L’Odissea di Kazantzakis: il mito non svanisce

Nikos Kazantzakis, Odissea, Crocetti Editore, tr. Nicola Crocetti, pp. 832, euro 35,00 stampa, euro 19,29 epub

Libro di sogni e di vento, l’Odissea di Nikos Kazantzakis è l’opera-mondo che l’autore cretese concepì e mise a punto nell’arco di tredici, lunghi anni (dal 1925 al 1938), durante i quali egli elaborò e limò, attraverso sette stesure, un poema portentoso di 33.333 versi. Rimasto finora inaccessibile per gli italiani che non conoscessero il neogreco, oggi il poderoso volume ha fatto finalmente ingresso in libreria grazie alla versione di Nicola Crocetti, che vi si è dedicato con lodevole dedizione, assicurando al maestoso componimento di Kazantzakis una traduzione di rara raffinatezza.

Il genere epico, rinvigorito dal poeta novecentesco, qui affianca alla tensione narrativa un afflato lirico impareggiabile. Anche così questo Ulisse maturo, nel seguito moderno del racconto omerico, mentre solca nuove rotte dopo aver lasciato definitivamente la sua Itaca, intona il suo canto appassionato e struggente, la sua lode alla vita. Se, nel modello greco, la patria era stata, pur nella sua lontananza, slancio intimo e potentissimo per l’eroe, nella rilettura di Kazantzakis essa rappresenta un motivo di profonda disillusione e costituisce, anzi, la spinta a riprendere il viaggio, a ulteriore dimostrazione che Itaca non è solo casa, ma un destino. Omero aveva reso circolare il percorso del protagonista: per Ulisse il significato dell’andare coincideva con il sogno del ritorno. Le inquietudini del Novecento, di cui il poeta si fa interprete, spezzano quell’armonia e trasformano il cerchio in una linea aperta, un percorso che sottende possibilità illimitate. E incontro a quell’orizzonte sterminato il protagonista si avvia con ardore, rispondendo a un richiamo irresistibile, l’appello dell’infinito cui l’eroe replica con il suo essere multiforme.

Lungi dal configurarsi come uno sterile esercizio di stile, il poema di Kazantzakis risuona della sua profondità, perché contempla nelle sue viscere gli abissi del disincanto, da un lato, e, dall’altro, vette vertiginose che aprono luminose visioni di verità. È una materia di fuoco, questa, incandescente e prodigiosa: chiede al lettore di essere maneggiata con cura, ma promette in cambio incessante stupore. L’Ulisse spietato e iracondo intorno al quale ruota l’opera spesso ci delude e ci lascia sgomenti, ma nondimeno salpiamo al suo fianco alla volta di avventure imperdibili (Sparta, Creta, l’Egitto, l’Africa Nera e il Polo Sud), nel corso delle quali egli ci dimostra quali altezze può raggiungere il suo finissimo ingegno. Il viaggio intrapreso è vissuto innanzitutto nei luoghi della mente e dell’anima, prima che nelle terre del visibile – in questo, Dante e Bergson, tra gli altri, ispirano la poetica e il pensiero di Kazantzakis. Non solo tensione estetica, dunque, ma instancabile ricerca di verità: ecco in cosa consiste lo slancio di chi scrive poesia e questo sarà anche il compito ultimo di Ulisse. La direzione da seguire, allora, è quella che conduce verso la conoscenza e, in questo senso, il cammino del protagonista somiglia all’ascesi del saggio. E poco importa se la conquista di questa forma di sapienza non sa poi tradursi in concretezza, se l’ideale non riesce a rendere la realtà migliore. Resta intatto l’anelito di vita, il fremito che scuote l’animo implacabile dell’eroe e gli infonde quella forza interiore necessaria per esaurire furori, desideri e istinti prima che sopraggiunga la morte.

Abbacinante per il lettore risulta la luminosità del portato linguistico: una ricchezza lessicale immaginifica che testimonia la creatività di Kazantzakis, oltre che l’accuratezza della sua ricerca filologica, svolta con perizia tra isole e villaggi dell’Egeo, in ascolto devoto di voci e parole che altrimenti sarebbero state irrimediabilmente perdute per sempre. La resa di Crocetti onora con eleganza, finezza e sensibilità la densità stilistica ed espressiva del poeta novecentesco, permettendo al lettore di deliziarsi con neologismi ed epiteti strabilianti, che non rispondono più, come accadeva nell’epica omerica, a esigenze mnemoniche, ma solo alla fantasia inesauribile dell’autore.

Quale significato assume oggi leggere un’Odissea composta un secolo fa da uno scrittore che non gode della fama che meriterebbe? La lezione memorabile che questo Ulisse “Mente alata” porge al nostro tempo risiede in un’adesione totale alla vita, con le sue seduzioni e i suoi tradimenti, con gli oltraggi impietosi e i doni fatati, con le dannazioni e i sogni inestinguibili. L’apatia e la rassegnazione che intrappolano il nostro mondo sono spazzate via di colpo dallo spirito indomito dell’uomo multiforme, “un’anima libera che ama la luce, la comprende”, che dice di sì al suo destino, a qualunque costo, e intraprende senza rimpianti né rimorsi un viaggio inderogabile, portando con sé la Bellezza e il conflitto (“Elena vuol dire combattere per Elena”), senza mai rinunciare a essere protagonista della propria storia. “I pensieri più alti, i regni potenti passano, / ma il mito non svanisce e la leggenda non si perde”.