L’ho già scritto parecchie volte. Si sta sviluppando con granitica solidità e adamantina coerenza il (neo)gotico piemontese, sanguinoso country folk territoriale (il mio territorio) grondante di memorie horror pertinenti tanto ai classici della letteratura quanto ai meno classici titoli del cinema confinante. Se l’ho già scritto voi l’avrete già letto, ma a ogni nuova uscita di un esponente del “movimento” (ci chiamano o ci siamo fatti chiamare gli Strän) il discorso si affina, il cuore un po’ marcio della materia in oggetto si precisa delineandosi sempre più e le peculiarità, nel caso del Piemonte, uniche al pari di quelle romagnole del capitano Eraldo Baldini, si palesano ben oltre l’alibi dell’appartenenza al genere.
Ovvio che un attacco del genere possa peccare (appena appena…) di presunzione, ma da più di quarant’anni su questo fronte lotto con furore lasciandoci pure qualche penna. Ma un lavoro come quest’ultimo di Sartirana testimonia che i padri fondatori alla fine la spuntano.
Christian, come ogni Strän che si rispetti, elegge il suolo natio come culla degli eventi esibiti, confermando da un lato che persino Stephen King può essere chiamato Strän e che niente risulta più inquietante, sarebbe il caso di scrivere “perturbante”…, di quanto ci è quotidiano e familiare. La zona – i dintorni di Casale tra Alessandria e Valenza – è già realmente sinistra di per sé soprattutto in autunno – inverno, ma nella sapiente trasfigurazione dell’autore assurge a vette di tanta disgustosa repulsività che bisognerebbe scomodare, come termine di paragone, il sommo H.P. Lovecraft e l’immaginaria Innsmouth.
Ma procediamo per gradi asimmetrici, tenendo conto che un romanzo del genere non si racconta. Christian Sartirana, oltre che giovane e talentuoso, è anche un rompiballe con la maiuscola, avendolo già tastato come scrittore in Ipnagogica (sua antologia personale pubblicata da Acheron Books nel 2017) ma, soprattutto, come editor per un racconto lungo che vedrà la luce spero prima della mia dipartita. Senza che io abbia troppo a divagare, posso affermare senza tema di smentita che gli editor rompiballe sono i migliori della categoria, di quelli che ti inchiodano per ore sulla pertinenza di una virgola, e nella quasi totalità trattasi di grandi scrittori che non hanno problemi a dare il meglio nelle cosiddette curatele.
Aspettatevi quindi un lavoro dove le parole sono calibratissime tanto in fase descrittiva che dialogica, azzardandosi l’autore a saltabeccare tra l’io narrante e la terza persona, al servizio di una rappresentazione del Male tanto convincente perché coerente con le particolarità del territorio quanto raggelante nella descrizione quasi chirurgica delle “maschere” di detto Male. Non è un caso che le tracce del Nemico si nascondano nei vocaboli di antichi e quasi incomprensibili libri e che il protagonista principale, diretta emanazione dell’autore, sia giusto un antiquario libraio attorniato da personaggi unici e indimenticabili reperibili soltanto in una provincia frastagliata come la nostra. Non solo quindi un incredibile inventario di mostruosità tali che la mia, per quanto rodata, immaginazione ha faticato non poco a catalogare, ma soprattutto un gustoso e clamoroso spaccato di “piemontesità” felicemente interfacciata con quell’Altra Dimensione – e proprio in questa “fusion”, sulla carta per nulla agevole, risiede forse il maggior pregio di Unborn.
Al proposito non mi sottraggo all’aspetto più singolare che mi riguarda un po’ troppo da vicino, trovando a un certo punto tra i personaggi all’apparenza secondari, proprio un “Danilo Arona”, quasi per nulla filtrato dai canoni della fiction, essendo quello un ricercatore un po’ folle, saggista, erborista etc, che fornisce al protagonista Lorenzo qualche elemento in più per comprendere la follia “materiale” dei mondi parassiti. In quest’operazione, straniante quanto lusinghiera, Sartirana mi attribuisce la produzione di un tomo intitolato Universi degenerati – Il Tempo della Fine, di cui non nego, a sua telepatica veggenza, l’esistenza sotto altro titolo. Però, con un lungo brivido a percorrere la schiena, confesso che il sottotitolo è proprio quello… Maledetto, in senso buono, Christian, stai anche tu fra gli scrittori “collegati”? Già, ma con cosa? Con quale Cosa?
Ok, è pure scritto in quarta di copertina: nel Piemonte gotico albergano anche John Carpenter e Lovecraft, parecchio sullo stile Il seme della follia per capirci. E qualcuno si chiederà il perché dell’anglosassone titolo, Unborn. Credo che il patron di Acheron, Samuel Marolla, uomo che pensa in grande, voglia intravedere un futuro letterario “oltre i confini” per la nostra sanguinaria e bisbigliante regione. Dai, sono soltanto sogni. A volte incubi.