In copertina il bel volto di Claudia Cardinale, in una posa da diva del cinema. Gli occhi rivolgono lo sguardo sensuale in una direzione che non è quella di chi guarda. Il corpo è svestito. La sua mano gioca con i lunghi capelli. È uno scatto del fotografo americano Ken Danvers. Tutto appare casto e al contempo sprigiona una forte carica erotica. È l’immagine che ci introduce a La bella confusione, il libro che Francesco Piccolo propone in questi giorni per raccontarci attraverso il cinema e la letteratura cos’era l’Italia degli anni Cinquanta. Anni in cui il nostro paese rappresentava sé stesso anche attraverso due fatti artistici di rilievo internazionale: il cinema dei grandissimi Fellini e Visconti. E la letteratura in ottime condizioni, con Flaiano e Moravia su tutti. Gli scambi tra le due discipline, allora come oggi, erano molto frequenti. Spesso si svolgevano sotto la sapiente regia di Suso Cecchi D’Amico. I romanzi fornivano spunto per le sceneggiature e le sceneggiature erano spesso oggetto di interventi da parte degli scrittori.
Tutti insieme però erano dentro il tritacarne delle imposizioni del potere politico. Da una parte la Chiesa cattolica che attraverso la censura e la Democrazia Cristiana riusciva a controllare e a far modificare film e libri fino nei minimi dettagli. Dall’altra parte il potere contrario, meno forte ma attentissimo del Partito Comunista Italiano che, soprattutto dalle pagine dei suoi giornali (“Rinascita”, su tutti), orientava il gusto del pubblico facendo leva su posizioni critiche precostituite. Il risultato di questo clima, tra l’altro, fu la polarizzazione delle antipatie personali, anche se nulla avevano a che fare con le differenti posizioni politiche. Si verificarono così una serie di comportamenti ed episodi polemici e grotteschi che costituiscono l’anima di questo libro la cui lettura comporta grande piacere e una bella dose di divertimento.
Piccolo per anni legge articoli e libri, incontra e intervista personalità dell’epoca, avvia riflessioni sul senso della produzione dell’opera d’arte e sulla percezione di cosa mai possa essere un “capolavoro”. Ma la cronaca dei fatti, la storia minima, sono importanti tanto quanto i grandi eventi come gli Oscar, i successi di critica e di pubblico.
A metà degli anni Cinquanta, Visconti stava girando Senso mentre, più o meno in contemporanea, Fellini girava La Strada. Proprio in quell’occasione il sostegno ideologico all’antipatia che serpeggiava tra i due si manifestò con molta forza. La stampa di sinistra giudicò il film di Fellini come un tradimento del neorealismo, essendo troppo spirituale e favolistico. La stampa cattolica invece se ne appropriò traendo vantaggio anche dalla vittoria di Fellini all’oscar del 1957 come miglior film straniero. Dieci anni più tardi, i due registi si trovarono nuovamente a lavorare in contemporanea: Fellini sul set di Otto e mezzo (altro oscar come miglior film straniero) e Luchino Visconti per il Gattopardo, tratto dal travagliato romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Entrambi avevano nel cast Claudia Cardinale che, per questo, era costretta a fare la spola da un set all’altro. Ma cosa succedeva ancora? Per un regista, Cardinale doveva portare i capelli neri, per l’altro doveva essere bionda- E lei si tingeva continuamente i capelli in un modo e nell’altro.
È improprio cercare simbologie dove non ci sono, ma se una persona amasse lo scherzo e il gioco, potrebbe dire che Cardinale rappresentava l’Italia, che stava uscendo dal dopoguerra, contesa tra due diverse tensioni. Il racconto di Piccolo prosegue nel coinvolgimento di altri fatti e altri aneddoti. Sempre sul crinale che divide e unisce cinema e letteratura appaiono nella vicenda Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano, Leonardo Sciascia, Alberto Moravia, Marcello Mastroianni, Sandra Milo, Franco Fortini, Elio Vittorini.
Ancora il destino editoriale (e politico?) del Gattopardo mette il Partito Comunista nella difficile situazione di risolvere un’ambiguità che lui stesso aveva creato. Prima stronca il libro attraverso l’intervento di Mario Alicata, poi lo riabilita per l’edizione russa con una introduzione dello stesso Alicata perché il libro in Francia era stato molto apprezzato, addirittura da Lukács. Tante sono le riflessioni sul lavoro artistico e autoriale che Piccolo, sceneggiatore oltre che scrittore, propone in questo libro. In un dedalo di episodi che ci danno il privilegio di vedere cosa succede mentre nasce un’opera d’arte.