Il potere sovversivo dell’autoproduzione

La portata innovativa dell’autoproduzione a fumetti di oggi non giace nella cura cartotecnica, nell’edizione a tiratura limitata, nella scelta di una tecnica di disegno piuttosto che un’altra ma nella sua stessa esistenza, oltre che nei suoi contenuti, che stanno disinnescando le roccaforti patriarcali del mondo del fumetto, sia a livello relazionale che narrativo.

Sette anni fa usciva (2014) Il potere sovversivo della carta, una raccolta di interviste in forma narrativa a dodici protagonistə della scena del fumetto italiano indipendente e autoprodotto curato dalla sottoscritta, Sara Pavan. Parlando brevemente di me, ho un glorioso passato da autoproduttrice di fumetti, e ora sono tra le persone che organizzano l’area indie e D.I.Y (Do It Yourself) del TCBF (Treviso Comic Book Festival), la kermesse dedicata al fumetto in tutte le sue forme, con l’area indipendenti più grande d’Italia e con un premio, il premio INKitchen/Piola, dedicato proprio alla miglior autoproduzione a fumetti. Nel libro di cui sopra, edito da Agenzia X, si racconta principalmente il rinascimento della scena indie del fumetto italiano; un rinascimento iniziato negli anni zero, che affonda però le sue radici negli anni ‘90 e che già mostra i suoi frutti all’inizio del decennio successivo. In quel momento sembra possibile che l’universo indie e D.I.Y continui a crescere secondo una traiettoria di espansione costante. In realtà la situazione è già quella di una colonia batterica su una piastra di pietra: ad un certo punto non ci sarà abbastanza substrato per tenere i ritmi di replicazione della fase di massima espansione (arrivano ad esistere centinaia e centinaia di progetti/collettivi di autoproduzione, quando solo dieci anni prima ne esistevano poche decine in tutta Italia) e i progetti si soffocano a vicenda in un brusio indistinguibile. Ma qualcosa spariglia le carte: prima la crescita dei social media e poi, ovviamente, la pandemia che, nel bene e nel male, ha acuito gli effetti del primo fattore.

Il messaggio originario del libro

Il potere sovversivo della cartaIl potere sovversivo della carta documenta un pezzo di storia del fumetto underground e della controcultura in Italia facendola raccontare dalla voce di chi vi ha attivamente preso parte. Il libro, attraverso queste storie personali, lascia a chi legge la possibilità di notare analogie e differenze tra i vari percorsi di vita narrati, per trarne strategie e in generale un incoraggiamento a esprimersi e autodeterminarsi. Un messaggio potenzialmente valido anche per chi non si occupa di fumetti. In tutte le interviste emerge chiara la forza che deriva dalle relazioni umane, in primis quelle all’interno dei collettivi e quelle con il pubblico che le storie a fumetti le legge. Il libro ci ricorda che per questa community fare rete è la priorità rispetto alla possibilità di vendere qualcosa e alla fine dipinge l’autoproduzione come un’operazione culturale e sociale più che come un mercato, chiarendo quindi come l’autoproduzione sia sempre un atto politico, anche se talvolta inconsapevole, anche quando vuole semplicemente diffondere contenuti di intrattenimento, perché non soggiace alle regole del profitto e alla standardizzazione del mercato.

Bias (tentativo di autocritica)

I quarant’anni ora saranno pure i nuovi trenta, ma, anche se, come generazione, siamo arrivati tardi a realizzare il nostro sogno di fare del fumetto il nostro lavoro, ora siamo noi la vecchia generazione che non riesce più a cogliere la freschezza e le istanze delle nuove autoproduzioni. Perché si discostano troppo dal nostro gusto d’annata a livello estetico, narrativo e di messaggio di base. Pur consapevole di questo limite di visione che riduce la mia capacità di comprendere le sfumature del reale, quello che di utile posso fare è mettere in luce le differenze che saltano agli occhi da questa distanza generazionale di fronte a quanto è successo in questi ultimi sette anni nel mondo del fumetto. Differenze che non sono necessariamente difetti, anche se io in quanto “anziana” (almeno per gli standard del mondo indie) le noto proprio perché non le capisco (ma sotto sotto mi affascinano un sacco, anche se fa troppo male ammetterlo). Se avrete il coraggio di arrivare fino in fondo a questo articolo, capirete come invece questo mondo che ci pare di non capire sia in realtà il mondo per il quale stavamo lottando e che finalmente si sta realizzando.

