[RECENSIONE DI ALESSANDRO FAMBRINI]
In un suo recente tour italiano, alla domanda su quali fossero gli autori svedesi che lo hanno influenzato, nei quali si riconosce, Anders ha risposto senza alcuna esitazione: “nessuno”. Non si tratta di una rivendicazione di originalità, ma più probabilmente della volontà di ribadire chiaramente la fonte della propria ispirazione: la filiazione dei Culti svedesi di Fager è dichiarata senza mezzi termini fin dal titolo (o almeno dal sottotitolo: Nove squarci nell’universo di H.P. Lovecraft) di questa sua raccolta d’esordio che una decina di anni fa ha fatto irruzione sulla scena del fantastico nordico con forza dirompente, e che adesso viene presentata al pubblico italiano. Eppure, quello con il Solitario di Providence sembra esser soprattutto un gioco di rimandi e di ammiccamenti, una dichiarazione di (mostruoso) affetto, più che un ingrediente sostanziale, tanto che nel richiamo a Lovecraft sembra di poter leggere perfino una sfida e una proclamazione di indipendenza: Lovecraft che viene portato oltre Lovecraft, usando le creature del suo pantheon per stabilire un rapporto con il presente, quel presente che Lovecraft aborriva e che nei racconti di Fager si offre con tutta l’oscenità, l’impudicizia, la trasgressività che nei Miti originali soltanto s’intuiva, racchiusa in nuce in varie combinazioni di orrori senza nome.
L’astrattezza – se è consentito il paradosso – che scaturiva dalla mente razionale di Lovecraft viene qui convertita in sangue, sudore e sperma, e gli orrori cosmici ricadono nella quotidianità, rispettivamente di (mi limito a citare i cinque lunghi racconti che costituiscono l’ossatura di questo volume e non i quattro interludi che sono cuciti intorno a essi a formare una tessitura insieme coerente e sfuggente): un gruppo di ragazzine liceali di Borås – una delle cittadine più noiose della Svezia – che evocano Shub-Niggurath, il Capro Nero dai mille figli, sacrificandogli ritualmente un giovane “manzo”, un loro coetaneo che viene pescato in discoteca, sedotto con irresistibili lusinghe sessuali per essere poi implacabilmente macellato (“Le furie di Borås”); una famiglia di profughi balcanici che dal profondo nord della Svezia invia due bizzarri fratelli a recuperare la nonna, nascosta in un convento ai tempi delle guerre in ex-Yugoslavia e lì rimasta, camuffata da suora, benché di fattezze ormai extraumane, poiché seguace di Yog-Sothoth, alla cui progenie appartengono i suoi discendenti (“Il viaggio della nonna”); un contadino norvegese che, durante la guerra dei Trent’anni, perde le due figlie e tutti i suoi beni a causa dell’avanzata dell’esercito svedese, e invoca Ittakkva, una divinità lappone che porta inevitabilmente orrore e distruzione (“Il desiderio di un uomo distrutto”); Nadine, una giovane immigrata macedone che cerca riscatto sociale in Svezia e, una volta assaggiato il tenore di vita di uno dei quartieri più esclusivi di Stoccolma, Östermalm, per mantenerlo non esita a sottostare alle umiliazioni e agli abusi che le infligge un vecchio stregone orientale che, in una storia alla “Charles Dexter Ward”, si è impadronito del corpo del suo compagno dopo averlo sedotto e sodomizzato (“Per sempre felici a Östermalm”); un’ambiziosa artista di avanguardia che, dopo aver scandalizzato pubblico e critica con una mostra fotografica di sesso esplicito con lei come protagonista (“Porn Star. Un incrocio tra la coolness di Matrix e lo squallore iperrealista di Fassbinder”), viene sobillata dall’enigmatica “Fondazione Carcosa” a produrre qualcosa di ancora più estremo – cosa che in effetti avviene, e segna il suo destino (“Il capolavoro della signorina Witt”).
Lovecraft, quindi, ovunque, che si annida nell’ombra e ammicca anche dove non è presente in modo esplicito. Ma, ovunque, anche la Svezia, con le sue convulsioni sociali, la realtà di oggi, in cui le mostruosità concepite dalla mente dell’autore americano acquistano senso se messe al servizio di una logica che le aggiorni allo spirito del tempo, le liberi da quella rigidità un po’ impettita della provincia del New England e le cali nella dialettica di personaggi tesi a obiettivi concreti come il sesso, il successo, il potere. È da questa commistione di ultrametafisico e bassamente materiale che scaturisce l’originalità di questa raccolta, che stringe in un impensabile corto circuito la prosaicità del quotidiano e le algide impennate visionarie dell’universo lovecraftiano.
