Nel centenario della nascita di Raniero Panzieri pubblichiamo questa testimonianza di Mario Tronti [1] tratto da “Raniero Panzieri. L’iniziatore dell’altra sinistra” a cura di Paolo Ferrero (Shake, 2021), da poco arrivato in libreria. Il testo di Tronti รจ apparso per la prima volta nel 2004, nel quarantesimo della morte di Panzieri. Ringraziamo Shake Edizioni per la gentile pubblicazione.
Quarantโanni da una morte improvvisa: si crea come un circuito inestinguibile tra lโattimo in cui la notizia ti colpisce e il lungo tempo della memoria. La cosa si complica per il fatto che questa, la memoria, cambia man mano che cambi tu stesso. Non si tratta dellโaffievolirsi o dellโapprofondirsi del ricordo. Non si tratta nemmeno del ricordo in quanto tale. La memoria รจ cosa piรน complessa attiene alla persona, al suo tempo, allโesperienza in comune, conoscenze e azioni fatte insieme in un certo modo e in vista di qual cosa.
Di Raniero Panzieri, quello che in questo momento mi sale davanti con piรน forza rispetto al passato รจ la figura umana. Lui in fondo รจ stato unโanomalia politica, anzi un esempio di politico anomalo, un precursore di quello che molto tempo dopo si chiamerร โun altro modo di fare politicaโ. E fece questo non perchรฉ avesse unโaltra idea della politica, o perchรฉ avesse giร elaborato una teoria contro unโaltra, ma perchรฉ lui era cosรฌ, era quellโuomo lรฌ: uno che nel pensare e nellโagire politico metteva in gioco tutta intera la propria umanitร . Non voglio riaprire la geremiade sullโattuale crisi della politica, sulla decadenza dellโattuale ceto politico. Non รจ che Raniero fosse tenero con i politici di allora, a cominciare da quelli del suo partito. A un certo punto ha deciso di separarsi da loro per gli stessi motivi per cui ci si separa da loro oggi, perchรฉ non trovi lรฌ, fuori, quello che porti dentro di te, le ragioni e le motivazioni, le forme e gli obiettivi, il โvale la penaโ, di una lotta. Panzieri รจ nato, nellโesperienza, uomo di partito, ma intimamente non lo รจ mai stato. ร stato anche rifiutato, a un certo punto, come un corpo estraneo. Ma la memoria me lo restituisce come un uomo insofferente di vincoli, non solo quelli ovviamente burocratici, ma anche quelli piรน seriamente organizzativi. Non saprei descrivere, per mancanza di conoscenze, i suoi rapporti con Morandi, che di questi temi, appunto seriamente, si occupava, ma so per certo che Panzieri ha dato il meglio di sรฉ appena fuori del Psi. Del resto, รจ qui, in quegli ultimi difficili suoi anni di vita, che รจ rimasto nel ricordo e nel rimpianto. Era un uomo del Novecento, e portava in corpo le inquietudini, le incertezze, le potenzialitร e le impossibilitร del secolo. Un tempo, unโepoca, in cui quello che si voleva fare era sempre piรน forte di quello che si poteva fare. Panzieri era appunto iscritto allโalbo dei volontaristi invece che a quello dei possibilisti. Questo aspetto affascinรฒ noi giovani intellettuali in ricerca, svegliati nel โ56 dal sonno dogmatico. Se per molti, per i piรน, quella data segnรฒ la consapevolezza che si fosse tentato troppo, per noi aveva fatto scattare il desiderio che bisognasse tentare altro. Lโorigine di quello che poi sarร lโoperaismo sta lรฌ. Perchรฉ da allora la ricerca si appuntรฒ intorno al soggetto vero, che in forme nuove e con strumenti diversi e soprattutto attraverso una inedita ripresa marxiana di analisi del capitalismo piรน sviluppato, riaprisse il processo, interrotto o deviato, della rivoluzione novecentesca in occidente. Panzieri ebbe il merito di aprirci su questa frontiera. Lo seguivamo dalle Tesi sul controllo operaio, ma Panzieri a Torino, con i suoi sociologi della fabbrica, con i metodi della conricerca, con le prime idee sullโuso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, ci chiamรฒ a un rapporto privilegiato che molto ha pesato nella nostra formazione. Cominciรฒ cosรฌ un sodalizio piรน amicale che politico. Quando scendeva a Roma, per il suo lavoro Einaudi, ci vedevamo a casa di Rita Di Leo, con Accornero, Asor Rosa, Umberto Coldagelli, Gaspare De Caro, in cene e conversazioni e poi in lunghe passeggiate notturne. Cominciammo quindi a spostarci noi a Torino e a Milano, a conoscere gli altri giovani compagni che lo seguivano, e cosรฌ nacque, da questo circolo di provenienze diverse tese a un solo scopo, lโidea di โQuaderni rossiโ. Non ricordo come venne fuori questo bel titolo eloquente, ma lโinvenzione della cosa fu tutta sua, a cominciare dalla grafica dโavanguardia, con lโidea geniale di cominciare i testi in copertina, e il formato e i caratteri, che andava a curare direttamente in tipografia. Dopo la direzione di โMondo operaioโ si era messo in testa di essere soprattutto un giornalista. Era molto di piรน.
