Lettere, ma tutt’altro che morte

Edgar Allan Poe, Lettere, a cura di Barbara Lanati, tr. Nicoletta Lucchetti e Laura V. Traversi, Il saggiatore, pp. 754, euro 48,00 stampa

L’opera di Edgar Allan Poe è la chiave di volta per l’intera, rigogliosa tradizione del gotico americano. L’atmosfera psicologica dei suoi racconti – soffocante, malsana, sostenuta dagli echi sinistri di ossessioni assolutamente tabù quali la necrofilia o le “esequie premature”, parafrasando il titolo di uno dei suoi lavori più noti – è il vero punto d’origine del genere che Leslie A. Fiedler considerava endemico delle lettere statunitensi. Non solo, tra i suoi non trascurabili meriti c’è anche quello di aver formalizzato la detective fiction, e aver lasciato in eredità un corpus di raffinatissime poesie di gusto romantico e decadente.

La breve vita dello scrittore, già oggetto di mitizzazioni o illazioni da parte dei contemporanei, contribuì enormemente alla fama (soprattutto postuma, c’è da dire), trasmettendo attraverso gli anni una figura di uomo tormentato, autodistruttivo e coltissimo, totalmente dedito all’ufficio delle lettere in fiera autonomia rispetto alla congerie trascendentalista, che all’epoca occupava gran parte del dibattito culturale americano, e che Poe detestava senza mezze misure, arrivando a definire Emerson e compagni “frogpondians”, dal nome di uno stagno bostoniano.

Vista la statura concreta e mitica di questa figura, è con enorme piacere che ci si avvicina al ponderoso epistolario pubblicato da Il saggiatore a cura di Barbara Lanati. Chi volesse oltrepassare il velo della leggenda per attingere notizie direttamente dalle parole di Poe, troverebbe un uomo perennemente in ambasce, afflitto da problemi economici cronici (tragicomico il poscritto di una delle lettere: “sono povero”) e dalla sostanziale indifferenza di molti dei suoi contemporanei, che pure non mancarono di riconoscerne il genio.

L’intelligenza e la cultura eclettiche di Poe strabordano da questo tomo, accompagnandosi alle più prosaiche angosce di un individuo estremamente sensibile costretto a una vita difficile. Attenzione, però, perché come avverte Lanati nell’introduzione, Poe era anche un colossale bugiardo, patologicamente teso alla menzogna (non necessariamente maliziosa, c’è da dire), all’elisione, all’iperbole.

Il lavoro di curatela, esaustivo e impeccabile, permette al lettore di riportare ogni volta le missive alla loro dimensione più concreta. Onnipresente il desiderio di affermarsi quale intellettuale attraverso la fondazione di una rivista “sul modello europeo” (The Penn Magazine, poi The Stylus), che attanagliò Poe fino alla misteriosa, prematura dipartita, occupando gran parte del suo tempo alla ricerca di sponsor e sottoscrizioni – non impedendogli però, per fortuna, di produrre alcune delle pagine più significative della letteratura americana del diciannovesimo secolo.

L’ansia di incontrare i favori del pubblico e dell’intellighenzia statunitense è chiara nelle numerosissime richieste di recensioni, trafiletti elogiativi e pubblicità, così come nelle varie lettere indirizzate ai maggiori scrittori dell’epoca; tra gli altri: Washington Irving, Henry Wadsworth Longfellow (di cui Poe fu un feroce detrattore) e James Russell Lowell. Largo spazio documentario è dato anche all’infaticabile lavoro di saggista e critico letterario, che Poe svolse con acume e innegabile ferocia, tanto che Lowell paragonò il suo inchiostro all’acido prussico. Uno splendido volume impreziosito da un lavoro filologico di classe che permette d’indagare il privato quotidiano di una delle figure più affascinanti e importanti di tutta la storia della letteratura occidentale. Un must per ogni americanista, un’opera consigliata a chiunque.

https://www.ilsaggiatore.com