François Boespflug / Il mistero intraducibile e le sue immagini

François Boespflug, Il giorno di Pasqua nell’arte. Gli incontri del Risorto, tr. Emanuela Fogliadini, Jaca Book, pp. 179, euro 70 stampa

Solo nelle immagini si realizza il vero senso della metafora. Le parole, questo sono: la traduzione dell’immagine in suono. La religione e il mito, più della filosofia, sanno esprimere questo. Poiché esse sono archetipiche e in esse si annida quanto di più intimo e indialettico ci appartiene.

François Boespflug è uno storico dell’arte cristiana. Con un passato da sacerdote e professore emerito presso la facoltà di teologia di Strasburgo, come egli stesso ama ricordare, un domenicano deve studiare per tutta la vita. La sua nutrita bibliografia testimonia questo costante lavoro che egli ha orientato circa la riflessione sui problemi di ricezione e trasmissione delle immagini. Specializzato nell’iconografia delle Bibbie miniate, la sua trentennale ricerca iconografica lo ha condotto all’analisi delle numerose rappresentazioni del divino nelle tre grandi religioni monoteiste.

 

Eugene Burnand, I Discepoli Pietro e Giovanni corrono al sepolcro la mattina della Risurrezione, 1896, Museo d’Orsay, Parigi.

Ne Il Giorno di Pasqua nell’arte, Boespflug, ripercorre l’evento mettendone a fuoco i maggiori momenti, divisi nei relativi capitoli: la scoperta della tomba vuota, l’apparizione del Risorto alle tre donne, la scena del Noli me tangere, l’annuncio della Resurrezione agli apostoli, l’esperienza dei discepoli di Emmaus, l’apparizione agli undici nel cenacolo e l’ascensione a Betania. Le rappresentazioni chiamate in causa da Boespflug vanno dal V secolo fino agli anni ’90 del Novecento e riguardano tanto l’arte miniata quanto quella monumentale, passando attraverso i numerosi olii e acquerelli. Il catalogo è un vero e proprio viaggio non solo tra tempi e forme diverse di rappresentazione, ma anche nelle diverse Europe e i loro dintorni, dagli affreschi del monastero copto di Sant’Antonio il Grande in Egitto, a quelli del Monastero di Visoki-Dečani in Kosovo e del Monastero di Mileseva in Serbia, e passando attraverso il Duomo di Padova e il Louvre, fino al Monastero di Santa Caterina del Sinai e al Matenadaran di Erevan, che accoglie i preziosissimi codici miniati della tradizione armena.

Ma non sono che alcune tappe, queste, nelle quali vediamo alternarsi ai rinomati Giotto, Giulio Romano, Caravaggio, Dossi, Rembrandt, altri di nicchia, eppure particolarissimi, tra i quali i modernissimi François-Xavier de Boissoudy e Jeanne-Marie Pirot, in arte Arcabas, scomparso nel 2018, autore di un meraviglioso ciclo dei discepoli di Emmaus nella Chiesa della Resurrezione di Torre de’ Roveri, in provincia di Bergamo. Attraverso il catalogo è messo in risalto l’insieme complesso che costituiscono i testi dei quattro Vangeli relativi al giorno di Pasqua.

François-Xavier de Boissoudy, Donna, perché piangi?, 2015 collezione privata.

La vicenda della Resurrezione non è una dichiarazione di fede, né una rivelazione potente o universale. La sua dimensione è paradossalmente umana. I fatti che accadono nel giorno di Pasqua sono costellati di incredulità, contraddizioni, dubbi. Gli incontri, gli eventi, gli sviluppi, i silenzi, le paure, i numerosi attori in scena, le disparate reazioni, i nessi incoerenti, presentano, all’interno dei testi canonici, una ricca fonte di riflessioni e di temi. Il corpo del Risorto è un corpo pesante che soffre, sanguina, patisce fame, si affatica, sul quale sono impressi i segni della mortalità. Non c’è nulla di miracoloso in esso. Vi è piuttosto l’enigma, il desiderio di verità, lo sbigottimento, la reticenza.

Questa complessità e questo mistero ricadono nell’arte figurativa. Le rappresentazioni sono attraversate da numerosi motivi e suggestioni particolari, dal Cristo giardiniere, alla sua discesa negli Inferi, il quale a sua volta resuscita Adamo ed Eva. Le tradizioni iconografiche sono diverse. In queste opere, o meglio, nella maggior parte di esse, parimenti alle storie che esse narrano, permane un elemento che sfugge. Nel racconto evangelico non abbiamo elementi circa i dialoghi che ebbero gli apostoli sul prodigioso fatto, mentre nelle immagini persiste un senso di sospensione nei gesti, nelle pose, nelle prossemiche. Tuttavia questa sospensione non costituisce una fuga, ma un’abitabilità dell’opera. Queste immagini ci invitano ad entrare, essere parte di esse e delle loro incertezze, delle loro esitazioni, delle loro ambiguità.

Harmenszoon van Rijn Rembrandt, L’ultima cena in Emmaus, 1629, Musée Jacquemart-André, Parigi.

La lettura del libro e delle sue immagini, ci induce a una particolare considerazione. La religiosità, fino all’Illuminismo, era stata una questione ordinaria nella vita degli individui. La sottile presenza di una costante alterità, sin dalle esperienze quotidiane più semplici ed elementari, rappresentava per ognuno, nel proprio intimo, il continuo confronto con qualcosa di intraducibile.  In seno a questo sentimento, nel mondo antico, abbiamo, invero, una percezione della corporalità molto più forte, accentuata, profonda.

Con il repulisti di ogni contenuto spirituale della materia inizia la lunga ascesa del positivismo, del progresso, del nostro mondo attuale.

L’avvento della virtualità ha donato, a noi tutti, un corpo nuovo, liscio, vitreo, senza malattie, incrinature, ferite, nel quale i disagi e le credenze del vecchio sono scomparsi. Questo corpo virtuale, digitale, è un corpo che conosce, visita, gode, gioisce e vive illimitatamente. Questo corpo che non muore è un corpo che allo stesso tempo non smette mai di soffrire. Questo super-corpo, questo corpo infinitamente cangiante, ha un limite: l’autocoscienza. Esso non può toccarsi, sentirsi, verificarsi, realizzarsi. Non ha intelletto, né soluzioni. La virtualità non permette nulla di tutto questo.

Andrej Nikolaevič Mironov, La reclusione degli apostoli, 2010, collezione privata.

Questo corpo privo di anima, fatto di fili e vetri retroilluminati, è stato investito da un sentimento magico, il medesimo che induceva alcuni pastori dello Yorkshire, fino agli anni ’50, a immergere le Bibbie negli abbeveratoi nella convinzione di guarire le greggi. L’avvento della virtualità ha rappresentato per l’individuo contemporaneo una seconda Resurrezione, farsesca questa volta, il miracolo moderno che l’uomo ha creato per sé stesso. Ma a quale prezzo?