Se il titolo di quest’opera fosse un indovinello, sarebbe facile arrivare alla conclusione che “la metà del doppio” è lo stesso, identico numero presupposto in partenza, o comunque il numero che si sta cercando. Naturalmente, però, la raccolta di racconti dello scrittore argentino Fernando Bermúdez che reca questo titolo, La mitad del doble, non è esclusivamente declinabile nei termini dell’Uno o dell’identico. Come ogni parola letteraria che reca in sé le stimmate dell’esattezza e della necessità – o meglio, del dover essere necessariamente quella parola, sulla pagina, e non un’altra – “la metà del doppio” descrive quella forma plurale di unità che è propria, in principio, di ogni raccolta di racconti, ma che non è per questo una singolarità del tutto compatta e pacificata, né si può dire priva di riferimenti a dissezioni violente o a inquietanti doppiezze.
Rispetto a questi ultimi elementi, già il primo racconto (Mezzanotte passata) presenta una violenza che lascia il segno, nella lettura, incidendo scene memorabili e durissime, in un’esplorazione ai limiti della sopportabilità. Nei successivi sei racconti, questa violenza va via via stemperandosi e compaiono, invece, una serie di figure del doppio; queste ultime, tuttavia, non esauriscono la loro portata nella riproposizione del tema classico del Doppelgänger, ma si avventurano su quel livello della doppiezza che unisce e al tempo stesso separa letteratura e realtà. È, in altre parole, verso orizzonti metaletterari che si muove con decisione la scrittura di Bermúdez, affiliandosi in modo stretto – come segnalato dall’eccellente traduttore e curatore, Giovanni Barone, nella nota finale – a quella tradizione argentina del fantastico che vede tra i propri capostipiti i nomi canonici, ma sempre portatori di una certa carica di paradossalità, di Macedonio Fernández e Jorge Luis Borges.
In questo, non vi è soltanto la ricerca di una genealogia letteraria, nazionale e internazionale, di altissimo rango – posizione di prestigio, peraltro, ottenuta da La mitad del doble in pochissimo tempo, essendo stato insignito del Premio Cortázar nel 1994 e del Premio Rulfo nel 1997 (a testimonianza di valori letterari che, con decenni di ritardo, Edizioni Spartaco ha avuto ora il merito di portare a conoscenza anche del pubblico italiano) – ma anche, forse soprattutto, una sfida lanciata, tra un senso compiuto del tragico e una più ampia leggerezza, al dispositivo letterario stesso.
Per dirne una, i personaggi del secondo racconto, La condizione genuina, genericamente identificati come “lui” e “lei” hanno così tanta coscienza del proprio statuto di costrutti letterari che questo non scade nelle facili ironie metaletterarie o nel cerebralismo di tanto postmoderno nordamericano, ma porta, fra le altre cose, “lui” a una dichiarazione – “È che pretendiamo di essere nientemeno che un simulacro. Come tutto. Siamo qualcosa che vuole essere fittizio ma che succede implacabilmente reale” – nella quale la chiave di volta sta nella frase incastonata al centro, capace di dare uno specifico rilievo drammatico all’insieme.
Via via le diverse componenti della raccolta italiana – ottenuta da metà dell’edizione originale, con l’aggiunta di due racconti originariamente non appartenenti a La mitad del doble – vanno amalgamandosi fino a risultare in quella che si può forse descrivere come la sintesi più compiuta della poetica di Bermúdez, quel racconto lungo intitolato Hugo Talmann, morto a New York così interamente basato sulla rincorsa reciproca di realtà e finzione, parola letteraria e materialità concreta, da contenere anche un breve testo nel testo che – oplà! – dà anche il titolo all’intera raccolta di racconti.
Ancora una volta “la metà del doppio”, questa volta in un inseguimento che diventa smarrimento, sparizione. Chi sta inseguendo chi? Dov’è finito il personaggio? E il suo autore (che, come ci ricorda sempre puntualmente Gianni Barone, si è chiuso, come un novello Bartleby, in un lungo mutismo letterario dopo la pubblicazione di questa prima, fulminante opera)? Le risposte stanno nel libro, non al di fuori, e sono esatte e necessarie come il grado di tensione espressiva e riflessiva raggiunto dalla scrittura di Fernando Bermúdez.