Il taccuino di Walt Whitman

Walt Whitman, Brian Selznick (illustrazioni), La quercia, tr. Diego Bertelli, Tunué, pp. 183, euro 19,90 stampa

Live Oak, with Moss, titolo originale de La quercia, è una raccolta di dodici poesie che Walt Whitman, all’età di quarant’anni circa, scrisse in un taccuino rilegato a mano che restò per decenni nel suo cassetto. Il poeta di Long Island infatti non volle mai pubblicare integralmente e nell’ordine originario la silloge e solo parti smembrate e modificate di alcune delle poesie che la componevano confluirono in seguito in Calamus, sezione inserita nella terza edizione di Foglie d’erba. Il motivo di tanto riserbo risiede nell’argomento delle poesie che, se nella sequenza di 45 componimenti miscellanei di Calamus appaiono una generica celebrazione del cameratismo virile e dell’”amore adesivo”, termine che Whitman prende in prestito dalla frenologia per descrivere l’attrazione tra uomini, descrivono invece nella versione “privata” un’esplicita e conchiusa relazione omoerotica. Il testo fu ritrovato dagli studiosi e pubblicato su una rivista specialistica solo nel 1953, senza destare particolare attenzione, per tornare poi di moda negli anni ’90, in linea con l’alta marea del LGBT.

In realtà Whitman fu sempre molto reticente riguardo alle sue tendenze sessuali; ricordò nei memoriali senili innumerevoli fidanzate e vecchi amori (mai identificati) e accampò la paternità di ben sei figli illegittimi (mai dimostrati), ma lo smentiscono le testimonianze – se veritiere o meno non si sa – di Oscar Wilde, che millantò una relazione affettuosa con lui durante un suo tour americano nel 1882, del poeta inglese Edward Carpenter e di vari ragazzi (Bill Duckett, Harry Stafford, Peter Doyle) di Camden nel New Jersey, dove il poeta trascorse gli anni della maturità. Per qualche critico i 12 componimenti di Live Oak si ridurrebbero soprattutto a un gioco letterario, solo un riferimento ideale ai sonetti di Shakespeare – ai quali Whitman tributava un vero e proprio culto – e al Fair Youth cui questi erano dedicati; molti contemporanei non lesinarono però all’assai meno esplicito Foglie d’erba l’accusa assurda di essere un testo osceno e pornografico e il triste e tristo Rufus W. Griswold – che già aveva spietatamente diffamato e dileggiato Edgar Allan Poe appena morto – non esitò a scrivere,  nella sua prosa ridicola da imbalsamato bacchettone puritano, che Whitman si era macchiato di “quell’orribile peccato da non menzionare in presenza di Cristiani”.

Il volume edito da Tunué, casa editrice specializzata soprattutto in graphic novel, è bello esteticamente e ottimamente curato. La notevolissima parte grafica è affidata ai magistrali pennelli di Brian Selznick, prezioso illustratore statunitense discepolo del grande Maurice Sendak – l’autore del classico Nel paese dei mostri selvaggi (Adelphi, 2018) e autore a sua volta di romanzi illustrati, diventati anch’essi dei classici, come La straordinaria invenzione di Hugo Cabret (Mondadori, 2011) e La stanza delle meraviglie (Mondadori, 2012). In appendice sono incluse una lunga e illuminante postfazione a opera di Karen Karbiener, importante studiosa dell’opera di Whitman, e il facsimile delle pagine originali del taccuino del poeta. Una menzione particolare va riservata al puntuale e sensibile lavoro di traduzione di Diego Bertelli.

Ci pare forse solo un po’ esagerata la definizione che campeggia sul retro di copertina, “Il capolavoro nascosto di Walt Whitman”. La quercia è un testo interessante dal punto di vista storico ma non certo un capolavoro. Con il rischio di cadere nel politicamente scorretto viene spontaneo citare – beninteso sottolineando tutte le differenze e le distinzioni – la brutale ma spiritosa battuta di Louis-Ferdinand Céline su Marcel Proust: “Proust sarà anche bravo, ma 80 pagine per prenderlo nel culo mi sembrano un po’ troppe…”.