Per farlo – e torno così al punto dal quale sono partito – sarebbe impensabile che Fager, al di là delle sue dichiarazioni, non includesse nel suo impasto narrativo anche modelli che appartengono alla sua tradizione, alla letteratura svedese: e così ecco che tra le pagine dei Culti svedesi, in mezzo a tanta cultura pop, affiora August Strindberg, che viene esplicitamente citato nel “Frammento IV” del quarto interludio, con il suo senso di paranoia e i suoi deliranti, ossessivi ritratti umani, la sua razionalità portata tanto all’estremo da trasformarsi in follia.
Ma ho ritrovato in Fager anche un autore apparentemente lontano da lui, una delle figure di maggior rilievo del Novecento scandinavo: Stig Dagerman, scrittore intenso e profondo, oltre che circonfuso in un alone mitico per la sua vita dolorosa e breve, per la lucidità della sua visione politica, per il disperato coraggio delle sue scelte. Come Dagerman, Fager è capace di cogliere i movimenti anche minimi della società svedese e di restituirli attraverso una scrittura realistica, calata nell’orizzonte dei suoi personaggi, in cui i lampi di assurdo, di visionario, di terrificante, balenano con forza ancora maggiore perché si riflettono sulla superficie di un mondo grigio e superficiale: un mondo che sembra condannato, e che le abominevoli divinità lovecraftiane si portano via con sé.
[INTERVISTA DI WALTER CATALANO]
La narrativa scandinava e svedese in particolare non è molto conosciuta nel nostro paese. Probabilmente siamo ancora a August Strindberg o poco più avanti e di solito immaginiamo ogni svedese come un personaggio appena uscito da un film di Ingmar Bergman, cosa che è probabilmente una sciocchezza. Il cosiddetto noir nordico ha forse leggermente cambiato le cose sull’argomento in Europa, ma nonostante ciò ti ho sentito, durante il tuo panel a Stranimondi, usare una certa severità nei confronti del kriminalroman scandinavo, definendolo “solo un business” e un “fare gli americani”. L’argomento è interessante, vuoi aggiungere qualcosa?
Non sono sicuro al 100% dell’argomento a cui ti riferisci. La Svezia è una superpotenza culturale considerando che siamo solo dieci milioni. Il fatto è che la maggior parte delle cose che esportiamo non sono particolarmente svedesi. Nessuno pensa a Minecraft o Avicii come “molto scandinavo”. Abbiamo in qualche modo fatto ciò che gli Stones hanno fatto con il blues negli anni Sessanta, rubando una cosa americana e vendendola in America
Fare riferimento al genere criminale svedese come “un’industria” sta solo affermando un fatto. È un’industria enorme. (E, sì. Ce ne andiamo in giro tutti proprio come la Morte ne Il settimo sigillo!).
Se una storia poliziesca scandinava ci è ormai più o meno familiare, non possiamo dire lo stesso del weird e dell’horror. Credo che l’unico autore dark fantasy tradotto nella nostra lingua sia stato John Ajvide Lindqvist. Sei il secondo. Come ti inserisci nel genere? Pensi che sia un bacino più autentico di espressione artistica? Perché hai scelto proprio questo genere (o forse è lui che ti ha scelto)? Perché l’orrore e il fantastico?
Probabilmente non avrei un lavoro senza Lindqvist. Ha fatto capire agli editori svedesi che era possibile guadagnare denaro da cose diverse dai romanzi gialli. Non sono sicuro di cosa intendi con un bacino autentico. E come mi si adatta? Non mi sono mai veramente seduto decidendo di scrivere horror o weird. È sempre stato così. O meglio almeno dopo che ho superato quella fase obbligatoria, a 21 anni, quando pensi che la tua vita e la tua esperienza siano così uniche che sarebbe interessante per qualcun altro leggerne.
Cosa significa per te “fantastico”? Qual è la nozione giusta di “perturbante”, “macabro”, “strano”, “bizzarro”, secondo te?
Non ci ho mai pensato. E mi ci fai pensare ora: credo che etichettarsi in un modo o in un altro sia solo un’altra pietra per costruire la propria prigione. Tutto dipende da ciò che scrivo. Culti Svedesi è un “horror lovecraftiano realistico”. Le altre cose che ho scritto rientrano in altre descrizioni. È una risposta ok?