Panzieri รจ anche molto di piรน di quello che ha scritto. La vera ereditร che ci ha lasciato รจ quello che รจ stato. Mi sono sempre chiesto che ruolo avrebbe avuto nelle vicende che piรน o meno immediatamente seguirono la sua scomparsa.
Lui che aveva anticipato gli anni Sessanta, non ha potuto viverli negli sviluppi e negli esiti che poi ebbero. Penso alla felicitร che gli avrebbe procurato lโesplosione del โ68. Era un entusiasta per tutto quello che accadeva di nuovo. Ed era, se possiamo dire cosรฌ, un movimentista ante litteram. Gli sarebbe immensamente piaciuto tutto quel disordine sotto il cielo. Lo avrebbe entusiasmato il carattere del movimento, creativo, antiautoritario, extraparlamentare. Avrebbe gioito davanti allo slogan: operai e studenti uniti nella lotta. E nellโautunno caldo del โ69 avrebbe potuto trovare conferma delle sue analisi e delle sue azioni. E chi sa se si fosse riconciliato con il sindacato dei consigli, o avrebbe chiesto di piรน. Piรน probabile, a mio parere, questa seconda ipotesi. E lโesperienza dei gruppi, come lo avrebbe visto collocato? No, non al loro interno, ma sicuramente in umana simpatia con loro e altrettanto sicuramente critico dei loro eccessi. ร probabile che si sarebbe lasciato risucchiare nelle vicende interne di scissioni del Psi, ma con quel distacco che ormai aveva acquisito riguardo a queste cose โsovra-strutturaliโ. Negli ultimi mesi di vita insisteva molto sul primato di analisi del presente da recuperare e da approfondire, fino a sfiorare quel pericolo di sociologismo, che fu motivo non secondario delle nostre divergenze. Ma comunque, in tutto quel periodo che va fino a metร degli anni Settanta, si sarebbe trovato a suo agio, lui generoso combattente innovativo, ed รจ incerto โ su questo non saprei pronunciarmi โ se gli sarebbe stata offerta unโoccasione di leadership. Dopo no, dopo, come tutti noi, avrebbe cominciato a soffrire, nella forte ripresa di egemonia capitalistica, e un destino di emarginazione temo proprio che non gli sarebbe stato risparmiato.

ร un peccato che Panzieri non abbia potuto vivere gli anni della vittoria operaia, ed รจ una fortuna che non abbia visto i tempi della liquidazione del movimento operaio.
Non era uomo di partito, abbiamo detto. Era piuttosto un movimentista prima dei movimenti, abbiamo aggiunto. Ragioniamo ancora un poโ su questo. Cosรฌ forse ci avviciniamo a quello che suppongo ci si aspetti da me in questa sede, cioรจ che dica qualcosa sul contrasto che ha spaccato a un certo punto la redazione di โQuaderni rossiโ. Ho detto quello che mi ha unito a lui. Devo dire adesso quello che da lui mi ha diviso. Lo faccio con un poโ di malinconia. Perchรฉ rispetto ai contrasti di fondo che uno poi ha avuto, e continua ad avere, con le posizioni dominanti nella sinistra, quelle con Panzieri appaiono come delle differenze di sfumatura. La cosa interessante, a ripensarle dopo decenni, รจ che assumono una dignitร teorica, in quanto ripetono, in piccolo, le grandi dispute classiche interne, appunto, alla tradizione del movimento operaio. Il fatto che si siano riproposte in quella contingenza italiana dei primi anni Sessanta, vuol dire che quel momento segnรฒ un passaggio a suo modo classico di storia della lotta di classe. Forse lโultimo. ร questo il motivo per cui vale probabilmente la pena di riparlarne.
