Giovanni Cocco / A proposito di Jean Vigo

Giovanni Cocco, Una grazia sconosciuta, Editoriale Scientifica, pp. 204, euro 15,00 stampa

Iniziare a parlare di questo libro citando Simone Weil, del tutto assente dalle pagine di Giovanni Cocco, potrebbe sembrare, e in buona parte potrebbe essere, uno sproposito. Tuttavia, la grazia sconosciuta del titolo – derivante dalla biografia del cineasta Jean Vigo, al centro dell’inchiesta letteraria – non si può forse dare senza l’incontro-scontro con le ombre, o per meglio dire la forza di gravità, che attanagliano Giovanni, autore dell’inchiesta e al tempo stesso ulteriore costruzione letteraria – una costruzione magari vicina, per alcuni aspetti, alla storia biografica di Cocco, ma sempre mantenuta a debita distanza dalle secche di certo autobiografismo.

È la forma dell’intero libro, del resto, a muoversi, in senso weiliano, tra gravità e grazia, cercando un punto di equilibrio leggermente diverso – nell’intreccio di saggismo, annotazioni diaristiche e altre forme della narrazione – rispetto a quello della nonfiction erudita che negli ultimi decenni ha invaso gli scaffali di librerie e biblioteche. Del resto, anche la collana S-Confini, curata da Fabrizio Coscia per Editoriale Scientifica, si muove alla ricerca di scritture eterodosse e imprevedibili – risultato centrato, nel caso di Cocco, poiché Una grazia sconfinata non condivide la facilità, né gli automatismi, di tanta nonfiction e preferisce invece esporre sin dal principio le ragioni della propria diversità, fino a farne ragione di dissenso e crisi.

Cocco, in altre parole, non pontifica né su Vigo né su sé stesso, arrivando anzi, in un dato momento, a descrivere così la quête dell’autore/Giovanni: «La vera natura dell’esperienza artistica di Vigo, e la forza sovrannaturale di quel ragazzo che, benché bersagliato dalla malasorte e dagli eventi tragici della sua esistenza fin da quando era bambino, non aveva mai mollato, era capace di commuovermi.  Gli eventi mi stavano suggerendo di dare retta al mio istinto: per comprendere la vera natura di Jean Vigo e del suo cinema era necessario abbattere qualsiasi tipo di sovrastruttura, e liberarsi da ogni forma di ideologia. Solo così avrei potuto avere accesso al miracolo della vita unica e irrepetibile di un uomo che, solo e contro tutti, si era imposto all’attenzione del mondo intero, arrivando a modificare l’immaginario di un’intera generazione di cineasti e, di conseguenza, di milioni di spettatori».

La spinta, di per sé inesaudibile, a ricercare il “miracolo della vita unica e irripetibile” sembra il sintomo della ricerca di un’oltranza – probabilmente ispirata dallo sguardo cinematografico radicale di Jean Vigo, nonché dal lavoro spesso febbrile che preparava e accompagnava tale sguardo – che si traduce in una forma a sua volta ibrida, febbricitante ed esondante. Lo si può osservare nella scansione dei quattro capitoli che seguono il prologo, dedicati ai quattro film che compongono l’opera quantitativamente limitata, eppure per molti aspetti imprescindibile, del regista francese, morto nel 1934 a soli 29 anni: À propos de Nice (1930), Taris, roi de l’eau (1931), Zéro de conduite (1933) e L’Atalante (1934). Ciascuno dei quattro capitoli si apre con una prima sezione in cui domina una paratassi vertiginosa, che sembra voler rielaborare con mezzi verbali lo splendido montaggio kaufmaniano del primo film di Vigo. Anche la bibliografia finale è nutrita e accurata e al tempo stesso i temi che dovrebbero nutrire la relazione dell’autore/Giovanni con l’opera del regista tendono a sfilacciarsi in mille rivoli, tornando da una sezione all’altra soltanto per aggrovigliarsi o per smarrirsi, come ad esempio nel caso dell’attentato terroristico avvenuto il 14 luglio 2016 sulla Promenade des Anglais sempre di Nizza, evocato nel prologo e poi variamente ripreso, ma senza un investimento tematico propriamente rifinito (com’era forse inevitabile, dato il riferimento tragico). D’altronde, quello che Vigo regala a Giovanni, e Giovanni Cocco ci trasmette, è il frenetico movimento di una vita consacrata a una ricerca estetica appassionata, al di là dei limiti dei format e delle etichette, siano esse cinematografiche o editoriali: una grazia, ancora una volta, che si muove con leggerezza sopra le ombre che continuamente ne rinfocolano l’esigenza.