Come ti presenteresti al lettore italiano che non ti conosce ancora? Culti svedesi sono stati il tuo primo libro ma ne hai scritti molti altri, ci parleresti della tua carriera letteraria? Quali dei tuoi libri consiglieresti per le traduzioni future?
Questo è il momento peggiore. Non so mai cosa dire. Ho scritto professionalmente per dieci anni prima di aver fatto molte cose diverse. Ho lavorato nel settore dei giochi, sono stato un ufficiale di fanteria e tutto il resto. Sono di Stoccolma, vivo a Stoccolma e se ci sono altri dettagli personali di cui vorresti sentirmi parlare, ti prego di essere un po’ più specifico. Consiglio vivamente il prossimo libro della serie dei Culti pubblicato edizioni EH. Si intitola Relazioni interspecie (Interspecies Liaisons) e riguarda molto il sesso e cose che vivono sul fondo del mare.
Come sei arrivato a Lovecraft? Cosa hai trovato nel suo “orrore cosmico” che poteva essere rinnovato e riutilizzato in tempi e luoghi così lontani dai suoi ruggenti anni Venti del New England? In che modo i tuoi lavori continuano e tradiscono insieme la weltanschauung di un autore statunitense importante ma anche molto settoriale?
Non posso individuare il momento esatto in cui ho deciso di lavorare nel mondo di Lovecraft. Mi è sembrato del tutto naturale. Né mi sono mai chiesto se avrei dovuto farlo. Una volta deciso per l’orrore non ho nemmeno pensato che potesse essere evocato senza i mostri lovecraftiani. Sono entrato in contatto con Lovecraft attraverso il gioco di ruolo The Call of Cthulhu e da allora i mostri sono stati lì. Penso che i mostri e la loro angoscia sessuale mi interessino di più di tutta la mitologia cosmica con divinità e roba del genere. E trovo strano l’interesse per la sua persona.
Le opinioni politiche di Lovecraft non erano sicuramente particolarmente carine, amabili e condivisibili, quindi il suo disgusto fisico per l’altro, anche e soprattutto in senso sessuale, emerge morbosamente ma, proprio per questo motivo, in modo così accattivante nella sua narrativa. Se sei stato ispirato da Lovecraft, sicuramente questi temi ti hanno colpito. Come ci hai lavorato, come li hai trascesi o attualizzati?
Penso che ci sia un errore nel cercare di negare il razzismo di Lovecraft. Bisogna vederlo attraverso la comprensione del fatto che si tratta di una persona terribilmente spaventata. Lovecraft ha paura di tutto ciò che non capisce, che siano persone di colore, donne o luoghi diversi dalla sua Providence. È un ragazzo molto spaventato, seduto nel seminterrato di sua madre a inventarsi storie terribili sulle cose di cui più ha paura. Questo lo rende un personaggio piuttosto triste.
Il rapporto fra Lovecraft e il sesso è stato un tabù tra molti puristi, ma penso che qualcuno così spaventato dalla consanguineità e dalla degenerazione probabilmente pensi molto e ossessivamente agli atti reali. È come quando Pornhub dice che “sesso interrazziale” è una delle cinque parole chiave più cliccate nel profondo sud degli Stati Uniti.
La tua narrativa weird non è tutta orientata verso Lovecraft. Penso che solo il tuo primo libro sia propriamente lovecraftiano. Cos’altro ci aspetta?
Il ciclo di Culti Svedesi comprende cinque libri. Il prossimo esce questo Natale. L’ultimo il prossimo anno. Poi lascerò Lovecraft e lavorerò su un altro progetto lungo sugli alieni e sulla Seconda guerra mondiale. Sarà bello cambiare argomento. Oltre a questo ho scritto per alcuni giochi, un audiolibro sui vampiri, un romanzo postapocalittico e un romanzo molto gotico intitolato For the love of goddess che uscirà in inglese il prossimo anno.
L’ultima domanda riguarda i progetti futuri. A cosa stai lavorando ora?
Ho appena finito il sesto libro del ciclo di Culti Svedesi. Poi lavoro all’espansione piuttosto ambiziosa per un gioco di ruolo. Il prossimo progetto sarà probabilmente quello di scrivere il libro finale dei Culti. E infine vorrei intervenire in una graphic novel per cui ho scritto la sceneggiatura. L’illustratore è Pete Bergting che tra l’altro ha lavorato con Mike Mignola su Hellboy.