I mondi di Herbert George Wells

Herbert George Wells, Gli argonauti del tempo, tr. Giancarlo Carlotti, Shake Edizioni, pp. 186, euro 16,00 stampa, euro 8,99 epub

La raccolta propone una selezione di sette racconti che, a distanza di oltre cento anni dalla loro prima pubblicazione, emanano un fascino straordinario e che ci fanno intuire quanto la lettura delle storie di Herbert George Wells potesse rappresentare all’epoca un’esperienza fuori dal comune. Giancarlo Carlotti, che ha curato l’antologia tematica, è andato alla ricerca degli spunti e degli esperimenti letterari che sono stati alla base della scrittura de La macchina del tempo (1895) e, più in generale, dello sviluppo della riflessione wellsiana sulla quarta dimensione e sulla costituzione di quell’esterno a noi che chiamavamo, con grande ottimismo, realtà oggettiva. Non dimentichiamo che Wells non può essere ridotto a uno scrittore di fantascienza, anche se probabilmente è l’autore che ne ha stabilito i principali temi in cui questa letteratura si è sviluppata e che ha introdotto la tecnica della speculazione, perché il suo lavoro ha attraversato molti dei temi intellettuali della sua epoca costruendo un quadro unitario di eccezionale profondità analitica.

A partire dall’evoluzionismo e dalla teoria di Darwin, Wells partecipa alla risistemazione radicale del paradigma scientifico dell’epoca fino a comprendere la necessità di intervenire su concetti come lo spazio e il tempo. È soprattutto dalla biologia evolutiva e dalla geologia che provengono i dubbi su come è stato misurato il tempo fino a quel momento e quale sia la sua vera natura, quale sia la reale età della Terra, falsificando progressivamente l’impostazione creazionista e il conseguente utilizzo della letteratura religiosa come fonte per la conoscenza scientifica della natura. In Inghilterra era presente una strutturata letteratura scientifica a base religiosa molto utilizzata nelle università e di cui il testo Natural Theology or Evidences of the Existence and Attributes of the Deity di William Paley, pubblicato nel 1802, costituiva forse la base culturale della teoria smantellata da Darwin e dagli evoluzionisti. In questa lotta senza esclusione di colpi, durata decenni, Wells interviene nella fase terminale impegnandosi con grande serietà e intelligenza nella divulgazione e, soprattutto, nell’estrapolazione e riflessione sulle nuove teorie scientifiche attraverso i suoi racconti. Il suo approccio a una teoria dello spazio-tempo non è basato sulla matematica, ma su una costruzione di ragionamenti scientifici progressivi imperniati sulla logica e sulla conoscenza delle teorie esistenti.

Wells era partito da alcune teorie che intendevano superare la concezione newtoniana dello spazio e del tempo e che, proprio alla fine dell’Ottocento, stavano accumulando effetti e ipotesi discordanti dalle conoscenze tradizionali apparentemente consolidate. Uno degli elementi più difficili da incasellare nel sistema teorico esistente era certamente il problema dell’invarianza della velocità della luce, con la conseguenza ipotesi dell’etere confutata dall’esperimento di Michelson e Morley nel 1887, e poi risolta da Einstein nel 1905, con la teoria della relatività speciale. Alla fine dell’Ottocento iniziano a circolare conoscenze sulle geometrie non euclidee e nuovi modelli di spazio e tempo che sembrano trovare un supporto matematico molto autorevole. Certamente Charles Howard Hinton, autore di Scientific Romances e matematico, ha influenzato e incuriosito Wells con il suo saggio del 1880 intitolato What Is the Fourth Dimension?, in cui ipotizza che i punti in movimento all’interno di uno spazio tridimensionale sarebbero nient’altro che intersezioni di una realtà quadridimensionale.

