Kae Tempest / Queer love

Kae Tempest, Running Upon the Wires. Un arpeggio sulle corde, tr. Riccardo Duranti, edizioni e/o, pp. 142, euro 15,00 stampa, euro 10,99 epub

La queer identity per la poetessa e performer conquista evidenti aspetti in libri pubblicati con il nome di Kae Tempest: il suo rinnovato talento giunge ora in Italia, al seguito di precedenti opere, con questo Arpeggio sulle corde il cui titolo è tratto da una frase del Joyce di Dubliners. Running Upon the Wires ha un’evidenza per niente scontata, ricorda a tutti noi che la poesia si allena sempre sul filo della vita quotidiana, il più delle volte intessuta di miti privati e potenze imperfette, folli, irrinunciabili. Il rispetto per sé stessa è giunto a un tempo carico di mutamenti, transizioni, e il nome, si sa, ha importanza preponderante quando si risale la propria essenza nelle cose private e in quelle pubbliche – tanto più se quelle strane forme che ci seducono sono le parole, il canto, la dedizione estrema all’unicità della poesia. Tempest: mania, strazio, dolcezza si accompagnano ai libri, alle note musicali, alle esibizioni on stage con una band elettronicamente minimalista.

Dopo la lucida e disperatamente shakesperiana esposizione del poema Let Them Eat Chaos, e i contrastanti poteri divinatori del profeta Tiresia, cieco e deputato al cambio di genere, riportati nel poema Hold Your Own, l’indagine di Tempest prosegue con quella lucidità d’intenzioni che non dà scampo al lettore, togliendo di mezzo tutta la polvere accumulata nei consueti scaffali. L’intimità di questa nuova raccolta, pubblicata in origine a fine 2018, è modulata all’interno della fine di un rapporto amoroso mentre l’inizio del nuovo persuade la vita a concentrarsi sui corpi e sugli eventi che proiettano in avanti. Le poesie contengono una certa concentrazione di prosa senza che si avverta una differenza fra i generi, e questo è un buon modo per accostarsi ai temi, alle confessioni, alla verità che Tempest vuole dirci. E con il calore che le è proprio, come sanno bene i suoi estimatori. Il libro è pervaso da dichiarazioni d’amore schiette, risolute al punto da proiettare sulle pareti delle stanze scene amorose di sana e disincantata oggettività. Man mano che Tempest si approssima al corpo, i versi diventano vocazioni di sontuosa eloquenza, in cui il testo non contraddice l’azione delle singole parti corporee: bocca e mani diventano dominatrici della poetica, assumono l’interezza delle mitologie quotidiane, della vita in comune fra amanti, protraendosi con vigore e dedizione.

In quest’opera l’oscurità delle ultime generazioni, cantata in precedenza, sembra lasciare il posto a quel che risolutamente l’amore riesce a creare nella svolta. I frammenti del dialogo amoroso lavorano la scrittura, raschiano i luoghi privilegiati dell’ombra, sciolgono le persone dentro l’interezza e rapinosa – fors’anche violenta – facoltà d’amore: definitivamente equorea, per Tempest e coloro che vivono il mutamento d’epoca. Le connessioni sono qui, e ovunque. I gesti della vita, sessuali e emotivi – dunque politici – si fanno largo nelle imprese letterarie e musicali di Tempest immediatamente accolti come fossero anche terapia definitiva contro la malattia di questi anni Venti. La poesia non è slogan, né patetismo d’accatto, Arpeggio sulle corde certamente insegna quanto resta (e non è poco) dell’umano dopo l’abnorme distruzione avviata a fine secolo e che ha ricondotto la realtà a una serie di agglomerati nemici fra loro e fondati su ogni sorta di macerie.