Il fiume di tutti i fiumi

Marzio G. Mian, Tevere controcorrente, Neri Pozza, pp. 288, euro 14,50 stampa, euro 7,99 epub

Leggendo Tevere controcorrente ci si ritrova in una solennità storica quasi metafisica: i simboli sono tanti, lucidi e pimpanti nel corso dei millenni, ma è sui terreni intorno alla foce di questo fiume che le spallate della Storia si fanno forti e sottolineano celebrità e marcescenze, furori e fetori, resti inorganici e angosciose carcasse. Marzio G. Mian esplora tutto quanto come se si aggirasse in regioni esotiche: nelle rovine della modernità in cui si trova a vivere estrae i documenti più intensi delle civiltà (e inciviltà) che si sono succedute.

A Ostia, che si alza e si abbassa rincorrendo i movimenti tettonici e la serie degli interventi umani, secondo alcuni il “culo di Roma”, tante sono le storie politiche e geografiche e alla fine si capisce tutto: ecco perché Tevere controcorrente è una vera e propria macchina del tempo capace di svelare filmicamente vite, capricci, terremoti, uccisioni, delinquenze e santità (poche) di cui il bacino del Mediterraneo è intriso. Lì Pasolini viaggia ancora dentro il suo destino, e forse pochi posti al mondo sono in grado di rivestirsi col proprio lutto, tra vergogna e vanità, come i terreni impestati che videro Enea sbarcare. Gli eroi e i bastardi sono sempre stati affascinati dalle acque giallognole del Tevere, e ci si sorprende come tanti siano lì giunti dalla notte delle epoche e come ancora oggi si possa rintracciare lo sfoggio dei traffici e dei saccheggi ai piedi dei famigerati Colli, con tutte le monolitiche morti all’ombra di templi e baracche.

Da Enea a Mussolini, Mian delinea un’impressionante retrospettiva, si fa intermediario di atti oscuri con vaghe tendenze ai molteplici surrealismi italici. La grande Storia da queste parti si riunisce come se tutto il mondo trovasse un ombelico irrinunciabile. Certo chi vagheggiava imperi e chi davvero li aveva costruiti hanno fatto del loro meglio perché il mondo si accorgesse di un teatro immagazzinato fra i continenti. E chi sbarca alla foce del Tevere? Il perdente di una guerra. E chi viaggia senza sbarcare, ma ottenebrandosi di piaceri egocentrici e carnali? Il vincitore, subdolo, di una guerra. Enea e Ulisse forse fondano le basi toponomastiche e politiche che stanno intorno al biondo Tevere.

Mian vede e esplora, si fa largo negli acquitrini della storia, dalle coste tirreniche alle sorgenti in Romagna, e il viaggio s’intride di una miriade di personaggi: scrittori famosi e sconosciuti, donne di dubbia fama, potenti e miserabili, bellezze e sventure, in una serie di epopee unica al mondo. La stessa geografia ne risente, e gli animali non vedono di buon occhio gli strafalcioni dei decadenti colleghi umani. Forse torneranno molteplici branchi di lupi a fare giustizia. Già ora i gabbiani sono diventati predatori notturni. Probabilmente la storia con la esse maiuscola s’attorciglierà facendo il botto. Gli antenati sono i protagonisti di questo libro sorprendente, con tutta la corte delle comparse che, come in un film del Fellini romano, si ammucchiano e si disperdono in mezzo ai flussi fluviali, tra malarie e risanamenti più reclamistici che architettonici. Gli antenati fanno meno paura di coloro che oggi incontra l’autore artigliando scarpate e montagnole di dubbia sostanza, tutto perché alla fine i suoi occhi si riempiono di pietà e, bisogna dirlo, di una bella dose di disprezzo per la cloaca che nitidamente si staglia proprio lì davanti. Uno spettacolo lungo le sponde dei millenni, filmato da chi non è distratto come ai tempi d’oro del cortometraggio italico.