Erling Kagge / Sfida tra i ghiacci

Erling Kagge. Polo Nord. Storia di un’ossessione, tr. di Maria Teresa Cattaneo, Einaudi, pp. 518, euro 21,00 stampa, euro 13,99 epub

Ci sono 10 sottomarini nucleari russi che navigano senza sosta, giorno e notte, nelle profondità del Mar Glaciale Artico. Ogni sottomarino è dotato di dieci missili intercontinentali, e ogni missile contiene sedici testate nucleari. Se scoppia la terza guerra mondiale, in pochi minuti i sottomarini sono pronti a emergere dai ghiacci dell’Artico e a sganciare contro le principali città americane tutti i missili e tutte le testate in loro possesso, per un totale di 1600 testate atomiche.  Sarebbe un colpo devastante per gli Stati Uniti, una vera e propria apocalisse nucleare. Una luce bianca accecante spazzerebbe via intere città, percorrendo l’intero continente. Le coordinate navali di questi sommergibili – che spesso e volentieri passano proprio sotto i ghiacci del Polo Nord geografico – sono il segreto militare meglio custodito che esiste, anche se gli americani cercano continuamente di intercettarli utilizzando delle sonde sottomarine che sganciano nel Mare Artico. Tutti questi sottomarini fanno capo al più importante porto per sottomarini nucleari della Russia, il Porto militare di Murmansk, situato nella Penisola di Kola. In questa penisola, che confina a nord con il Mare di Barents e a sud con il Mar Bianco, è custodito circa 1/3 di tutte le testate atomiche in possesso della Russia, che, come è noto, sono più di 5.000. Perché proprio la Penisola di Kola? Perché lanciando le testate da lì si può raggiungere facilmente, in pochi minuti, il territorio americano.

Erling Kagge è un esploratore polare norvegese che ha compiuto nel 1990 la straordinaria impresa di raggiungere il Polo Nord a piedi, con gli sci, senza utilizzare mezzi meccanici e slitte trainate da cani. La sua impresa ha dimostrato che l’unica attrezzatura di cui deve essere dotato un vero esploratore polare – sulla scia del norvegese Roald Amundsen – è una grande determinazione, un grande coraggio, un grande spirito di sacrificio e una grande capacità di affrontare le avversità di un clima così ostile. Adesso a distanza di più di trent’anni, Kagge ritorna su questa sua impresa straordinaria, e dimostra notevoli capacità di saggista e narratore. Questo suo Polo Nord. Storia di un’ossessione è un libro che ripercorre le tappe principali della sfida tra i ghiacci che lo ha portato a raggiungere quel luogo, anzi parte dalle prime ipotesi che si fecero già in età antica sulle terre settentrionali degli Iperborei, sulla mitica Ultima Thule e su cosa ci fosse in quella terra incognita del nostro pianeta. A partire dal leggendario esploratore e astronomo greco Pitea che partì da Marsiglia nel 320  AC, e dovette arrivare piuttosto vicino al Mar Glaciale Artico, dato che vide i ghiacci e descrisse dei fenomeni che corrispondono perfettamente a quelli del sole di mezzanotte e all’aurora boreale, passando per il filosofo e mistico persiano Shihāb al-Dīn Yaḥyā Sohravardī (1155-1191) fondatore della “Filosofia della Luce”, che ipotizzava l’esistenza di una “montagna di luce”, il monte Qaf, situata al Polo Nord.

Si passa poi all’epoca pionieristica della cartografia, nel XVI secolo, quando si cominciò finalmente a cartografare questi territori sconosciuti, con contorni che ovviamente diventavano sempre più vaghi man mano che si procedeva verso Nord, dove nessun navigatore si era mai spinto. E, come ci ha insegnato la Storia del sapere-potere dopo Foucault, una mappa non è mai soltanto una mappa, e disegnare mappe non è mai un gesto innocente, anzi è un gesto che produce potenti effetti di potere, come dimostrano le recenti polemiche sul vero o presunto “colonialismo” di Gerardo Mercatore. Successivamente, nel XVIII e soprattutto nel XIV secolo, comincia l’epoca delle esplorazioni polari organizzate, che avevano una grossa componente di imponderabilità e comportavano rischi enormi, tra cui l’assideramento, il crollo fisico per stanchezza, lo scorbuto, la fame, l’attacco da parte degli orsi polari, etc. Questo libro nasce dall’anelito insopprimibile che spinge l’uomo ad esplorare l’ignoto, in una continua sfida con i luoghi più ostili della terra e con sé stessi.

