Spesso (ma non è una regola assoluta) in Italia sono le case editrici minori a assolvere il compito di tradurre e pubblicare autori che meritano diffusione, e che per vari motivi gli editori più grandi trascurano; e questo è vero non solo per scrittori e scrittrici italiani, ma anche per chi scrive in una lingua poco diffusa. È il caso, per esempio, del portoghese Pedro Eiras, nato nel 1975 e autore da oltre vent’anni di una serie di libri, dei quali il presente è soltanto il primo che arriva ai lettori italiani, come sottolinea la traduttrice nella nota in calce al volume. Sulla copertina compare, in piccolo, la scritta racconti, perché non è una monografia su Johann Sebastian Bach, ma una raccolta di testi di fiction che, senza mai portare in scena il grande musicista barocco, contribuiscono a disegnarne la figura, come tratti di penna che uniscono puntini sul un foglio di carta, o coltelli lanciati contro una sagoma umana al circo.
La scelta intelligente di Eiras è stata quella di scegliere una serie di persone che nel tempo hanno avuto a che fare con Bach, e su di esse costruire brevi nuclei narrativi che a volte sfiorano l’argomento, altre volte vi si avvolgono come gesso intorno a un calco. Ogni episodio è contraddistinto dal nome del protagonista e da un anno di riferimento. Si comincia dal 1750, poco dopo la morte di Bach, quando la vedova scrive alle autorità della città di Lipsia chiedendo una dilazione nei tempi di trasloco dalla casa che la famiglia occupava come beneficio alla carica di Kantor della Thomaskirche. Eiras è andato a recuperare, per questo racconto, l’apocrifo The little chronicle of Anna Magdalena Bach, pubblicato nel 1925 come reale memoria della seconda moglie di Bach, in realtà opera della scrittrice inglese Esther Meynell. Come suggerisce Claudio Trognoni nella postfazione a questo libro, è la natura di maschera narrativa dell’apocrifo a attirare Eiras, che pure ha giocato sull’ambiguità editoriale per dare alle stampe, nel 2016, un Cartas reencontradas de Fernando Pessoa — assumendo il ruolo di ultimo e postumo eteronimo dello scrittore suo connazionale.
Numerosi e interessanti, sia come stile che come contenuto, i brevi racconti di questo libro, dove compaiono in scena musicisti come Gustav Leonhardt, Glenn Gould, John Cage, oltre a filosofi e scrittori, per non parlare di Martin Lutero. Ogni brano è “legato” a una composizione di Bach che dovrebbe fornire il tono, l’atmosfera della narrazione. Ci sono anche casi in cui l’autore esce dall’ombra e scrive in prima persona, come nel brano intitolato Jeshua ben-Josef, che sarebbe poi il nome storico di Gesù, nel quale Eiras riflette sul rapporto tra la Bibbia e la musica.
Mi sono domandato, nel corso della lettura, quanta parte del piacere che ne ho ricavato dipenda dal conoscere bene la vita e la musica di J.S. Bach, e dal sapere di conseguenza collocare ogni riferimento, ogni citazione nella luce del giusto significato. Voglio dire: chi è completamente a digiuno di ciò che Bach ha rappresentato, si ritrova a leggere un libro diverso da quello che ho letto io? Perché senz’altro trova uno stile raffinato, un’economia di scrittura in grado di evocare atmosfere, sentimenti ambientazioni, ma quanto è importante nel piacere della lettura la possibilità di cogliere un secondo livello di significato? Non so dare una risposta, mi limito a godermi questo piccolo gioiello di scrittura che, ne sono certo, rileggerò a breve.