Franco “Bifo” Berardi / Congiunzioni scoordinanti: fascismo e patologie terminali

Franco “Bifo” Berardi, E: La congiunzione, Nero, pp. 346, euro 20,00 stampa
Franco “Bifo” Berardi, Come si cura il nazi. Iperliberismo e ossessioni identitarie, Tlon, pp. 112, euro 14,00 stampa, euro 6,99 epub

Dopo i nuovi testi più recenti usciti per la collana Not di Nero Edizioni – Futurabilità e Fenomenologia della fine, già recensiti in Pulp Libri) – Franco “Bifo” Berardi ripropone in questi ultimi mesi due suoi volumi aggiornati la cui pubblicazione risale a qualche anno fa. Uno, Come si cura il nazi, uscito per la prima volta nel 1993, è un libretto ormai quasi classico e ristampato negli anni da parecchi editori: quest’ultima edizione Tlon è accompagnata da una bella postfazione dell’autore che riconsidera il problema a trent’anni di distanza. L’altro invece, E: La congiunzione, ancora per Not di Nero, è la traduzione, in parte aggiornata ed espansa, di un libro, pubblicato in inglese nel 2015, in cui la “E”, congiunzione coordinante copulativa, diventa percorso-guida attraverso le concatenazioni concettuali che sottendono a insiemi semantici/capitoli raccolti rizomaticamente sotto l’intestazione di termini inizianti con la stessa lettera: Epidermide, Erotica, Estetica, Etica, Effetto sciame, Esistenza/Esperienza, Esaurimento/Estinzione, Evoluzione, ecc., lungo una genealogia della globalizzazione capitalista in cui il flusso semiotico del capitale col suo bombardamento ininterrotto di stimolazioni a-significanti, ci ha resi incapaci di coordinare intellettualmente gli stimoli informativi e soprattutto di elaborarli emotivamente, abbandonandoci a una deriva non tanto transumana quanto disumana.

È interessante riconsiderare, alla luce delle intuizioni di Bifo, i recenti rigurgiti squadristici e la mefitica strumentalizzazione da parte dell’estrema destra – governativa e non – del movimento di opposizione al green pass, che stanno agitando il nostro paese. Sostiene infatti Bifo in E: La congiunzione: “Negli anni successivi al 2016 è emersa la coscienza del fallimento della promessa neoliberale, e una nuova alleanza di estremismo neoliberale aggressivo e di etno-nazionalismo. Il peggio dei due mondi che un tempo apparivano in opposizione: la reazione antiglobale e al tempo stesso l’accelerazione della distruttività del mercato […] Il fascismo non tornerà nelle sue forme storiche, perché qualcosa di molto più spaventoso prende forma: non la Wille zur Macht di ordine storico dei criminali fascisti del secolo passato, ma l’automazione di un processo di sterminio. Non la volontà criminale, ma l’inevitabile dispiegamento della regola inscritta nella macchina”. Un processo dunque che, una volta innescato, va avanti da solo in un cieco trascinamento meccanicista. Come detto più avanti: “Nel panorama globale contemporaneo, dopo la scomparsa dell’attore culturale egualitario, sono rimasti due attori: la forza dell’automa tecno-finanziario e la proliferazione di corpi dementi reattivi, rancorosi, identitari”. L’astrazione degli automatismi dell’economia capitalistica che procede inarrestabile e sfrenata verso la catastrofe ecologica e l’estinzione massificata, da un lato, e dall’altro i contraccolpi misoneisti della reazione etno-identitaria dove il populismo sovranista ripropone le anacronistiche e deleterie semplificazioni dei totalitarismi novecenteschi. Deterritorializzazione e soggettività connettiva fluttuante in fronte a Blut und Boden, “Corpo senza Organi” cyberspazializzato in fronte a Organicismo sociale restaurato, dunque: l’uno opposto all’altro e l’uno complementare all’altro, apparenti antitesi che mascherano le complicità di una comune prospettiva nihilistica, come il mutuo sostegno del trono e dell’altare nella Santa Alleanza.

