Stefano Tiozzo è un fotografo, documentarista e scrittore. Instancabile viaggiatore e autore di servizi fotografici e racconti sul suo canale youtube ”moscow diaries”. Un uomo che si è trasferito in Russia per amore della moglie Sati, orgogliosamente caucasica, abbandonando la sua professione di dentista a Torino, non sapendo una parola di russo e immergendosi lentamente in luoghi, ambienti naturali e umani, culture e tradizioni completamente diverse.
Tiozzo, a differenza dei russofobi nostrani, per cui la cultura russa puzza di zolfo anche quando si tratta di grandi letterati e musicisti amati in tutto il mondo, è curioso e viaggia per l’enorme territorio in luoghi poco conosciuti come il Daghestan, la Lapponia, il Caucaso, i monti Altai. E’ nato nel 1985, non nutre nostalgie sovietiche, non è di famiglia comunista, e anche lui è stato influenzato dalla propaganda americana del film Rocky IV in cui un ottuso e malvagio russo, Ivan Drago, minaccia il pugile americano con la grottesca frase “io ti spiezzo in due”. Drago è l’esempio del cattivo senza cervello, del forte senza strategia, dello sbruffone destinato a fallire davanti all’intelligenza e alla sagacia del pugile Rocky. Difficile non farsi influenzare da queste pellicole, ma Tiozzo non se ne vuole liberare, anzi, lo fanno ridere ed è dunque con un misto di pregiudizio e di voglia di indagare che dal 2017 a oggi gira in lungo e in largo il paese, conoscendolo – come dicono i russi – meglio di loro stessi e ci dice che “la Russia non si sceglie, la Russia ti sceglie”.
Il libro è dunque il resoconto affettuoso di un viaggio in una cultura diversa, alla ricerca di tratti che accomunano popolazioni di uno Stato che comprende undici fusi orari diversi, dove si può morire di freddo e di caldo a seconda dei diversi territori. Già questo dovrebbe farci riflettere che le letture intorno alla “Guerra fredda” della Russia non sono molto realistiche. La parola d’ordine di questo lungo percorso è ricerca e comprensione. Per gli studiosi italiani, soprattutto quelli che lavorano sui temi del confine orientale, dovrebbe essere chiaro che quando si parla del tema delle foibe scatta l’algoritmo del “giustificazionismo”. Chiunque voglia capire le cause e la mentalità che portano alle violenze del maggio-giugno del 1945 è accusato di giustificare la violenza stessa.
Oggi si ripropone lo stesso meccanismo. Chi vuole comprendere quanto sta accadendo oggi nel conflitto russo-ucraino si trova nella stessa situazione. Tiozzo non cade in questa trappola: vuole capire e ci riesce perché si tiene lontano dalla logica bipolare. Sono le caratteristiche dell’impero russo a essere investigate per inquadrare gli eventi attuali.
L’autore afferma che caratteristica fondamentale dello spirito russo è il patriottismo, concetto ben diverso dal nazionalismo. Per noi occidentali il patriottismo è un’idea abbastanza superata: amiamo l’Italia per la sua bellezza, per lo spirito dei suoi abitanti, per il cibo e i panorami; siamo critici sulla politica, sulle magagne del carattere dei concittadini, sull’arte di arrangiarsi lontana dall’idea del bene comune. Secondo Tiozzo i russi sono legati alla terra, ai paesaggi naturali, alla patria minacciata prescindendo dalla politica. Putin passerà, secondo i russi, così come è passato lo zar e Stalin, ciò che rimane è il paese, la sua storia, la sua tradizione.
Putin, dopo la disfatta del paese e la terribile gestione Eltsin, ha cercato di rinvigorire la cultura dell’impero, legandola alla religione ortodossa che permea la cultura popolare nonostante i 74 anni di ateismo. In meno di quattro anni – scrive l’autore – dal crollo dell’Urss furono ricostruite a furor di popolo tutte le chiese principali demolite ai tempi di Stalin. La chiesa ortodossa ha diffuso, incidendo sulla politica, i suoi valori tradizionali in contrapposizione a quelli occidentali, soprattutto per quanto riguarda la famiglia, la questione di genere e i diritti della comunità LGBTQ+.
Una società che rimarca inoltre in modo forte la storia della seconda guerra mondiale nella festa grandiosa del 9 maggio, quando l’Armata rossa sconfisse il nazismo. La celebrazione con il grande corteo dei parenti delle vittime che portano in mano le fotografie dei caduti si è trasformata negli ultimi anni in un fenomeno di massa sconosciuto negli anni precedenti. È dal 2007, l’anno della Conferenza per la sicurezza di Monaco, in cui Putin si scagliò contro il mondo unipolare a guida americana, contro l’allargamento della NATO a oriente, contro il rifiuto di Clinton di accogliere la Russia progressivamente nell’Alleanza Atlantica, che l’ideologia imperiale ultra-ortodossa russa si è affermata recuperando un sentimento che i russi non avevano mai superato. Accanto a questo sentire comune ci sono le mille differenze delle etnie e delle lingue del grande paese. Il senso della patria è il collante che tiene unite le molteplici differenze ed è parte della misteriosa “anima russa” per cui il grande scrittore Tjutčev in una quartina famosa dice che La Russia non si capisce con la mente. Romanticismo? Sentimentalismo? Noi occidentali, lontani da questi approcci, abbiamo però il dovere di comprendere ciò che sta fuori da noi, decentrando il nostro punto di vista se pensiamo che pace e rispetto siano le due facce della stessa medaglia.