Come osserva giustamente Kagge, negli ultimi tempi abbiamo iniziato a considerare il Polo Nord come a “qualcosa di magnifico che appartiene al passato. La nostra potrebbe essere la prima generazione a sperimentare un Mar Glaciale Artico sgombro dai ghiacci.” Da questo punto di vista, il cambiamento climatico sta producendo degli effetti a livello planetario, ma nell’Artico in particolare essi sembrano subire un’accelerazione ancora maggiore. È un dato di fatto che tutta quella regione si sta riscaldando di più rispetto al resto del pianeta, e questo enorme cambiamento – oltre a destare una viva preoccupazione tra quegli studiosi che ne intuiscono le gravissime conseguenze sul clima globale – sta risvegliando le mire espansionistiche di coloro che da sempre, fin dall’epoca dello Zar Pietro il Grande, della Zarina Caterina, per arrivare all’epoca dell’URSS di Lenin e Stalin, hanno avuto interesse a sfruttare gli immensi territori artici, resi per molto tempo inutilizzabili dalla presenza del permafrost e dai ghiacci che rendono impraticabili migliaia di km quadrati di coste e di territori. Recentemente la Russia di Putin ha incrementato la sua flottiglia di navi rompighiaccio (52 navi), navi che sono in grado di rendere praticabile tutto l’anno la rotta navale del Nord, il leggendario passaggio a Nord-Ovest, che consente di raggiungere il Mare del Nord, l’Atlantico, il Mediterraneo, bypassando completamente le rotte del Pacifico e tutti gli inconvenienti che derivano dal passaggio nello Stretto di Suez, compresi gli attacchi degli Houthi. Molte delle vecchie basi militari nell’Artico, che erano state abbandonate dopo il crollo dell’Unione Sovietica, sono state riaperte, e nuove basi sono in costruzione. La zona dell’Artico è ricca di gas, petrolio, metalli e terre rare, fondamentali per i recenti sviluppi tecnologici delle telecomunicazioni e dell’Intelligenza Artificiale. In anni recenti i Russi hanno dimostrato che la piattaforma continentale della Russia si estende, tramite una catena montuosa sottomarina, la Dorsale di Lomonosov, fino a sotto il Polo Nord, e di conseguenza una spedizione russa ha piantato una bandiera russa di metallo proprio sul fondo del Mar Glaciale Artico in corrispondenza con il Polo Nord geografico. Anche le mire dell’America di Trump sulla Groenlandia derivano proprio da questa nuova situazione geopolitica e geoclimatica. La prossima guerra mondiale, il prossimo scontro tra le superpotenze, avverrà sul Mar Glaciale Artico. Ci sarà un grande lampo di luce bianca, ci sarà un’ondata di calore bianco, come diceva una vecchia canzone dei Velvet Underground.

La conquista del Polo Nord non è una questione di superare delle difficoltà pratiche. La conquista del Polo Nord è una questione che ogni esploratore deve risolvere dentro di sé, è una sfida metafisica. La metafisica, come ha dimostrato Jacques Derrida, è una mitologia bianca, che affonda le sue radici nella cultura occidentale elaborata dai bianchi. Il bianco da sempre indica la purezza, ma anche il pericolo. Bianca – perché scolpita nel puro marmo – è la giovenca che si avvia al sacrificio ne L’ode all’Urna Greca di John Keats. La bianchezza della grande Balena Bianca, Moby Dick, l’immane capodoglio contro il quale il capitano Achab ha ingaggiato una lotta mortale, è un qualcosa che affascina e allo stesso tempo atterrisce. Purezza e pericolo, come diceva l’antropologa Mary Douglas (Purity and Danger, 1966), sono strettamente interconnessi: questo è l’Artico, e questo deve continuare ad essere. La purezza del bianco sfavillante dei ghiacci del Polo Nord – che rischia di scomparire a causa del cambiamento climatico – e il pericolo degli orsi polari bianchi che tra questi ghiacci si mimetizzano perfettamente. Quegli stessi orsi la cui sopravvivenza è minacciata dalla progressiva erosione dei ghiacci. Senza gli orsi polari, l’Artico perde la sua essenza, perde il suo significato, dal momento che il termine arktos, in greco, significa orso. Le costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore – scrive Kagge – sono parte integrante del Polo Nord celeste. La metafisica occidentale, la cultura occidentale, deve a tutti costi conservare la purezza dei ghiacci, mantenere l’integrità dei ghiacci dell’Artico, salvare gli orsi bianchi; altrimenti rischia di concludersi con un accecante lampo bianco.