Titolo fuorviante / Storie di passati amori

Maurizio Maggiani, L’amore, Feltrinelli, pp 195, € 16,00 stampa, € 9,99 eBook

Titolo fuorviante

VALENTINA MARCOLI

Ammettetelo, chi di voi entrando in libreria o navigando sui vari siti non si è lasciato conquistare da una copertina accattivante o da un titolo commercialmente azzeccato – magari prendendo poi una sonora cantonata? È quello che succede molto spesso nel mercato librario contemporaneo – senza fare di ogni erba un fascio, per carità, le eccezioni ci sono e sono perle rare da preservare.

Questo certo non è il caso dell’ultimo lavoro di Maurizio Maggiani: neanche leggendo la sinossi di L’amore s’intuisce realmente il contenuto del romanzo, e pure l’immagine che regna sovrana in copertina, a sedurre il lettore con una coppia che passeggia immortalata nell’atto di baciarsi, e con l’eleganza di un bianco e nero, è decisamente ingannevole.

Si legge infatti nell’aletta interna:

Quanto più scende nel dettaglio, tanto più Maurizio Maggiani riesce nel miracolo di raccontare l’amore universale, nei gesti, nelle parole, nelle abitudini, nei turbamenti, scrivendo un romanzo intimo.

Tra l’intimo su cui concordo, in quanto L’amore rassomiglia molto ad un diario della memoria privata dello sposo, e «il miracolo di raccontare l’amore universale», che credo intenda «per la nazione» e non l’amore sentimentale che s’intuisce del titolo, c’è un abisso.

La storia si svolge in un’unica giornata, aprendosi in una scena d’intimità serale: una coppia di sposi rappresentata in maniera impersonale, anche se in realtà è il marito che descrive i fatti, è in camera da letto e la moglie chiede, come da loro abitudine, che le venga raccontato dallo sposo un «fatterello», così lo chiama, ossia un’avventura amorosa del passato del marito, a mo’ di storia della buonanotte. Lo sposo chiaramente si vede costretto ogni volta ad edulcorare, a romanzare, a smussare gli spigoli più indelicati.

In verità il momento del «fatterello» altro non è che un pretesto per ricordarsi la successione di eventi che ha portato lo sposo a pronunciare il fatidico ti amo. Che a una lettura superficiale risulta essere solo un elenco di storie d’amore più o meno intense dall’età adolescenziale fino agli anni immediatamente precedenti l’incontro con la sposa. Un romanzo che si presta a più livelli di lettura, un flusso di coscienza che offre a Maggiani la possibilità di fare propaganda politica, raccontando di lotte proletarie, occupazioni scolastiche, manifestazioni sindacali, frequentazioni di compagni e atti di ribellione nell’Italia dagli anni ’50 agli anni ’70.

Cosa pensereste leggendo:

[…] è un’immagine piuttosto piccola e poco incisa, è la copia di una copia di una copia di un’istantanea scattata alla fine dell’estate del 1972. Si vede un gruppo di una dozzina di ragazzi schierati in doppia fila, qualcuno lancia in aria il pugno chiuso, uno tiene con le due mani l’asta di una bandiera, la fotografia è in bianco e nero ma non ci sono dubbi che la bandiera è rossa, dei ragazzi due sono femmine, una è la Mari, tra i maschi, in seconda fila, c’è il Fabbro.

E poco oltre si continua con

Nelle vesti del Fabbro aveva esordito con l’azione, e cos’altro si addice al Fabbro se non l’azione.[…] Sono nella piazza del paese natale dello sposo e di diversi tra loro, alle spalle si intuisce il monumento a Giuseppe Mazzini, e sono tutti quanti reduci dalla città di Parma, dove hanno dato l’assalto alla sede del Movimento sociale, un assalto vittorioso.

Un linguaggio troppo desueto («Amor amoris amore, declama la sposa sciogliendosi sbrigativa dall’abbraccio del suo sposo. Declina l’amore con tono perorativo, è un richiamo, è un’avvertenza, la notte si è fatta avanti, è l’ora del divano.») frammisto a termini dialettali, una scrittura fastidiosa e disturbante, decisamente poco scorrevole o godibile. Sullo sfondo invece, una magnifica Liguria che mantiene il suo fascino nel corso degli anni. Purtroppo quello che resta del libro è invece la delusione di aver speso tempo ed energie dietro a pagine decisamente poco interessanti, soprattutto per chi l’acquistasse in cerca di sentimenti ed emozioni romantiche, spinto da curiosità che non trovano riscontro alcuno nel romanzo.

A meno che non cerchiate un romanzo politico.

 

Storie di passati amori

UMBERTO ROSSI

Associato alla romantica copertina, nella quale due giovani d’altri tempi (fine anni ’50 o primi anni ’60, a giudicare dall’abbigliamento) si baciano al volo, tra Cartier-Bresson e Doisenau, il titolo L’amore risulta tremendamente fuorviante. Chi prenda in mano il romanzo di Maggiani è indotto ad aspettarsi una vintage love story dal romanticismo senza compromessi.

Così non è. Il romanzo è tutt’altra cosa. Tanto per cominciare il protagonista del romanzo, lo sposo (detto anche lo Zoppo o il Fabbro per sue vicissitudini che non è il caso di anticipare), che attende a casa la sposa e prepara la cena dopo essersi fatto un giro in bicicletta, vive ora, adesso, in questo nostro 2018. È pur vero che gran parte del romanzo consiste nella rimemorazione dello sposo, che torna ripetutamente al passato; quello che però ricorda non è affatto un amore, ma una serie di amori, di donne che lo sposo ha incontrato e con le quali s’è accompagnato (e congiunto, per usare un verbo che Maggiani stesso impiega): Mari, Padoan, Chiaretta, Ida. Ora, se al lettore o alla lettrice viene promesso l’amore, singolare, è già spiazzante ritrovarsi una successione di amori al plurale; per di più non vissuti in diretta, ma ricordati in vecchiaia, quando ormai delle fiamme della passione restano le braci se non la cenere.

