La praghese Bertha von Suttner fu la seconda donna nella storia, dopo Marie Curie, a vincere il premio Nobel: lo ottenne nel 1905, quando aveva sessantadue anni, dopo una vita spesa al servizio della causa pacifista, in cui si era battuta per una federazione sovranazionale che avrebbe dovuto impedire le guerre future, e aveva associato all’impegno principale inumerevoli altri versanti che da esso discendevano: la lotta all’antisemitismo, alla vivisezione, la rivendicazione dei diritti delle donne, il disarmo. Waffen nieder! (Giù le armi!) si intitolava il romanzo che, uscito nel 1889, conobbe un successo vastissimo, con traduzioni in tutto il mondo, e la proiettò alla ribalta internazionale. Non era il primo e non fu l’ultimo, ed ebbe anche un seguito, Marthas Kinder (I figli di Martha) nel 1892: e tuttavia non fu il Nobel per la letteratura, bensì quello per la pace che le fu assegnato. Ma la sua attività di scrittrice era diretta discendente dell’impegno civile, in un rapporto di reciprocità e di equilibrio che portò Suttner nel corso degli anni a divenire un emblema per il movimento pacifista internazionale.
L’imbarbarbarimento dell’aria è uno dei suoi ultimi scritti, uscito nel 1912 e ora presentato da Emilia Fiandra in un’accuratissima edizione italiana con testo a fronte e un apparato critico di prim’ordine, in cui la figura di Suttner viene squadernata in tutto il suo spessore storico: un pamphlet accorato, un’opera di grande interesse, a metà tra la riflessione filosofico-politica e la speculazione sul futuro di un mondo in continuo cambiamento, in cui i rivolgimenti tecnologici avevano ricadute profonde sulla vita degli uomini e sullo stesso concetto di società, con numerosi rimandi alla lettura “avveniristica”, alle opere di Wells (La guerra nell’aria è citato con ampi stralci nell’opera di Suttner) che in quegli anni gettavano una luce sinistra sull’impiego utilitaristico di una tecnica sempre più raffinata e non temperata da una parallela maturazione della natura umana. L’uomo resta “barbaro”, nonostante le luci scintillanti con cui il progresso scientifico gli illumina la strada: e questa barbarie si estende, o rischia di estendersi anche all’aria, ai cieli che in quegli anni cominciano a essere solcati – o “conquistati”, in termini più consoni alla logica militaristica di espansione e asservimento che Suttner depreca – dai primi aviogetti, e diventano così una nuova frontiera di possibili azioni di distruzione. Suttner registra con precisione l’evoluzione che si compie nel breve spazio di pochi anni nell’ambito dell’impresa aeronautica: dallo slancio condito di entusiasmo utopico degli inizi (“Dall’America giungeva notizia che lì i fratelli Wright avevano costruito macchine volanti più pesanti dell’aria. Questa sì che sarebbe stata l’autentica conquista dell’altitudine: le macchine volanti. Quale sogno, quale utopia!”) al presentimento dei pericoli che discendono dalle potenzialità che lo spazio aereo offre alle strategie belliche e che già si palesano di lì a poco nella Guerra di Libia: “Tutte le argomentazioni se le aeronavi e le macchine volanti debbano essere introdotte come armi offensive o meno, sono superate dai fatti: l’arma è già stata introdotta. Gli italiani nella guerra in Tripolitania hanno utilizzato la prima ‘torpedine del cielo’ e d’ora in poi il lancio delle bombe dall’aria apparterrà alle esperienze e agli usi bellici esistenti”.
La frenesia del progresso e il macinare dei processi che legano insieme corsa agli armamenti, nazionalismo, colonialismo e capitalismo industriale, strangolano in una morsa gli orizzonti ideali che si erano aperti con il puro evento della realizzazione del volo aereo, soffocano il suo potenziale liberatorio: “Quindici o vent’anni fa gli inventori squattrinati che giravano con i loro progetti per costruire palloni dirigibili o macchine volanti si rivolsero ai capi del movimento pacifista. Aiutateci, dicevano, a conquistare l’aria e la guerra sarà superata. […] Adesso l’aria è stata conquistata. Possiamo volare al di sopra di ogni confine e librarci in alto e… la guerra possiede ora un’arma in più”.
Bertha von Suttner è consapevole di combattere una battaglia di retroguardia, ma ciò non spegne di certo il suo ardore ideale. Ed è una nota a margine di beffarda ironia che la morte l’abbia colta nel 1914, a una settimana di distanza dallo scoppio della prima guerra mondiale, in cui la sua diagnosi precoce delle sorti funeste dell’avventura aviatoria avrebbe conosciuto una nuova e tragica conferma.