Panzieri era un socialista. Un socialista di sinistra. Questo perรฒ non lo definisce ancora bene. La sinistra socialista, quella del Psi, non lo ha visto mai come un suo esponente organico. Storicamente, era un socialista rivoluzionario, di quelli che nel processo della rivoluzione in Russia si distinguevano dai bolscevichi, ritrovandosi spesso, anche se confusamente, alla loro sinistra. Era piรน luxemburghiano che leniniano. Privilegiava lโiniziativa delle masse piรน che la direzione di partito. Tutto il potere ai soviet non lo Stato operaio. I suoi eroi erano i marinai di Kronstadt piรน di quelli della corazzata Potรซmkin. Passando in occidente, si avvicinava a un orizzonte anarco-sindacalista: ma perchรฉ amava gli irregolari delle lotte. Uno dei primi libri che ci mise in mano fu Diario di un operaio di Daniel Mothรฉ. Non ho mai capito se avesse qualcosa di piรน che una curiositร trotzkista. Allora queste erano ancora accuse infamanti, oggi le possiamo riguardare come simpatiche differenze. A parole, e negli scritti, combatteva lo spontaneismo, ma per natura, come lโho conosciuto io, nella vita e nel lavoro, e in politica, era persona allergica a un lavoro di organizzazione.
No, le divergenze che portarono alla scissione โ ma รจ parola eccessiva! โ di โQuaderni rossiโ e alla nascita di “classe operaia”, non furono divergenze teoriche ma politiche. Non fu la separazione tra i โsociologiโ di Torino e i โfilosofiโ di Roma. E la successiva accusa, garbatamente ironica, di Raniero a me, di pensare la classe operaia come il soggetto di una filosofia hegeliana della storia, aveva le sue ragioni nel merito, ma non cosรฌ determinanti da provocare su questo una rottura. Del resto, quando portammo da Roma nei gruppi di Torino, Milano, Genova, Porto Marghera, che giร lavoravano a una analisi delle novitร intervenute nel processo produttivo, il problema strategico di far uscire la classe operaia dalla fabbrica per gettarla nella societร a guidare lโaltro processo, quello di trasformazione politica, e questo sulla base del salto neocapitalistico in atto nel paese, la proposta non solo convinse Raniero, ma lo entusiasmรฒ. Ci sono documenti su questo. La svolta nei โQuaderni rossiโ ci fu quella volta โ estate โ62, lotta contrattuale dei metalmeccanici, ritorno massiccio degli operai Fiat allo scontro generale quando si decise di uscire con un volantino rivolto direttamente agli operai. Cโerano alcune perplessitร , Raniero fece una consultazione, i sรฌ risultarono in grande maggioranza. La cosa si fece e lo scandalo scoppiรฒ. Come si permetteva una rivista di parlare agli operai, per dare indicazioni di lotta? Mai avvenuto, nel โpoliticamente correttoโ di allora. Poi i fatti di Piazza Statuto aggravarono la situazione. Lโaccusa di aver fomentato i disordini di piazza era classica. Raniero si spaventรฒ. Forse lo colse il timore di buttarsi in unโavventura piรน grande delle nostre forze. Era piรน prudente, aveva piรน esperienza, noi, piรน giovani, eravamo piรน incoscienti. Il pericolo dellโisolamento era forte. La sponda sindacale era caduta presto. Lโostilitร dei partiti cresceva. Dopo il primo numero, i nomi piรน altisonanti si erano subito defilati. E lui si ritrovava con intorno questo gruppo di matti intelligenti. Certo, lo capisco piรน oggi che allora.
