Gene Wolfe / Scrittore o spia?

Gene Wolfe, La terra al di là, tr. di Beatrice La Tella e Sandro Pergameno, Atlantide, pp. 377, euro 20,00 stampa, euro 11,99 epub

Quando si deve lanciare uno scrittore che proviene da un genere dalla reputazione dubbia come la fantascienza (e lo dico da lettore e critico che proviene proprio da quel quartiere poco raccomandabile della letteratura) si tende spesso a presentarlo come l’equivalente di qualche Grande Scrittore della Grande Letteratura. Dick venne presentato come il Borges della fantascienza (lui avrebbe preferito Kafka); e ora leggo sulla copertina di La terra al di là che Gene Wolfe sarebbe “il Marcel Proust della fantascienza” (stando a “The New Republic”).

Va bene, non sarà la prima volta che uno scrittore viene fatto oggetto di paralleli fuorvianti. Forse l’autore della Ricerca del tempo perduto è stato scomodato perché, come si sa, era un prosatore di straordinaria eleganza e raffinatezza, e questa è una caratteristica che viene riconosciuta anche a Wolfe, che si manifesta nel ciclo di romanzi che va sotto il titolo de Il libro del nuovo sole (editi da Mondadori). Si tratta di un sofisticato ibrido di fantasy e fantascienza, incentrato su un personaggio principale dalle caratteristiche cristologiche, e ambientato in un lontanissimo futuro. Il contenuto dell’opera più nota di Wolfe, insomma, non ha molto a che vedere con la Parigi fin de siècle del divino Marcel.

Men che mai è proustiano questo romanzo, uscito negli Stati Uniti più di dieci anni fa e ora presentato ai lettori italiani da una piccola e intraprendente casa editrice che sta facendo scelte originali e decisamente indifferenti ai confini tra generi (ci ha offerto, per esempio, Riaffiorano le terre inabissate di M. John Harrison, altro libro e altro autore del tutto fuori dai canoni). La terra al di là è fin dalle prime pagine un testo decisamente spiazzante: seguiamo Grafton, un americano che vive scrivendo guide turistiche (un po’ sullo stile Lonely Planet), in viaggio su un treno diretto a un anonimo paese dell’Europa orientale – una nazione dal passato comunista, difficilmente raggiungibile se non proprio isolata, governata da una dittatura autarchica e arretrata. Non stupisce quindi che appena varcato il confine il protagonista del romanzo venga fermato dalla polizia e messo in stato di arresto, ma non in una galera, bensì domiciliato coatto nell’abitazione di un certo Kleon, che mal gradisce questa presenza. La compagna di Kleon, Martya, è invece attratta dallo straniero, col quale stringe subito una relazione erotica.

Fin qui Wolfe sembra giocare la carta della satira, intenta a ridicolizzare le assurdità al limite del surreale tipiche delle dittature. C’è dentro il Kafka de Il castello, ma anche e soprattutto lo Stanislaw Lem di Memorie trovate in una vasca da bagno. Solo che ben presto Grafton prende in affitto una casa, detta I Salici, abbandonata a causa della triste fama di cui gode nella cittadina, e quando vi accede e comincia a renderla di nuovo abitabile trova un cadavere mummificato in una nicchia nascosta da uno specchio. Da questo momento la satira s’intreccia col soprannaturale, e la trama si fa sempre più intricata. C’è una setta religiosa detta la Luce della Stabilità, che si propone di non rovesciare il governo e per questo è perseguitata; c’è un faccendiere americano, forse uomo d’affari forse stregone, che persegue non si sa bene quale cospirazione; c’è una mano mozzata che sembra avere una vita propria; e c’è la JAKA, una sorta di polizia segreta (ma che tutti conoscono), che vuole vederci chiaro in queste faccende, e usa Grafton a tale scopo. Mi fermo qui per evitare di svelare troppo.

La finezza stilistica di Wolfe emerge nella sua capacità di far parlare il protagonista come un americano relativamente normale, e i cittadini del paese immaginario in un inglese strampalato, come lo potrebbero parlare persone la cui lingua madre è del tutto diversa; una trovata che mi ricorda il Safran Foer di Ogni cosa è illuminata. Chiudo con una piccola notazione linguistica: in inglese il titolo è The Land Across, e “across” si può rendere con la parola latina trans, per cui viene il sospetto che l’anonimo paese est-europeo immaginato da Wolfe sia la sua versione della Transilvania, un luogo dove il soprannaturale è, come ben si sa, di casa.