Andrea Zanzotto / “Galatei, sparsi enunciati…”

Andrea Zanzotto, Erratici. Disperse e altre poesie 1937-2001, a cura di Francesco Carbognin, Mondadori, pp. XX + 318, euro 20,00 stampa

Andrea Zanzotto in un estremo tentativo di riabilitarci, in misterioso modo, ma non postumo poiché tutte le poesie contenute in questo volume non fuoriescono da cassetti segreti ma da pubblicazioni che hanno visto la luce in più di settanta anni di storia editoriale. Riabilitazione da tempi traumatici, ben chiari nella mente e negli occhi del poeta di Pieve di Soligo, dai Colli dove poteva osservare sorgenti inaridirsi, boschi ambire a galatei umani scordati del tutto, e strati geologici polverizzati. Grazie a Francesco Carbognin abbiamo qui raccolta, ambendo a una sicura fedeltà, una serie di poesie che per annate ci illustrano le visioni, le sperimentazioni, le meditazioni discontinue e riprese lungo difficoltà fisiche e ostilità dei climi. Dai primi versi adolescenziali, nell’età del liceo, all’attraversamento dei grandi esiti di La Beltà e Pasque fino agli estremi lirici del Galateo in bosco, dove variazione e commistione lessicale raggiungono mete straordinarie di liturgia en plein air.

Il soggetto va e viene dentro le particelle paesaggistiche, sempre meno “naturali” (da qui il trauma più volte ripreso in meditazione e struttura), e si rifrange nelle onde aggressive del mondo in rivolta. Immergendoci nella corporalità della raccolta possiamo percorrere sentieri che sono stati la trama centrale di Zanzotto poeta e uomo perennemente rivolto al paesaggio da un certo punto in poi radicalmente devastato. E ci accorgiamo quanto il filo del dialetto e del petèl (“linguaggio dei bambini piccolissimi e forse delle stesse uova”) sia quel codice di vita eternamente cercato, indagato, e trasformato in rilevanza fisica, come fosse mappa genetica in dialogo diretto, fonico, fra cellule e reperti geologici.

Una traversata nella lingua che attraversa tutto il secondo Novecento e ancora s’espande in questi primi difficilissimi decenni del nuovo millennio. Un fiume che scende a valle, verso le nostre coscienze, con alle spalle conglomerati e schemi arcaici e “erratici”: a Zanzotto venne a mancare la natura, dunque non v’è poesia dove non si ascoltino tremiti tellurici e pensieri “sconquassati”. E l’inarrestabile spinta fluviale della poesia. Quella che da garbugli, dolori aggressivi, e iscrizioni archeologicamente riesumate, forma grafie penetranti e infine pressoché serene. Anche i frammenti rocciosi, in certi luoghi ispirano una solidità temporale. Alla solidità Zanzotto si rivolge sempre più nel corso dei decenni, sentendo crescere la destrutturazione del paesaggio reale. Con la disgraziata perdita di quanto sembrava inscalfibile, se non dal passaggio dei millenni.

Quest’anno, centesimo dalla nascita e decimo dalla scomparsa, i lettori ancora possono inoltrarsi in uno dei più penetranti sistemi poetici del secolo scorso, e deambularvi seguendo sentieri lirici e divaricazioni linguistiche sempre sul filo della premura (e mai senza ironia) verso il multiforme mondo non solo euganeo. La memoria del poeta è onorata, accompagnandosi il volume di Disperse a uno di Traduzioni trapianti imitazioni curato da Giuseppe Sandrini. Entrambi nella collana “Lo Specchio”.