Comunque da lรฌ cominciรฒ un divaricarsi di posizioni, tra chi pensava che bisognasse privilegiare lโintento originario di offrire un corpo aggiornato di analisi alle organizzazioni del movimento operaio e chi invece credeva che occorresse passare a una fase di intervento articolato nelle lotte, per spingere quelle organizzazioni a porre e a porsi obiettivi piรน avanzati. ร da questa seconda opzione che โ gennaio โ64 โ nasce โclasse operaiaโ, mensile, โgiornale politico degli operai in lottaโ. Credo sia stato per Raniero uno strappo, dentro. Lo sento ancora oggi come un dolore inconsapevolmente inferto. Ho detto che cโera amicizia umana. Non si ruppe. Come non si ruppe mai con gli altri compagni che scelsero di continuare con i โQuaderniโ. Ma รจ triste quando lโamicizia si incrina sul terreno della politica. Non ho assolutamente alcun dubbio sul fatto che, passato quel momento, saremmo tornati con Raniero in amicizia a fare cose politiche insieme. La telefonata che mi annunciava quella assurda morte improvvisa ce lโho ancora nella testa. Non ce la feci ad andare al suo funerale.
In realtร , quelle preoccupazioni che tendevano a ridimensionare il ruolo di protagonista politico assunto dalla rivista, sembravano a noi eccessive di fronte alla fase montante della lotta di classe in quel momento in atto. Il dissenso qui era sullโanalisi della fase. Il โ62 aveva squarciato il velo di una storica arretratezza delle lotte in Italia. Adesso finalmente le forze sociali piรน avanzate stavano lโuna di fronte allโaltra. La fortunata invenzione semantica โ operai e capitale โ esplode lรฌ, davanti ai cancelli di Mirafiori, della Spa di Stura, del Lingotto, delle Ferriere: 60.000 fuori, il padrone solo dentro. Raniero vedeva lโesplosione della fabbrica, ma non pensava che potesse sfondare nella societร .
Nel breve periodo aveva ragione lui. Nel periodo medio avevamo ragione noi. Sul lungo periodo avevamo torto tutti. Immediatamente ci fu un riflusso. La spinta dello sviluppo neocapitalistico si attenuรฒ. Lโaria di recessione fece indietreggiare di molto gli ambiziosi equilibri politici piรน avanzati dellโallora centro-sinistra, tra finti golpe e manovre di palazzo quello che chiamavamo il riformismo del capitale si perse per strada, le lotte non scomparvero ma si riarticolarono. Seguimmo โ tra il โ64 e il โ66 โ questi complicati processi con quello strumento di analisi e di intervento che fu il giornale โclasse operaiaโ. Ma รจ vero: lo sbocco sociale, subito, non ci fu. Ci fu perรฒ subito dopo, nel nuovo biennio rosso โ68-โ69. Lรฌ lo sfondamento delle lotte di fabbrica nella societร civile prima, nella societร reale poi, divenne un fatto dirompente. Il sindacato fu il primo a prenderne atto, con la stagione dei Consigli. Ma ne fu investita tutta intera la politica, con i partiti e con le istituzioni. I primi anni Settanta sono questo: una redistribuzione della forza nel rapporto tra le grandi classi, dal salario al potere. La reazione scomposta, violenta, eversiva, di sistema sta lรฌ a dimostrarlo. E tuttavia non fu questโultima alla fine a vincere. Anzi questโultima riuscimmo a contrastarla con la mobilitazione di massa. Vinse dopo la risposta pacifica, strutturale, neoliberista del capitale. Questo mostrรฒ non di avere piรน risorse, perchรฉ di risorse gliene riconoscevamo giร tante. Mostrรฒ di avere in corpo risorse diverse. Non immaginavamo il postfordismo, la capacitร , dopo aver scomposto il lavoro del singolo, di scomporre il legame sociale di classe: e questo a partire dal processo produttivo, rivoluzionandolo dallโinterno e soprattutto nel rapporto con lโesternalitร della societร , marginalizzando la fabbrica come โconcetto scientificoโ, secondo unโespressione operaista, cioรจ rendendo residuali gli operai e il loro padrone. Non abbiamo previsto lโattacco vincente alle conquiste sociali dei lavoratori per la via di una ripresa in grande di egemonia culturale capitalistica. Il neocapitalismo industriale anni Sessanta aveva di fronte quella egemonia della cultura di sinistra, che oggi tutti deprecano. Il ritorno di capitalismo classico anni Ottanta si รจ preoccupato di riappropriarsi dellโesercizio di egemonia. E qui che soprattutto ha vinto. Processi resistibili, che pure hanno operato uno sfondamento delle linee. A rileggere da questi esiti la vicenda dellโoperaismo, si vede che essa non fu un presuntuoso abbaglio, semmai una generosa illusione. Ne parlerรฒ piรน distesamente altrove. Ne anticipo solo una formula in parte, solo in parte, riassuntiva: non mancรฒ lโintelligenza, mancรฒ la forza. E i processi furono piรน forti dei soggetti.
