Interviste dall’horror e dal weird

Thomas Ligotti, Nato nella paura. Letteratura, orrore, esistenza, Il Saggiatore, tr. Luca Fusari, pp. 255, euro 22.00 stampa

Giunta quasi alla fine della lodevole impresa di rendere disponibili le traduzioni delle principali opere di Thomas Ligotti (ormai mancano praticamente solo i racconti di My Work is not yet Done: Three Tales of Corporate Horror, già annunciato come d’imminente pubblicazione), Il Saggiatore manda in stampa l’edizione italiana di Born to Fear: Interviews With Thomas Ligotti, volume uscito nel 2014, che raccoglie non narrativa o saggistica ligottiana, ma tutte le più importanti interviste concesse dal riservato scrittore alla stampa statunitense e internazionale, fra il 1988 e il 2013.

Per chi voglia approfondire le idee, l’estetica e la poetica di un autore per molti versi così inattuale, ostico e periferico e soprattutto, voglia conoscere qualche particolare dei retroscena biografici di uno dei personaggi più misteriosi e sfuggenti della scena letteraria contemporanea, il libro è una lettura indispensabile. Ligotti si rivela molto più affabile e disponibile alla conversazione di quanto si possa evincere dall’impenetrabilità convulsa della sua narrativa, dimostrando autoironia e umorismo, understatement e disarmante sincerità: autodichiaratosi, in linea con la sua vena ossessiva e disperata, come un caso clinico in costante trattamento psichiatrico, un recluso misantropo, bipolare, ipocondriaco, anedonico, appare invece, nel sagace estremismo delle sue risposte, irresistibilmente simpatico.

Dalle varie interviste si ricava, collegando frammento a frammento, una ben più precisa traiettoria biografica. Ligotti nasce a Detroit in una famiglia per tre quarti siciliana e per un quarto polacca della borghesia medio-alta, frequenta scuole cattoliche, da piccolo è “un fanatico religioso”, ossessionato dalla preghiera e dall’inferno. A sfatare ogni mitologia paralovecraftiana, in gioventù legge poco e si dedica invece molto allo sport e all’atletica. Da adolescente scopre l’alcol e la droga ed esagera, e a 17 anni ha un devastante esaurimento nervoso che scatena le sue latenti turbe interiori, e da allora è soggetto a crisi di panico, agorafobia, colite spastica isterica. Ligotti inizia perciò a dedicarsi alla letteratura come “blando surrogato delle sostanze stupefacenti”, scopre l’horror e il weird e, partendo da Arthur Machen e da H.P. Lovecraft, legge tutto il leggibile in tema; inizia a scrivere sulle fanzine specialistiche del settore, intanto si laurea in letteratura alla Wayne State University e lavora come editor in un’azienda che produce manualistica e database per biblioteche accademiche, prima a Detroit e poi, più recentemente, come free lance in Florida, dove si è trasferito insieme al fratello. Ligotti racconta di soffrire di un disturbo bipolare che alterna fasi acute di ansia-panico ad altre di anedonia astenica, assume costantemente medicine stabilizzanti dell’umore, e riesce a scrivere solo nelle sue fasi ipomaniacali. Oltre alla letteratura, la sua passione principale è la musica e quando non scrive o non è uno zombie depresso, suona la chitarra elettrica e acustica in tutti gli stili possibili; ha praticato  la meditazione e conosce, senza condividerle, le forme ascetiche buddhiste, e gli scrittori che hanno avuto più influenza su di lui sono stati: H.P. Lovecraft, E.A. Poe, Vladimir Nabokov, Thomas Bernhard, Bruno Schulz e William S. Burroughs.

Nel corso degli anni le interviste affrontano e approfondiscono tutti gli argomenti principali della sua opera. La sua concezione dell’orrore è ripresa in molte interviste:
“Per me leggere un racconto dell’orrore dovrebbe somigliare molto a sognare, e più simile a un sogno è un racconto, più mi colpisce. Non sono il primo a dire che l’incubo, non il giornale del mattino, è il modello ideale per la narrativa horror”.
“Nella prosa istrionica di Poe e Lovecraft c’è senza dubbio un forte elemento di volgarità. A mio parere la volgarità è una qualità innata della grande letteratura horror. L’unico problema è la competenza dello scrittore nell’utilizzarla per rendere un effetto che altrimenti non otterrebbe. Certi autori del soprannaturale non fanno alcun uso della volgarità. Penso per esempio a Walter de la Mare, Robert Aickman, Vernon Lee, Edith Wharton, e Oliver Onions. L’opera di questi scrittori non è priva di fascino, ma è un fascino che deriva da una qualità agli antipodi della volgarità: la cortesia, che secondo me non può produrre una narrativa horror capace di colpire a fondo e impregnare la coscienza del lettore”.
“Le legende horror si possono riciclare all’infinito e hanno una spiegazione logica o pseudologica. Di solito i racconti del mistero sono unici e lasciano un enigma. Questa è la differenza che vedo tra horror e weird”.