Libertà dal peso dei maestri

La mia generazione era molto riverente del passato, dell’enciclopedismo e dell’art and craft a tiratura limitata. Era fondamentale dimostrare di aver letto/trovato/visto/assistito a quel fenomeno di nicchia, di conoscere anche quella rivista sconosciuta di trent’anni prima dove chissà che magister aveva iniziato la sua carriera nel fumetto (magari con un’opera francamente dimenticabile, di cui tu però hai tessuto lodi esagerate, non ascoltando il retropensiero che ti avrebbe fatto dire che c’era di fondo qualcosa di profondamente sbagliato in quella rappresentazione del mondo). Una parte di chi fa autoproduzione oggi si approccia ai mostri sacri del passato con molta meno riverenza. Ammette candidamente di non conoscere l’esistenza di un certo pezzo di storia del fumetto e lo fa pubblicamente sui social senza vergognarsi di non sapere, anzi felice di stare scoprendo qualcosa di nuovo. Noi non l’avremmo mai fatto. Questa onestà ci sembra mancanza di rispetto. Invece solo grazie a questo sguardo libero da ipse dixit è possibile rifondare il mondo, non solo quello del fumetto, su nuove premesse, rimettendo anche delle personalità ingombranti del passato al loro posto. Chi nasce prima e magari arriva alla fama, e magari influenza anche chi viene dopo, non ha per forza realizzato qualcosa di più valido di chi il passato può anche non conoscerlo, ma è in ascolto e in osservazione del presente.

I social

Altro aspetto che la mia generazione rimprovera alla nuova è il narcisismo non dissimulato. Anche nella mia generazione per vincere la paura del giudizio e riuscire ad autoprodurre e distribuire i propri fumetti serviva una buona dose di narcisismo, ma doveva sempre essere miscelato all’understatement. Insomma, doveva sempre sembrare che non te ne fregasse nulla del riconoscimento esterno. Ora la popolarità social di chi fa autoproduzione e il modo in cui chi si autoproduce si mette in mostra online ci lascia di stucco. Si tratta in realtà di un atteggiamento molto più onesto di quello che abbiamo tenuto noi e, soprattutto dà finalmente voce a chi altrimenti finirebbe automaticamente in secondo piano. Non puoi fare della tua bandiera l’understatement quando così aiuti chi ti ha sempre relegato ai margini a tenerti ai margini. E qui arriviamo all’uovo di colombo. Il mondo del fumetto, in Italia, fino ad ora, è stato spiccatamente maschilista da tutti i punti di vista (narrativo, lavorativo,…) e assolutamente poco inclusivo. Ora che il maschilismo del settore non viene più minimizzato e anzi è la prima e più forte contestazione che emerge dalla nuova ondata di chi si autoproduce, il narcisismo che la mia generazione vede nei social è principalmente un modo di chi altrimenti non avrebbe voce per prendersi lo spazio vitale che merita, senza chiedere il permesso a nessuno. E l’autoproduzione è proprio questo: non aspettare l’approvazione dall’alto per esprimersi. Anche se nel mio libro non ero ancora arrivata a questa conclusione, ora capisco che l’autoproduzione non è solo per definizione un atto politico (anche quando inconsapevole) è per definizione anche un’azione contro il patriarcato.

I festival oggi

I festival se ne sono accorti. Prima i festival più giovani come il TCBF che hanno dedicato, nella loro edizione covid free, tante talk – sia tra quelle legate alla scena autoprodotta che quelle con editori mainstream – alle questioni della parità di genere e dell’inclusività. Non è stato banale pinkwashing: recuperate le live dell’edizione 2020 per trovare consigli di lettura e ascoltare visioni e opinioni di chi fa fumetti oggi e sta creando passo dopo passo un mondo editoriale più inclusivo e culturalmente meno ombelicale. Ma anche i festival di riferimento come Lucca Comics and Games hanno messo al centro della loro comunicazione l’inclusività (vi basta anche solo recuperare la gallery delle locandine e l’elenco delle nuove categorie dei premi Gran Guinigi: il cambiamento parte proprio da queste azioni simboliche e di linguaggio, come l’uso dello schwa).