Questo mi conduce al punto, a mio parere veramente essenziale, per arrivare a ripensare, con lโambiguo privilegio della lunga distanza, i rapporti tra Raniero Panzieri e me. Unโaltra cosa che mi sono chiesto รจ come avrebbe reagito Raniero a quel seguito di pensiero che proprio a partire dallโesperienza dellโoperaismo ha portato ad assumere poi il tema dellโautonomia del politico. Come la gran parte della costellazione operaista, magari con un di piรน di curiositร intellettuale, avrebbe, con tutta probabilitร , declinato il passaggio. Sicuramente, come me, non si sarebbe imbucato nella controversa esperienza dei โgruppiโ post-operaisti. Ma รจ pur vero che era per natura, per umanitร , ostile al gioco, anche alto, della politica. E non era stato, come noi, folgorato da quellโincontro inedito tra realismo politico e pensiero negativo, che diventerร poi la cifra della nostra, sicuramente della mia, cultura della prassi. Direi, perรฒ, che non รจ ancora questo il punto. Il vero punto รจ che lui era un socialista e io ero un comunista. Mi piace a questo punto rileggere i nostri rapporti come un piccolo episodio novecentesco del nobile confronto fra tradizione socialista e tradizione comunista.
In comune cโera il fatto che allโinterno delle due tradizioni non sceglievamo nรฉ lโortodossia nรฉ lโeresia, ma lโeterodossia dunque la โcriticaโ, cioรจ le posizioni non ufficiali, non necessariamente minoritarie, anzi con lโambizione di unโalternativa vincente. Un no, complementare, al riformismo e al settarismo. Se per lui un riferimento possibile era a posizioni socialiste-rivoluzionarie e luxemburghiane, per me il riferimento certo era a posizioni bolsceviche e leniniane. Non erano questi allora i rimandi espliciti. Mi viene in mente, mentre scrivo queste cose, che il linguaggio di allora era piรน innovativo, piรน creativo. ร che la storia, in questi decenni dagli anni Sessanta ad oggi, ha fatto grandi passi allโindietro, e ci costringe, nostro malgrado, al recupero delle tradizioni. Ecco il bel risultato che hanno raggiunto gli improbabili innovatori che affliggono il nostro tempo! A rileggerla adesso, la differenza con Panzieri mi appare quella tra spontaneitร e direzione, tra autorganizzazione e organizzazione, tra Consigli e Partito. So di compiere unโinterpretazione per eccesso, ma mi piace, appunto, veder precipitare lรฌ, anche lรฌ, lโimmane problema irrisolto, che segna il vero fallimento della rivoluzione in occidente, quello del rapporto tra operai e Stato. E questo ancora il punto di problema capace di squarciare il passato.
Forse Raniero non avrebbe condiviso, ma avrebbe sorriso, acceso una sigaretta, e giรน a discuterne fino a notte.
[1] Mario Tronti รจ nato a Roma nel 1931. Ha partecipato alla redazione di โQuaderni rossiโ e ha diretto โclasse operaiaโ. Ha coordinato la direzione di โLaboratorio Politicoโ. Ha insegnato Filosofia politica allโUniversitร di Siena. Tra i suoi libri: Operai e Capitale (Einaudi, 1966), Sullโautonomia del politico (Feltrinelli, 1977), Con le spalle al futuro (Editori Riuniti, 1992); La politica del tramonto (Einaudi, 1998), Il demone della politica (il Mulino, 2017).