In una Brianza che sembra voler livellare e uniformare persone e panorami, Quasi niente sbagliato vuole rivoluzionare e scompaginare questa omogeneità dandole nuovo ritmo. Il romanzo di Greta Pavan si svolge a cavallo di questo nuovo secolo e racconta la vita di Margherita, dai sei ai ventidue anni, con una narrazione che procede con vari episodi senza che tra loro ci sia consequenzialità temporale o un rapporto di causa ed effetto che ne supporti la logica. Ogni capitolo del libro è un capitolo a sé e rappresenta un preciso anno della protagonista in cui viene dato risalto a un personaggio che diventa fin da subito coprotagonista e col quale Margherita interagisce in quel suo peculiare istante di vita. Quasi una lente di ingrandimento su fatti e azioni che al primo sguardo potrebbero apparire insignificanti – probabilmente riferendosi al titolo – ma che, al contrario, segneranno la sua crescita interiore, marchiandone in modo indelebile la personalità.
Gli eventi si rincorrono, quindi, in sequenze che talvolta accelerano per poi retrocedere, motivo per cui è difficile definire questo libro come un lineare e coerente racconto di formazione, piuttosto, man mano che entriamo nel vivo della sua trama, ci appare chiaro come l’autrice consenta al lettore di osservare la vita di Margherita senza pregiudizio alcuno legato alla sua età, con la determinazione di confondere i punti di riferimento che sembravano invece acquisiti. Questo ci permette fin da subito di avere una visione più ampia e a tutto campo delle attitudini della protagonista, del suo temperamento e del suo carattere, ma, al contempo, ci immerge anche nel disordine interiore di Margherita: un privato scompiglio nell’adeguarsi e omologarsi al mondo brianzolo, tipicamente statico e materialista.
Quasi niente sbagliato è infatti inserito in questa specifica zona lombarda, la Brianza, tra le più produttive e ricche d’Italia, realtà in cui l’imposizione dei ruoli, la sopraffazione e la violenza portano a importanti e palesi dinamiche di potere: su tutte, il potere della classe sociale di appartenenza e il tema del lavoro che sono certamente e costantemente il trait d’union dei vari accadimenti con un’unica prospettiva e un unico fine: quello utilitaristico, ostentato da una arricchita borghesia. In quel mondo tutti i personaggi che incontriamo sono vittime di un condizionamento ambientale esterno a cui la volontà del singolo soggiace, sino a soccombergli, manifestando una moralità ambigua e ambivalente: figure timorose nel mostrarsi ma determinate nell’imporre la propria volontà con una continua presa di potere psicologica.
Da questo scenario Margherita cercherà di allontanarsi per rincorrere un ideale di sé stessa che non sia solo il risultato dell’operosità e del guadagno ma che contenga anche il sogno di diventare giornalista. Non vuole venire schiacciata da questa Brianza che descrive in modo così abilmente sferzante; vorrebbe romperne il perimetro per lasciarsi alle spalle il duro involucro che sempre l’ha compressa, ben consapevole di quanto sia arduo scappare da dinamiche, familiari e non, che fin da bambina hanno condizionato la propria evoluzione
Quasi niente sbagliato non edulcora la realtà che descrive, gli appartiene un linguaggio convintamente provocatorio e tagliente tanto quanto realistico e sfrontato. Non c’è un lieto fine, una redenzione, tanto che proprio il finale è una surreale sorpresa e ci mostra una Margherita ventiduenne inguaribilmente disincantata che saprà perfettamente quanto potere possa darle il possesso di una pistola (quella del nonno di cui si appropria fin da piccola e che porta nella borsa), ma che, perpetuando il gioco di forza nel quale è cresciuta e che la permea interamente, per chiara analogia sa quanto potere potrà avere nelle sue mani utilizzando il vigore delle parole nel futuro da giornalista a cui aspira. Per continuare a testimoniare la sua Brianza. Per poter oltrepassare le proprie radici e finalmente scegliere la sua autenticità.