La pandemia

Con la pandemia, e il lockdown in particolare, la nuova piazza è diventata definitivamente il web. Nei luoghi di condivisione online, le cariatidi del vecchio mondo editoriale hanno dato aria alla bocca, ma quando con nonchalance hanno diffuso messaggi di odio, razzismo e misoginia dove in realtà sono le nuove generazioni a essere di casa, non è fregato a nessuno che fossero grandi personalità del mondo del fumetto e sono state messe alla berlina. Parallelamente, è caduto il velo di Maya e sono state condivise, da vittime che non avevano più paura di parlare perché non si sentivano più isolate, le storie di discriminazione, le minacce e gli abusi subiti nell’editoria a fumetti. Per avere una misura del fenomeno seguite il progetto del Collettivo Moleste attraverso il loro account instagram. Ora però non avete più scuse, anche se non riuscite a capire la nuova scena del fumetto indipendente italiano, sapete qual è la posta in gioco. La portata innovativa dell’autoproduzione a fumetti di oggi non giace nella cura cartotecnica, nell’edizione a tiratura limitata, nella scelta di una tecnica di disegno piuttosto che un’altra. Non fermatevi all’estetica. L’autoproduzione oggi, con la sua stessa esistenza, oltre che con i suoi contenuti, sta disinnescando le roccaforti patriarcali del mondo del fumetto, sia a livello relazionale che narrativo. E lo sta facendo non riconoscendo più l’auctoritas di quei modelli. Il vecchio mondo può urlare allo scandalo, ma il nuovo mondo è già proiettato così avanti che non lo sente nemmeno.

Collettivo moleste
Collettivo moleste

Post scriptum: chi mi piace leggere

Alpraz, giovane fumettista che vive in Sardegna, con uno stile acuto e affilato come vorrebbe essere quello di chiunque viva a Milano. Su Instagram condivide recensioni a fumetti fuori dal coro su contenuti culturali di tendenza. Da non perdere le sue recensioni di “Queen’s Gambit” e di “SanPa”. Disegno liberamente picassiano. 

 

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Percy Bertolini, stilisticamente emergono ancora i riferimenti a MP5 e Miguel Ángel Martín (comunque avercene di fumetti così) e sta nervosamente sperimentando tecniche e linguaggi diversissimi (street art, pittura, fumetti, il tutto su supporti di dimensioni e consistenze atipiche), ma proprio per questo è da tenere nel vostro radar.

Edizioni Minoritarie, un progetto che usa il fumetto, l’arte e l’autoproduzione per fare in-formazione, la controcultura nel suo senso più alto, sempre antifascista, antisessista, antirazzista e trans/femminista. Anima del progetto, ma non la sola a portarlo avanti, è Antonia Caruso, persona da conoscere assolutamente nella vita. Se organizza un evento andateci, che sia dal vivo o online poco importa.

DeFra (Andrea De Franco), orgogliosamente fumettista, ma dovrebbe dirsi artista e fare i soldi. Porta avanti una ricerca ipnagogica e surrealista che può apparentemente distrarre dal messaggio che soggiace alle sue opere, ma in realtà induce proprio a quella sospensione del pre-giudizio capace di aprire lo sguardo di chi legge.

Silvia Righetti la cui più recente prova autoriale la vede al fianco di Valeria Benincasa, bookstagrammer meglio nota come ReadVlogRepeat, nel loro albo autoprodotto “La rottura”. Qui il disegno si torna a fare più strutturato, ma non per questo lo stile diviene più conciliante.

 

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Eliana Albertini, che sta sempre più affinando la sua capacità di osservazione, donandoci delle micro storie in cui c’è quel ribaltamento sublime che me la fa avvicinare a Franco Matticchio (l’ho detta). Dopo le storie più o meno brevi, aspetto con ansia il suo primo vero romanzo a fumetti. 

Michele De Stefano, non fatevi trarre in inganno dai colori acidi, dalla crudezza, dalla rabbia, dall’horror lo-fi a profusione. Basta leggere i suoi minicomics per capire quanto sia una persona empatica e in ascolto. Con le sue storie sospese in mondi paralleli e tempi indefiniti riesce a fare da amplificatore per visioni nuove fuori dagli stereotipi del vecchio mondo.

Chiudo con Apri, che non tratta specificatamente di fumetti, ma è un progetto di racconti per corrispondenza in cui, a partire dalla busta con la quale il racconto viene spedito, viene narrata ogni mese una nuova storia. A firmare la curatela di questa follia epistolare su carta è Lorenzo Ghetti, enfant prodige del webcomic, che è andato così oltre nel digitale da tornare all’analogico.