Non un romanzo ma una storia. Non una biografia ma una vita. Queste oltre quattrocento pagine ci raccontano di un’anima tormentata in una Svezia di fine Ottocento, quella di Victoria Maria Bruzelius, grazie all’accurata ricerca della scrittrice e giornalista svedese Elisabeth Åsbrink, molto apprezzata per i suoi reportage letterari di stampo storico e sociale nonché per la sensibilità con cui affronta ogni riga. Åsbrink è una capace Virgilio che ci accompagna in un viaggio tortuoso fatto di trascrizioni prese da diari privati, scambi epistolari e articoli apparsi su riviste, il resto è una cronaca precisa di quello che contorna e contestualizza la storia, il tutto con uno stile asciutto, neutrale ma molto affascinante. Il prologo accattivante conquista e rapisce il lettore trasportandolo nel complesso mondo di questa donna, ultima nata (6 marzo 1850) nella famiglia Bruzelius dopo Charlotta Margaretha, Helena Sofia e il fratello Johannes che muore quando Victoria ha un anno. La bambina arriva tardi, quando sua madre ha quarantatré anni mentre il padre quarantanove, e il dolore per la perdita dell’unico figlio maschio spinge i genitori in un lutto inconsolabile. Non sappiamo se Victoria conservi dentro di sé un senso di colpa inconscio per la morte di Johannes, fatto sta che durante la sua infanzia il padre la tratta come se fosse un maschio abituandola al gioco della lotta e all’uso delle armi. Per tutta la sua vita desidererà essere un uomo, di essere riconosciuta e considerata come un uomo, uno scrittore per giunta, ed è per questo che sceglierà di pubblicare con lo pseudonimo di Ernst Ahlgren.
In quegli anni il contesto sociale e politico in tutta la Scandinavia è in subbuglio, c’è una fortissima volontà di cambiare le cose e tutto questo influenzerà di facto le opere di Victoria, che da autodidatta parteciperà con il suo lavoro al dibattito e prenderà una posizione netta a favore della libertà delle donne dal dominio maschile. Al centro di tutto c’è la morale femminile, ossia si discute se le donne debbano avere libertà sessuale prima del matrimonio, alcuni vi allacceranno anche la questione del diritto di voto e di lavoro per il genere femminile che risulta inevitabilmente connessa. Sul ring culturale si sfidano Henrik Ibsen che con la sua pièce Casa di bambola crea scompiglio per la determinata indipendenza di Nora, August Strindberg che con i suoi racconti scandalosi raccolti in Sposarsi dichiara apertamente di auspicare che le donne facciano quante più esperienze sessuali possibili, Bjornstjerne Bjornson – autore di alcuni versi dell’inno nazionale norvegese e Premio Nobel per la letteratura nel 1903 – che con Un guanto sottolinea invece l’importanza della castità prematrimoniale dei maschi in conformità con il suo ideale di parità tra i sessi. A queste autorità si aggiunge Georg Brandes, traduttore danese di L’asservimento delle donne di Taylor e John Stuart Mill, che nella prefazione scrive «Trattiamo l’anima delle nostre donne come i cinesi trattano i loro piedi, e come i cinesi lo facciamo nel nome della bellezza e della femminilità. Una donna con i piedi cresciuti sani e liberi è considerata dagli uomini cinesi brutta e poco femminile. Una donna libera, nella nostra Cina piccolo-borghese, è considerata una mostruosità orribile e antifemminile, e la ristrettezza di vedute dei nostri migliori poeti e letterati ha difeso e approvato il giudizio della farisaica maggioranza. Ma solo la libertà costituisce la vera bellezza».
Il libro e la sua diffusione nel Nordeuropa portano alla nascita di movimenti per i diritti delle donne, trasformando Brandes in un punto di riferimento per le attiviste scandinave. In tutto questo Victoria trova spazio con la sua personale esperienza di donna che non avrebbe mai scelto di sposarsi assoggettandosi a un uomo né tantomeno di diventare madre ma nel contesto storico in cui vive questi passaggi sono ancora inevitabili quindi diventa la signora Benedictsson sposando il funzionario postale Christian, vedovo quarantanovenne con cinque figli della sperduta Horby. Nel 1873 la coppia dà alla luce Hilma ma la bambina non sarà mai amata come ci si aspetta da una madre che invece ha la sua priorità assoluta nei suoi scritti, nel pubblicarli e nell’allontanarsi da un villaggio di ignoranti e zoticoni incapaci di intrattenere una conversazione stimolante. Quando finalmente Soldi le porterà il successo meritato verrà in contatto con Georg Brandes che nel frattempo si è guadagnato un ruolo di prim’ordine nel panorama culturale scandinavo. Una sua recensione può determinare la fine di una carriera e Victoria – che a quel punto è una donna separata con una certa indipendenza economica – ha bisogno del suo parere favorevole ma mai si sarebbe aspettata di innamorarsene.
Senza rovinare lo splendido lavoro di indagine di Åsbrink, giungiamo velocemente al triste epilogo peraltro anticipato già nelle prime pagine del libro e lasciamo ai lettori il dibattito sulle motivazioni di un gesto definitivo come quello del suicidio, un atto rimasto in attesa fin dai primi anni del matrimonio con Christian. I pareri ovviamente sono svariati e opposti, la sua eredità letteraria è stata lasciata nelle mani del fedele amico Axel Lundegard, le sue bozze, i racconti incompiuti, gli appunti e tutti i suoi diari, custodi di pensieri inconfessabili. Il 22 luglio 1888 Victoria Benedictsson si uccide, lo stesso giorno in cui è nata la sua secondogenita Ellen, morta poi il 12 agosto. Un caso? August Strindberg si sente ispirato, idea una pièce su una donna che si toglie la vita e nella prefazione scrive: «Facciamo l’ipotesi di un suicidio. Cattivi affari! dice il borghese. – Amore infelice! dicono le donne. – Malattia! il malato. – Speranze vane! Chi è andato in rovina. Ma ora può anche essere che il motivo sia dappertutto o in nessun posto, e che il defunto abbia occultato il motivo principale, indicandone un altro assai diverso, che però gettasse la luce migliore sulla sua memoria». Non sapremo mai cosa sia successo realmente, non saremo mai in grado di comprendere la complessa psicologia di Victoria Benedictsson, ciò che ci resta è la testimonianza della sua vita, i suoi scritti e i suoi diari conservati ancora oggi. Un’anima fragile, orgogliosa, incastrata in una società che preferiva mettere a tacere la voce delle donne – forse per paura – che ha vissuto solamente trentotto anni con passione, nel bene e nel male.