Già nel ’93, in Come si cura il nazi, Bifo aveva riconosciuto nella dittatura berlusconiana e nel cinismo yuppie i presupposti per l’instaurazione di un cyber-fascismo e la riemersione di mai sepolte patologie del nostro modello antropologico e produttivo. “La malattia non si combatte: si cura. […] Per poter curare la malattia occorre sapere che essa non è solo là fuori, nel nemico, nel cattivo, nel nazi – ma che noi stessi ce la portiamo dentro. La malattia è all’opera in potenza nella nostra sofferenza, nella nostra paura, nel nostro inconscio”. Oggi, nella postfazione a trent’anni di distanza, conferma la natura del male: “La follia del fascismo novecentesco era una follia euforica, esuberante. L’identitarismo aggressivo del XXI secolo, al contrario, è espressione di un mondo declinante, di popolazioni senescenti. Perciò nel movimento neoreazionario del XXI secolo emerge l’espressione di una demenza senile, di una depressione psichica senza speranze eroiche, ma piuttosto sordida, rancorosa, ossessionata dall’impotenza politica e dall’impotenza sessuale”. All’origine del male c’è, come sempre, la sofferenza. Ma la sofferenza psichica di oggi non è più quella del Novecento: oggi l’Occidente è entrato nel suo declino irreversibile, “esaurimento delle risorse, esaurimento delle possibilità di espansione economica, esaurimento dell’energia psichica”. Si riconferma l’insussistenza del contrasto fra democrazia liberale e sovranismo aggressivo, modelli uniti nella pratica di un identico darwinismo sociale. “Razzismo e xenofobia si manifestano in maniere diverse nella cultura dei vincenti nazi-liberisti e in quella dei perdenti sovranisti fascistoidi. […] I vincenti nazi-liberali vedono di buon occhio le migrazioni, purché i migranti non pretendano di installarsi nei quartieri alti e accettino le condizioni di lavoro che vengono loro imposte dai tolleranti liberal à la Benetton. Per i fascistoidi identitari delle periferie i migranti sono un fattore di concorrenza sul lavoro e un pericolo quotidiano. […] Per questo il razzismo attecchisce tra i miserabili delle periferie, mentre ai quartieri alti si tratta con cortesia la serva filippina”.

Se trent’anni fa Bifo auspicava ancora la possibilità di curare il nazi, oggi è costretto ad ammettere che invece il nazi ha curato noi, guarendoci “dall’infezione che ci rendeva umani”. In un’intervista recente, commentando il suo libro del ’93 che stava per essere ristampato e quello appena uscito della Meloni, scriveva: “Il partito di Giorgia Meloni, che per abitudine mi viene da chiamare fascista, si prepara ad avere un ruolo che forse sarà di primo piano, dopo la presidenza Draghi, l’esperienza più totalitaria che il paese abbia mai conosciuto. Draghi è un uomo che rappresenta perfettamente lo stile della Goldman Sachs: cinismo criminale e aristocratico understatement. Quando quest’uomo è comparso sulla scena tutti si sono inginocchiati di fronte al Moloch. Tutti, con l’eccezione dell’autrice di questo libro, e del suo partito. Gli inginocchiati appaiono (e sono) talmente indegni, a cominciare dai patetici grillini pronti a sposare Berlusconi e forse anche a vendere la mamma pur di non abbandonare la poltrona, che l’unico partito che ha rifiutato di partecipare all’orgia del potere ne sarà giustamente favorito e, come è giusto, governerà il paese. Non governerà a lungo, nelle mie previsioni, perché il caos devasterà la vita sociale, le catastrofi si succederanno con un ritmo incalzante, e il prossimo governo dei fratelli d’Italia e dei nazisti salviniani ne sarà rapidamente travolto”.

Su queste prospettive catastrofiche si staglia l’esperienza della pandemia, conclusione della storia della modernità, in cui i termini stessi delle opposizioni politiche novecentesche si confondono squagliandosi impotenti di fronte alla proliferazione caotica e alla pura potenza degli automatismi tecnici. Eppure, a conclusione della sua postfazione del testo ristampato da Tlon, Bifo ha ancora il coraggio di nominare l’unico improponibile antidoto a una sempre più probabile estinzione: “Il comunismo torna al centro della scena, ma per il momento torna al centro come assenza, come inimmaginabile, impensabile, indicibile”.