Racconti cinici per lettori nostalgici

Valerio Valentini, Parlare non è un rimedio, D Editore, pp. 282, euro 14,90 stampa, euro 3,11 ebook

Quello che stupisce di questo libro è innanzitutto il formato, deliziosamente pocket, e dall’impaginato insolito. Poi, a lettura terminata, si impara a conoscere l’autore che butta una manciata di disincanto mischiata a cinismo qua e là (inconsapevolmente o consapevolmente: io opto per quest’ultima).

Originario di Roma, l’autore Valerio Valentini ha fondato nel 2016 il magazine Reader for Blind, rivista indipendente e autofinanziata di letteratura breve, aperta a tutti coloro che hanno qualcosa da dire e lo dicono bene. In questo suo terzo libro ha concepito una raccolta mista, composta da racconti dalla struttura complessa che si alternano a racconti dalla trama più libera, legati in ogni caso da un fil rouge di rassegnazione, da un’aspettativa in crescendo che viene distrutta con intelligenza sul finire, destabilizzando il lettore.

Valentini ha una scrittura scorrevole e diretta che fa dei suoi racconti una piacevolissima compagnia, una lettura che lascia l’amaro in bocca, una malinconia di base e una diffidenza nei confronti dell’amore che è riconoscibile in tutti i suoi personaggi. Lo si ritrova nel ragazzo di «L’amore ci farà a pezzi», che, durante il matrimonio della sua ex fidanzata Luciana, ha un incontro fugace nei bagni con Alina, l’ex fidanzata dello sposo, in una situazione paradossale e tragicomica insieme. Ma anche in «Parlare non è un rimedio» (racconto che dà il titolo all’intera raccolta), in cui una coppia si confronta al tavolo e dopo una notte d’amore lei abbandona il marito per un altro.

Un concentrato di emozioni da cui emergono i diversi approcci alle relazioni, gestioni diverse del sentimento che molto spesso si tramuta in routine, che come si dice sulla quarta di copertina «è una gabbia che ci riempie di risentimento. Veniamo allevati con colte letture di avventure straordinarie, ma la realtà è un’altra: siamo costretti ad accontentarci di piccoli momenti di gioia, punti luminosi che interrompono una vita annegata dalla noia».

Un racconto che descrive perfettamente questo concetto è «Costole»: una coppia ha difficoltà nel concepire un figlio e nelle azioni che si susseguono quotidiane, tutte uguali; dopo tanti tentativi andati a vuoto finalmente arriva lo spiraglio di luce a cancellare la delusione.

Tre storie in particolare mi sono rimaste nel cuore, «Iride», «Audio Bibbia» e «L’ultimo giorno di Phonola». La prima per la vicenda terribilmente commovente in cui un bimbo cieco insegna al padre a guardare le sfumature del mondo in un mercatino di domenica mattina. La seconda capace di far ridere e riflettere sull’ipocrisia delle persone, mentre l’ultima è una storia nostalgica sugli oggetti con cui siamo cresciuti e a cui ci siamo inevitabilmente legati, tanto da infischiarcene dell’evoluzione tecnologica.

Un libro molto ben scritto che invoglia anche i più diffidenti alla lettura del formato narrativo del racconto, che è fondamentale in questo momento storico in cui andiamo tutti di corsa e non abbiamo mai tempo per soffermarci, distratti da mille input esterni.

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