Maggiani, mi sembra, voleva riflettere sull’amore in generale – forse – e non presentarci un solo amore. Riflettere sulle mutevoli facce dell’amore ripercorrendo le passioni passate dello sposo, e approdando al suo sereno rapporto con la sposa, l’ultima donna e in un certo senso definitiva della serie. Però poi nella pagina gli è entrato anche altro, qualcosa che complica tutto e per così dire interferisce con titolo e copertina in modo ancor più disorientante. Tornando col ricordo alle donne della sua vita lo sposo torna anche, inevitabilmente per un uomo della sua età e della sua storia, ai tempi di quei passati amori, ai decenni trascorsi della sua vita, perché ogni donna è legata indissolubilmente a un certo periodo e a tutto quel che allora lo sposo visse: frequentazioni, lavori, militanze politiche, luoghi frequentati, svaghi, cibi. E allora quando c’è la storia con la bislunga Ida infuria la guerra del Golfo, e tra una cosa e l’altra appaiono le fregate costruite dall’Italia per Saddam Hussein e poi sequestrate allo scoppio delle ostilità. Non solo amore, anche navi da guerra, insomma (siamo dalle parti di La Spezia, non sorprende affatto).

Ricordiamoci che l’anno di pubblicazione del romanzo è il 2018, e che siamo esattamente a cinquant’anni dal 1968, per cui il romanzo di Maggiani rientra a pieno titolo in quel filone di narrazioni che in qualche modo intendono fare i conti con la ricorrenza, con approcci che vanno dal «come eravamo» al «come ci siamo ridotti». Ma attenzione: è abbastanza chiaro, pur nella mancanza deliberata di date, che la storia dello sposo comincia prima dell’annus mirabilis e continua fino agli anni Novanta.

Insomma il tempo ritrovato di Maggiani va declinato anche quello al plurale; sono diversi tempi, vissuti per di più in un microcosmo provinciale nel quale è vissuto e vive ancora lo sposo, una realtà che l’autore tratteggia anche nei minimi dettagli, ma senza concederci toponimi troppo espliciti (mai che si dica «Liguria», «La Spezia», o «Lunigiana»). Una realtà fatta di tanti personaggi, come Tiberio Nicola, maestro di ciclismo e predicatore della rivoluzione; fatta anche di piatti e prodotti locali (non manca l’aspetto alimentare, com’è giusto che sia nella provincia italiana, con tanto di dettagliata preparazione dello stoccafisso accomodato).

Come potete capire, chi cercava la passione incendiaria sarà restato giocoforza deluso. Nel romanzo c’è un vissuto quotidiano che può riuscire simpatico, ma non certo travolgente, inframmezzato da momenti di una vita trascorsa. C’è l’amore posato e senza scosse tra il protagonista e la sua compagna, sposo e sposa (e l’uso di questi termini accenna sicuramente a un legame stabile e saldo, ma senza sorprese). E un piccolo mondo moderno ma non troppo, col quale si può entrare in sintonia, ma anche no.

Infine, la lingua di Maggiani: la cosa che personalmente ho trovato più interessante. Termini dialettali sì, ma inevitabili; ancora oggi che il dialetto si parla sempre meno, certi oggetti e concetti della vita materiale, famigliare, intima li chiamiamo con i nomi dei nostri nonni e bisnonni, c’è poco da fare. Ma non è tutto qui. La prosa di Maggiani è stranamente sbilenca ma alla fine resta sempre in equilibrio: un eloquio quasi parlato ma non rivolto al lettore, un parlare tra sé e sé che noi origliamo, e l’effetto nei momenti migliori è interessante, come in questo passo:

La guerra era altrove, tra il Tigri e l’Eufrate, ma i nemici li potevano vedere anche lì dal balcone, due fregate ben armate ormeggiate nella darsena dell’arsenale militare. In verità i nemici erano stati fino a un attimo prima amicissimi, amici a tal punto che il Paese gli aveva venduto a prezzo da vero amico quelle due belle fregate. Erano arrivati marinai e ufficiali a imparare a farle navigare e Tiberio Nicola era stato incaricato di insegnare il funzionamento di diversi delicati meccanismi. Aveva fatto amicizia con gli assiri, parlavano l’inglese che aveva imparato dai suoi vecchi amici jazzisti, gli sembravano simpatici anche loro, avevano scoperto di essere nemici della televisione mentre erano tutti quanti in coda alla mensa, adesso erano consegnati sulle loro fregate e nessuno poteva rivolgergli la parola. Tiberio Nicola non sapeva farsene una ragione, e nessun altro che lo Zoppo sapesse, al riguardo della guerra la radio dava notizie di incomprensibile stupidità.

Questo, Maggiani nei momenti felici; ogni tanto però ci sono cali di tensione, pagine in cui la narrazione, come lo sposo nel suo giro pomeridiano in bicicletta, smonta e si siede su un paracarri. Peccato, perché questo richiede al lettore un piccolo sforzo, alzarsi sui pedali e mettere un rapporto più agile come un ciclista che affronti una salita di quelle da affanno. Fortunatamente seguono discese piacevoli, che fanno di L’amore un romanzo forse non riuscitissimo, ma che nel complesso si fa leggere.

http://www.feltrinellieditore.it/