Di Ethel Mannin (1900-1984), della sua biografia e del suo straordinario e purtroppo unico romanzo gotico, Lucifero e la bambina, abbiamo già parlato a suo tempo e a quelle pagine rimandiamo il lettore. Il libro che Agenzia Alcatraz ha appena pubblicato e che inaugura Etheliana, una collana dedicata interamente alla prolifica e multiforme attività letteraria dell’autrice inglese – che si era proposta di scrivere almeno un romanzo e un saggio ogni anno, e così aveva fatto tra i 25 e i 75 anni – non è meno provocatorio e “scomodo” del precedente seppure orientato in tutt’altra direzione. Un testo che conferma la posizione controcorrente, sempre sincera, lucida e appassionata, ma mai prona alle osservanze canonizzate dal codice normativo della classe intellettuale britannica nei cui ranghi Ethel era riuscita così faticosamente a farsi largo, in quanto donna e soprattutto in quanto proletaria d’origine (in gioventù era stata costretta ad abbandonare gli studi e a lavorare per anni come segretaria in un’azienda senza smettere mai di scrivere). Refrattaria all’ubbidienza, fosse pure ai dettami della sinistra inglese dove aveva militato a lungo e con fervore, da principio nel Labour Party e poi nell’ Independent Labour Party, prima di rompere clamorosamente con quelle posizioni, a suo dire, troppo filosovietiche e staliniste, e passare dal comunismo alle file degli anarchici, si era guadagnata molti devoti estimatori ma soprattutto ancor più acerrimi nemici. Già negli anni ’30 aveva fatto scandalo la sua autobiografia, in cui dichiarava la propria bisessualità e rivelava le appassionate relazioni extraconiugali con il poeta W.B. Yeats e con il filosofo Bertrand Russell; aveva infastidito molti benpensanti il suo sostegno attivo alla Solidarietà Internazionale Antifascista (SIA) durante la Guerra Civile spagnola; altrettanto indigesti per l’opinione pubblica conservatrice risultavano il suo anticolonialismo, l’antirazzismo, l’agnosticismo, il femminismo e il pacifismo gandhiano del dopoguerra. Insomma, Ethel era una donna di intenso fascino, sia fisico che intellettuale, ma una gran rompiscatole.
Tanto per accrescere ulteriormente l’ostilità di molti nei suoi confronti, Ethel, ormai non più giovane, si schiera di nuovo dalla parte meno conveniente. Nel 1958 il romanzo di propaganda filosionista Exodus, scritto dal giornalista ebreo-americano Leon Uris, diventa un best seller internazionale secondo solo a Via col vento e nel 1960 Otto Preminger ne trae un film di uguale successo sceneggiato da Dalton Trumbo (sceneggiatore comunista interdetto per 15 anni da Hollywood perché finito nella lista nera della Commissione per le attività antiamericane, che ricomincerà a firmare opere a suo nome proprio con questo film e con il contemporaneo Spartacus di Stanley Kubrick) e interpretato da Paul Newman nei panni di Ari Ben Canaan, personaggio ispirato alla vita e alla storia di Yitzhak Rabin, generale delle forze di difesa e in seguito primo ministro israeliano. Un’operazione di scoperto e incondizionato appoggio allo Stato di Israele proposta però in termini apparentemente progressisti e “di sinistra”. Ethel, che ha compiuto in quegli anni vari viaggi in Medio Oriente e ben conosce la questione palestinese, non ci sta, e nel 1963, raccogliendo testimonianze e notizie dirette dalle vittime della Nakba del 1948, scrive – come dichiara in esergo al testo, dopo una citazione da Giosuè, il libro più mostruoso della Bibbia – «A e per i profughi palestinesi che, in tutti i Paesi arabi ospitanti, mi hanno detto: “Perché non scrivi la nostra storia – la storia dell’altro esodo – il nostro esodo?”».
E così nasce La strada per Be’er Sheva, il primo e forse l’unico testo occidentale che riferisce quanto accaduto dalla parte dei perdenti. La memoria della Nakba: fatta di stragi, persone mitragliate a freddo dagli Einsatzgruppen israeliani, violenze carnali, sputi in faccia e pisciate nei pozzi dell’acqua potabile, case bruciate, donne vecchi e bambini costretti a fuggire nel deserto senza viveri e sotto le incursioni continue dell’aviazione. A dimostrare, per chi se ne fosse accorto solo ora, che non nasce con Gaza l’accanimento colonialista e, diciamolo pure, apertamente nazista dei sionisti contro i palestinesi: tutto questa violenza Ethel già ce la racconta.
Il romanzo, il cui finale, lo anticipo, ci lascia con l’amaro in bocca, ma non potrebbe essere altrimenti, qui gli eroi finiscono purtroppo non sull’altare ma nella polvere come nella realtà, è diviso in tre parti: la prima L’esodo, racconta delle centomila persone scacciate da Lidda e dai villaggi circostanti durante la guerra arabo-israeliana e l’attraversamento del deserto fino alla città di Ramallah sul lato arabo, e tra questi la famiglia di Butros Mansour, un proprietario terriero palestinese di fede cristiana, della moglie inglese e del figlio dodicenne Anton, segnato profondamente dalla terribile esperienza; la seconda L’esilio, è il bildungsroman di Anton, costretto dopo la morte del padre di crepacuore a Gerico, a crescere in Inghilterra, presso la famiglia della madre, una dimensione affettuosa e accogliente ma alla quale non riesce a non sentirsi estraneo, poi la scoperta dell’amore e del sesso – ma anche del dolore per l’insuperabilità delle barriere etniche – e la pervicace conservazione della propria identità grazie al culto del ritorno in Palestina, tra gli amici e i compagni, per infiltrarsi sulla strada di Be’er Sheva, ormai in mani israeliane, e rivedere casa; il terzo Il ritorno, narra il controverso avverarsi dei suoi desideri e il tragico esito della vicenda. Una storia che potrebbe essere – e molto probabilmente è – autentica e per questo triste, spietata e priva di ogni consolazione.
Oggi più che mai si impone di leggere un libro come questo e non possiamo non essere grati al coraggio di Agenzia Alcatraz che lo pubblica – in una splendida edizione ottimamente tradotta da Stefania Renzetti e chiosata dall’accorata postfazione di Tiffany Vecchietti – e che dedica spazio e attenzione a una donna e a una scrittrice come Ethel Mannin. Speriamo che gli si aggiunga presto anche il suo seguito ideale, il romanzo del 1966 The Night and Its Homing, ma la collana Etheliana avrà vita lunga ci auguriamo.