midwest parte della nostra mappa mentale collettiva. Come dicono gli americani, del tutto misteriose sono le vie di Dio: e misteriose anche le strade che portano un’opera letteraria da un paese all’altro.

 

Nota bibliografica

Mentre il libro di Masters ha avuto sempre lo stesso titolo in italiano, quello di Anderson è uscito in diverse traduzioni diversamente intitolate. Le elenco qui sotto per facilitare la vita a chi, leggendo il mio pezzo, avesse voglia di visitare Winesburg senza allontanarsi da casa.

  • Piccola città nell’Ohio (Polin, 194-, tr. Orsola Nemi); questa edizione non è datata, ma si può ipotizzare che sia stata stampata tra il 1944 e il 1945, dato che in precedenza la censura fascista scoraggiava le traduzioni della letteratura americana.
  • Racconti dell’Ohio (Einaudi, 1950, tr. Giuseppe Trevisani), successivamente riedita da Mondadori nel 1958.
  • I racconti dell’Ohio (Newton Compton, 1992, tr. Marina Fabbri)
  • Winesburg, Ohio (BCDe, 2012, tr. Giulio Pane)
  • Racconti dell’Ohio (Theoria, 2024, tr. Jzreel Cassata)
  • Winesburg, Ohio (Feltrinelli, 2025, tr. Enrico Postiglione)

A questi va aggiunta la pionieristica traduzione di un singolo racconto della silloge:

  • Solitudine (Slavia, 1931, tr. Ada Prospero)