La sua visione generale della letteratura e dell’arte può essere riassunta in questa citazione:
“Io sono a favore dell’arte per il pubblico, che si tratti di cinema o televisione. Ho i miei film e programmi preferiti. Ma nessun film o programma saprà mai darmi il piacere incommensurabile che mi hanno dato, per esempio, le storie di Borges o Buzzati, i saggi di Cioran, la poesia di Leopardi. Eppure, alla fine, è tutto intrattenimento”.
E più avanti ribadisce alla domanda “Che cos’è l’arte?”: “Distrazione, fuga, un modo per trasformare l’intollerabile nel godibile, un premio di consolazione che diamo a noi stessi per aver continuato a esistere”.

La sua visione filosofica e politica viene affrontata a più riprese:
“Oggi non mi irrita sentirmi definire nihilista, perché nell’uso comune ormai è sinonimo di anti-vita, il che almeno in teoria mi calza. Sul piano pratico, sostengo molti valori che con il nihilismo non vanno d’accordo. Per esempio, in politica mi identifico con il socialismo. Vorrei che tutti stessero il più comodi possibile, mentre aspettano di morire. Purtroppo la maggioranza della civiltà occidentale è fatta di capitalisti, che considero selvaggi fatti e finiti. Visto che ci tocca vivere in questo mondo, desiderare la minore sofferenza possibile per noi stessi e per gli altri è naturale, no?”.
“Naturalmente, la diffusione della giustizia su vasta scala è impossibile fintanto che ovunque regna la libertà, in particolare la libertà di negare la giustizia al prossimo. E pazienza se vi sembra una frasetta da candidata allo scettro di Miss America”.
“Sia che siamo marionette o veri esseri umani, qualunque cosa ciò voglia dire, continuiamo a pensare e ad agire in certi modi perché ci spingono a farlo in primo luogo forze di cui non siamo consci o che non capiamo (…) Anche se a me pare buonsenso, il determinismo sembra davvero un componente del mondo d’orrore in cui viviamo”.

Per quanto riguarda l’antinatalismo Ligotti sostiene che “gli antinatalisti non pensano che la vita sia necessariamente un inferno, ma che implichi necessariamente una sofferenza tale che a chiunque converrebbe non nascere. La cosa interessante è che, spesso, chi crede valga la pena di vivere difende la propria tesi sostenendo che il gelato è buono. In effetti è buonissimo, se non sei diabetico, intollerante al lattosio, obeso o hai un certo numero di altre malattie”.

Fra molte altre amene considerazioni  Ligotti si sofferma sulle sue predilezioni cinematografiche, letterarie e musicali, e racconta del suo rapporto con David Tibet e della collaborazione con lui per vari dischi del gruppo d’avanguardia britannico Current 93, commenta vari suoi racconti – come ”La setta dell’Idiota”,  “The Frolic”, “L’ultima festa di Arlecchino”, “The Shadow at the Bottom of the World”, “La Torre rossa”, “A favore dell’azione punitiva”, ecc. –  e i suoi libri più importanti come La cospirazione contro la razza umana, Teatro Grottesco, La straziante resurrezione di Victor Frankenstein, My Work Is Not Yet Done, e altri. Un libro di interviste come questo, quando l’intervistato è un personaggio di tale calibro, può essere davvero importante per apprezzarne e conoscerne fino in fondo la centralità e la rilevanza: un utile e appassionante compendio alla sua opera.

Ligotti in fondo non si smentisce mai: alla domanda “C’è qualcosa che ti fa paura? Conosci l’angst?”, risponde placido – e possiamo immaginarci il vago e sardonico sogghigno – “Stai scherzando, vero? Ho paura di tutto. Ho persino paura di dire troppo in dettaglio di cosa ho paura”.