Hinton era uno divulgatore molto acuto e usava cimentarsi con una sorta di narrativa scientifica che può ricordare i primi tentativi di Hugo Gernsback, e di cui si può trovare esempio nell’antologia italiana pubblicata dall’editore Franco Maria Ricci nel 1978 e intitolata appunto Racconti scientifici. L’approccio di Wells è molto simile a quello di Hinton, proponendo visioni, estrapolazioni ed esperimenti mentali. Questi ultimi furono una componente importante nella costruzione del pensiero di Einstein (gedankenexperiment), che li sfruttò in molte importanti occasioni, cercando di immaginare il comportamento del mondo fisico all’interno di particolari condizioni senza che fosse costruito un esperimento tradizionale, spesso a causa della difficoltà tecnica di predisposizione. Quindi diversi contributi di Wells, che siamo abituati a considerare solo come un eccezionale scrittore di fantascienza, sono da considerarsi interni al dibattito scientifico della sua epoca, anche se al di fuori delle facoltà universitarie di fisica, matematica, geologia, zoologia e botanica. Si trattava di una cultura scientifica diffusa che rifuggiva gli specialismi per abbracciare un sapere completo che dalle scienze si protendeva verso la filosofia e la letteratura.

A partire dalla sua partecipazione a una debating society, nel 1885, dove assiste ad alcuni incontri dedicati al tema della quarta dimensione, Wells scrive un saggio intitolato The Universe Rigid di cui sono sopravvissuti alcuni frammenti e commenti successivi, e che consentono di classificarlo come una riflessione sul modello di universo pervaso dall’etere cosmico. Un universo, costituito con questa caratteristica geometrica, consente di supportare l’idea del viaggio del tempo proprio attraverso a una spazializzazione della natura del tempo. Ma è nel 1888 che Wells scrive il suo primo racconto, un vero piccolo capolavoro intitolato Gli argonauti del tempo, testo che apre l’antologia curata da Carlotti. Immediatamente colpisce la bellezza linguistica e la descrizione della casa padronale in cui si svolgerà la vicenda. La complessità e diversità della natura si attorcigliano alla presenza umana, molto è suggerito per creare un alone di mistero che rimanda oltreoceano, a Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorne e Herman Melville. È un luogo dove avverrà uno scontro tra l’intimità stessa della natura e la capacità dell’uomo di comprenderla, un tema su cui Wells continuerà a lavorare e che raggiungerà il suo migliore risultato nel romanzo L’isola del dottor Moreau.

E ancora troviamo descritto lo scontro tra scienza e superstizione, tra il lavoro duro del ricercatore, mai completamente soddisfatto del suo lavoro e consapevole della parzialità dei risultati raggiunti, e l’isterico e superficiale fanatismo del popolo che si fa rapidamente massa incontrollabile e distruttiva, che eleva la superstizione e il dogmatismo a unico e definitivo strumento per la distruzione di ogni diversità. Wells è stato spesso criticato per quel socialismo che diffidava delle masse, seguendo lo statuto del fabianesimo richiedente un’elevazione culturale della classe operaia prima di poter assumere il controllo dei mezzi di produzione. È evidente sin dal suo primo racconto che solo un approccio scientifico può consentire il reale ribaltamento dei rapporti di classe, creare una consapevolezza collettiva del mondo e arrivare a una cultura diffusa delle classi subalterne. In Gli argonauti del tempo è solo un accenno, l’inizio di un lungo percorso incentrato sul rapporto tra scienziato e società, e sulla descrizione di una reciproca incomprensione di cui anche lo scienziato sarà responsabile per la mancata valutazione dei rischi e per la sua innata misantropia.

Il racconto costituisce la base per il celeberrimo romanzo The Time Machine, pubblicato nel 1895, in cui Wells inserirà la sua più lucida e appassionata critica della società capitalista, con la descrizione dell’utopia/distopia nella società futura degli Eloi, e contemporaneamente descriverà il suo pessimismo verso la classe operaia, descritta come una tragica tribù di creature regredite allo stato di selvaggi, mentre gli eredi dei capitalisti, i creatori delle macchine, sono belli e stupidi, inutili.

