Nelly Sachs / La verità

Nelly Sachs, Negli appartamenti della morte, cura di Matthias Weichelt, ed. italiana a cura di Anna Ruchat, Giuntina, pp. 152, euro 18,00 stampa

Prima raccolta di poesie tradotta integralmente in Italia, dopo l’importante Al di là della polvere curato da Ida Porena nel lontano 1966 e che poi continuò il proprio lavoro di studiosa con l’antologia Poesie del 1971. Sachs, nata a Berlino nel 1891 da un commerciante ebreo, sperimentò le persecuzioni hitleriane riuscendo a fuggire a Stoccolma con la madre in un esilio carico di dolore. Dopo la guerra la poetessa, Nobel 1957, disconobbe tutto quel che aveva scritto in precedenza ma l’esilio non oscura la lingua che sembrava perduta, anzi viene ritrovata giorno dopo giorno nelle lettere (soprattutto quelle con Paul Celan) e nello scambio di poesie testimonianti lo strappo dall’oscura insensatezza che pervade l’Europa nei primi decenni del Novecento. Anna Ruchat ci spiega nella nota che, nonostante il mistero continui a preponderare in gran parte della poesia di Sachs, oggi abbiamo più notizie sulla sua biografia e sul suo dialogo con i morti avvenuto attraverso i libri dei profeti e Giobbe e, oltre ai testi biblici, le Storie e leggende chassidiche di Martin Buber e lo Zohar tradotto da Scholem. Esperienza e tradizione diventano il fulcro di una ricerca in cui il linguaggio si scortica con gesto “mistico e disperato”.

Ma ricordiamo che: i diversi cicli poetici di Sachs, e con lei Celan, sono la prova di una resistenza dentro il fuoco degli olocausti, pubblici e privati. Non semplice testimonianza o lamento. Ma una “traversata” dell’inferno esterno che passa attraverso la distruzione di alcuni cicli poetici antecedenti al 1943 e la scrittura di nuovi confluiti poi, in parte, negli Appartamenti della morte (pubblicazione: 1947). Le note e il commento finale di questo libro descrivono puntualmente l’origine e la sorte editoriale di tutti i testi lì contenuti. Che sono un viaggio “oltre la polvere” decretata dalla Shoah, ma restandovi dentro perché la Verità resti visibile sino alla fine. Il lato strettamente umano del sacro si rende visibile, nel caso di Sachs – e poi nel nostro di spaesati lettori –, con la rinascita poetica in “nome di chi non può più parlare”. Dopo aver attraversato la tentazione di cancellare tutto, e poi risolta in implacabile sparizione dietro l’opera: «Solo una voce, un sospiro per coloro che vogliono ascoltare».

In Sachs il campo della nostalgia è sovrastato dal campo (i campi) dove la cenere si posa implacabile, tramutandosi poi in polvere che, mischiandosi alla sabbia, giunge al nostro reale di postumi “segni” (o impronte, poco di più forse) di coloro che abbiamo disperso negli spazi. A cosa possiamo aspirare, in questo buio 2024, se non a un tentativo, forse estremo, di ritorno di memoria decidendo di addentrarci in poesie che inchiodano agli odierni (frananti) compiacimenti letterari.