Mario Moroni / Corinto oggi: New York City

Mario Moroni, Tracce tragiche, Marietti 1820, pp. 94, euro 15,00 stampa

Mario Moroni, classe 1955, ha attraversato gran parte della scena poetica italiana mai uniformandosi al mainstream che creava diversità presuntuose e tribù a dir poco esigenti e enfatiche nel pieno delle loro prove. Mario ha viaggiato razionalmente da Tarquinia al Maine e New York, l’Oceano di mezzo ha sostenuto mutamenti dall’esordio nel 1979 dalle parti del Mulino di Bazzano dove le semine poetiche avevano i nomi di Adriano Spatola e Giulia Niccolai e quelli erano davvero “altri luoghi” e “assolutamente attuali” per quel tempo e – possiamo dire – oggi, se vogliamo far leggere e intendere ai più vogliosi una storia della poesia italiana esente d’intelligenze aliene.

L’esperimento poetico di Moroni ha attraversato i decenni con libri sempre più antropici, nati in luoghi adatti a lavorare in pace, che non significa stare lontani dagli eventi, anche i più terribili. Uno scrittore serio ma non severo ha saputo raccogliere le ceneri del mondo con ferma levità. Ha ricomposto resti, manufatti e carne umana: nomi precisi, una decina di raccolte poetiche, collaborazioni a riviste, insegnamenti alla Yale University, al Colby College, alla Binghamton University.

Esperimenti e leggibilità, scritture che non sempre hanno avuto bisogno della cosiddetta realtà, e infine in questo ventennio impazzito Moroni fa ri-nascere il proprio linguaggio dove come poeta non deve niente al buio attuale. Ma, improvvisamente, supera il lutto trasfigurando la classicità greca e latina. Poemi e tragedie non vengono imitati ma riverberano immagini di sforzo senza distrazione: l’esistenza di uno sguardo è testimoniata da Tracce tragiche, ripresa delle grandi tragedie classiche di Antigone, Elettra e Medea. Sfida e interazione con l’originale riportano nuovamente all’anti­co gesto del narrare la ferita di queste voci e corpi lontani. Gesti eroici di donne, efficacia di tradimenti, gesti di pietà che annunciano la civilizzazione, è quanto interessa a Moroni mentre costruisce tre lunghi poemi sulle tracce di Sofocle e Euripide. Ambienti e personaggi femminili vengono strappati dal tempo del potere originale la cui struttura viene ribaltata nella metropoli contemporanea, nella per niente simbolica figura della “T-Tower”, erede negativissima delle distrutte Twin Towers”.

Corinto regno del dissesto si ribalta nella New York attuale, dove i destini attraversano l’ombra, creatori essi d’ombre che atterrano chi credeva e sperava, e chi non credeva: Moroni accompagna le Medee pasoliniane e i Giasoni con sospensioni, interazioni e Cori di scena finale. Al centro del libro il “Monologo elettrico di Elettra” apre la storia vocativa, in attesa dell’Epilogo, e sembra riprendere la vocazione analitica di Moroni che consente alle strofe di recitare sia se stesse sia Elettra con la sorella Ifigenia. Queste ci sfiorano ancora, poiché i versi multiformi del poema invogliano a non essere più astemi di miti incarnati d’eroine più che di dèi migrati altrove per sempre.

Con Tracce tragiche è giunto il momento in cui le acque del mito, agitate tanto da consegnarle alla torbidità da coloro che vantano modesta conoscenza, trovano nitidezza d’antica poesia a cui pochi oggi sono accordati. Laggiù, dove vive Moroni, qualcosa si muove, c’è una domanda che pretende atto di risposta. Il presente e il passato non si assimilano, oggi un poeta come Moroni prende il canone classico non come funerario assemblement e felicemente scrive: «Su scena rovesciata, / coro che tace, incapace, / tragedia da riscrivere, / da rivedere altrove».