Ma l’attenzione di Wells per il tessuto della realtà procede con il successivo racconto dell’antologia, Il caso Plattner del 1896: il protagonista, in seguito all’esplosione di una sostanza misteriosa, si ritrova in un “altro mondo”, qualcosa che si trova come sovrapposto alla propria realtà ma non percepibile se non in quelle eccezionali condizioni del racconto. All’inizio la descrizione di un paesaggio tetro, fatto di neri e di grigi, illuminato da un sole verdastro, sorprende il lettore per la precisione del quadro che viene creato e per il progressivo abituarsi dei sensi che ci consentono di seguire la faticosa esplorazione di una città abitata da esseri privi di arti, dall’espressione triste, indifferenti alla presenza del visitatore terrestre. Progressivamente Plattner si convince che le fisionomie che percepisce siano quelle dei morti che vegliano sui vivi della Terra, degli “osservatori dei vivi”. Il racconto è in bilico tra un sovrannaturale estremamente raffinato, descritto con eccezionale capacità narrativa, e la realtà scientifica di mondi adiacenti al nostro, conviventi e privi di comunicazione.

La storia del compianto signor Elvesham è invece un racconto quasi horror che racconta di un vecchio che attraverso misteriose sostanze chimiche ruba il corpo di un giovane: narrazione che condivide con le altre storie dell’antologia la magistrale descrizione di una realtà che si indebolisce progressivamente e la difficoltà del protagonista ad adattare la percezione diretta del mondo esterno con i propri ricordi e la propria sperienza. L’uovo di cristallo offre anch’esso la visione di altri mondi: in questo caso il pianeta Marte. Attraverso un misterioso oggetto, probabilmente posizionato sulla Terra, i Marziani studiano i terrestri ma, contemporaneamente, un antiquario riesce a scorgere loro e le loro città, e a darci una descrizione della vita aliena. Il racconto, del 1897, è praticamente contemporaneo al romanzo La guerra dei mondi, pubblicato nell’anno successivo, e presenta una descrizione dei marziani simile a quella dei seleniti immaginati da Richard Adams Locke nella sua Moon Hoax: la falsa comunicazione scientifica attribuita all’astronomo John Herschel racconta di un’osservazione effettuata attraverso potentissimi, totalmente inventati, telescopi capace di distinguere creature umanoidi alate con grandi ali da pipistrello. L’acceleratore venne pubblicato nel 1901 e racconta lo sviluppo di una sostanza in grado di intervenire sulla neurologia umana come “uno stimolante che funzioni a tutti i livelli, che ti energizzi dalla cima dei capelli fino alla punta dell’alluce, che ti renda superiore del doppio, del triplo rispetto agli altri”. Ma alla prova dei fatti la sostanza accelera il tempo umano relativo migliaia di volte e lo sperimentatore si ritrova a percepire in una realtà esterna congelata, dove i movimenti del mondo sono diventati quasi impercettibili. Wells descrive gli effetti fisici dell’impatto di due “intrusi accelerati” all’interno di una realtà immobilizzata con grande competenza e giocando con eccezionale intuizione in concetti come interazione osservato-osservatore e interscambiabilità dei sistemi di riferimento che, da lì a pochi anni, saranno ristrutturati dalla relatività einsteiniana. Ma Gli occhi di Davidson è certamente uno dei racconti tecnicamente più belli e creativi dedicato a una drammatica visione a distanza. Un uomo si ritrova improvvisamente a perdere la visione della realtà che lo circonda e a vedere invece una incredibile scena antartica in cui una nave si trova ancorata davanti a una spiaggia popolata di pinguini. Il tatto e l’udito gli rimandano le percezioni dell’ambiente in cui si trova il suo corpo (in Gran Bretagna), mentre al suo cervello arrivano le immagini del panorama australe. Ogni movimento spontaneo diviene impossibile, dovendosi scontrare con gli oggetti che non vede, fino a essere costretto a ignorare ogni informazione visiva. Ma quello che all’inizio è spiegato come un fenomeno allucinatorio, un errore delle strutture neurologiche, si ribalta nel finale, quando si scopre che veramente ciò che aveva visto dell’ambiente artico è effettivamente accaduto a migliaia di chilometri di distanza. Conclude la raccolta il bizzarro e divertente L’uomo che compiva i miracoli, storia fantasy (diremmo oggi) incentrata sul classico tema dell’apprendista stregone. Ma anche in questo caso Wells contestualizza la creazione fantastica all’interno di un mondo che risponde in tutto alle rigorose leggi della gravitazione.