Dario Capello / Nella notte torinese

Dario Capello, La straniera, puntoacapo Editrice, pp. 69, euro 13,00 stampa

Torino e le ombre. Nel teatro della città natale di Dario Capello gli incontri si adeguano al grande fiume, ai palazzi lividi e taciturni, e gli enigmi trovano risposte che vanno bene alle strade, alle visioni incontrate dietro ogni angolo: sono le parole con tutto il loro potenziale placido ed esplorativo a consegnarci una poesia che si estende lungo i decenni con la rarefatta presenza – ma quanto resistente e necessaria – di quattro raccolte consegnate alle stampa dal 2000 a oggi. Ora infine è la volta di La straniera, che si unisce alla bella collana diretta da Giancarlo Pontiggia. Capello aveva esordito nel primo numero di “Niebo” (1977), rivista diretta da Milo De Angelis. Dopo vi fu un silenzio di ventidue anni, interrotto con la pubblicazione di Il corpo apparente, primo libro che raccoglieva poesie degli anni Novanta. L’opera spinse il redattore di questo minimo scritto ad alzare il telefono, a cercare una voce che indicasse la via di accesso a una scrittura capace di seguire l’asfalto cittadino e le anime vaganti e ben visibili nella trama minerale della notte torinese.

Le ombre seguite dal poeta continuano a cercare i propri inseguitori, a scompigliare la voce di viaggiatori, a dare tracce sparse qua e là nella gola della notte. A dare sbocchi agli assetati nel loro varcare la soglia dei bar, mentre cercano nomi da amare e una donna che si è amata una volta per sempre. Capello sa interpretare le risposte, anche se il fiato si fa più corto – colpa degli anni, colpa dei tempi in odore di guerra. Lui entra nel mondo “già fatto”, continua a entrarvi pur non essendone mai uscito poiché i confini sono circolari e non esiste nessuna fine. E nessun inizio. Sono gli anni, questi, riuniti nell’isola pedonale rappresentata da La straniera – corpo fluttuante, fatto di note basse, e decisivo. Decisivo perché si tratta di quella increspatura da cui nasce la notte abitata. In cui le ombre non sono mai oscure, ma circondate dagli azzurrini e il rosa antico delle albe.

La Straniera è “femminile”, non può esserci dubbio, l’incantamento da cui Capello – è lui stesso a suggerirlo – trae il suo mito personale. Ecco perché i nomi scivolano volentieri per le strade del mondo che ancora si ripete in queste poesie, cariche del “tu” novecentesco che tanto amiamo noi invecchiati ai costituenti Montale e Caproni. Se prima il “camminatore” si atterriva di fronte alle maschere ferme al semaforo (come in molte poesie presenti in Il corpo apparente), oggi nel cuore della notte si accennano mezzi sorrisi, lievi ricongiungimenti che tutt’al più bruciano senza ustionare. Il fiume porta le voci in “esercizi di strana quiete” – l’immensa madre, la città d’inverno ha le sue insegne, chi vi passa lancia i suoi segnali, e se si trova a esser poeta come Capello ha tutti i mezzi per aprire la prima grande finestra della casa abitata nei decenni. Nella media notte lui e pochi altri sapevano tutto, sapevano che i dolori hanno sempre lo stesso volto. Un lascito che questo nuovo libro appoggia nel teatro della memoria, e nessuno dovrà pagarne lo scotto.