Olivier van Beemen / L’incubo della birra che fa bene

Olivier van Beemen, Heineken in Africa, tr. Stefano Musilli, ADD Editore, pp. 332, euro 16,00 stampa, euro 7,99 epub

Guardando la foto dell’autore, Olivier van Beemen, sul sito di ADD Editore non si può non notare la stella rossa simbolo di Heineken che svetta alle sue spalle, su un palazzo di tipica fattura olandese in uno degli agglomerati di uffici sparsi sul territorio dello stato europeo.

Non si può certo negare che possa considerarsi un orgoglio nazionale avere in casa la sede amministrativa di una delle più importanti multinazionali del beverage, responsabile di fatturati, ricavi, produzioni con cifre astronomiche. Penso che Olivier, da bambino e da adolescente, abbia goduto dei prodotti di Heineken come ogni buon olandese e come tante persone in questo mondo, e che solo più tardi, diventando giornalista, abbia capito che a volte, dietro alle storie di successo, c’è un fondo di falsità gravi, lacune, omissioni, furti, trame incrinate in nome dell’avidità.

L’avidità ce la ricordiamo da Gordon Gekko, un grande Michael Douglas in uno dei film simbolo degli anni Ottanta e Novanta. Ci ricordiamo bene la sua affermazione, l’avidità è giusta. In questo libro è palpabile come l’avidità di tanti interni a Heineken abbia danneggiato e stia danneggiando l’intero continente africano, dove l’azienda è presente e operativa dagli anni Sessanta e da cui provengono flussi di denaro rilevanti, con margini di molto superiori rispetto ai mercati del Primo Mondo.

L’avidità porta a mistificare i dati e la realtà: si parla di creazione di posti di lavoro (numeri errati), si parla di corruzione e tangenti giustificandosi con l’apparente semplicità delle stesse nella vita economica dei paesi occupati. Si parla di lavoro minorile, con bambini intenti a separare i semi di sorgo per riempire sacchi da 50 chili forniti da Heineken stessa. Le tangenti e i favori arrivano ai più elevati livelli della politica locale, in Nigeria, per un decennio, il presidente Olusegun Obasanjo è stato guidato e consigliato da Festus Odimegwo, direttore di Heineken Nigeria. Prostitute utilizzate per pubblicizzare una determinata marca di birra, con rischi gravi di trasmissioni di malattie sessuali. Sono tutti elementi che si fondano sull’avidità di profitto e di potere che ormai ogni stato del mondo, e ogni cittadino del mondo, deve affrontare. L’inchiesta di van Beemen è durata sei anni e ne leggiamo una piccola parte, forse troppo piccola per potersi fare un’idea precisa, ma di sicuro sufficiente a sollevare ampi strascichi morali nel lettore.

Vivisezionare un’azienda così ampia è impossibile, ed è proprio su questo gioco di veli di differente grana che i manager riescono a compiere illeciti, basandosi anche su leggi locali per nulla all’avanguardia, ignoranti nei confronti della corruzione e del tema della concorrenza sleale e antitrust.

Con tutta certezza il mondo post-coloniale non ha ancora assorbito il cambiamento, l’uomo bianco è privilegiato di fronte a un uomo nero meno istruito, meno secolarizzato, meno conscio dei massimi sistemi economici, legato a tradizioni culturali distanti e, oggi, superate. L’uomo bianco, come negli ultimi 600 anni, se ne approfitta e non lascia nulla al caso, dando fondo al proprio ingegno per risultare comunque apprezzabile nei suoi sforzi di parità. Oltre a Heineken compaiono altre multinazionali del beverage, aziende satellite (come l’unicorno Ibecor) e ONG.

Mi sovvengono molte parole di Frantz Fanon, oggi lontane ma mai così reali di fronte a una seconda colonizzazione, questa volta di stampo economico e non militare: “L’imperialismo si lascia indietro delle radici e noi dobbiamo cercare e rimuovere dalla nostra terra ma anche dalle nostre menti”. Il fatto poi che i media (giornali europei) non abbiano molto da eccepire sulle condotte delle nostre aziende in Africa è un’ulteriore dimostrazione dello strapotere della finanza sulla vita di ogni singolo umano.

Andando a concludere, il saggio di van Beemen si attiene ai fatti e dai fatti si abbevera per dar vita a un dialogo costante tra le parole e la coscienza del lettore del primo mondo, con la speranza che i governi del mondo possano mettere fine all’avidità di qualsiasi forma.

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