Luca Cangianti / Resistere non è mai inutile

Luca Cangianti, Distruggi il male, DeriveApprodi, pp. 128, euro 15,00 stampa

Se Distruggi il male è un romanzo sviluppato in una geometria frattale, allora le sue vicende possono essere percorse senza partire da un vero centro, districandosi tra i pieni e i vuoti di una vicenda narrativamente ambientata nei primi anni Ottanta a Roma, nel quartiere sudest dell’Appio-Tuscolano. Tuttavia, anche rifacendosi ai romanzi precedenti di Luca Cangianti, Sangue e plusvalore (Imprimatur, 2014) e I morti siete voi (Diarkos, 2019), l’utilizzo dello spazio e del tempo non è quello convenzionale e trova le sue origini nella narrativa fantastica e, in particolare, nell’utilizzo dei piani spazio-temporali che è alla base della serie di Eymerich l’inquisitore sviluppata da Valerio Evangelisti. Sicuramenti entrambi condividono la prospettiva di una narrativa che possa essere strumento delle lotte sociali, rifacendosi a tutta la tradizione della scrittura proletaria che parte dall’Ottocento, cercando il punto di vista delle classi subalterne e operando un’opera di denuncia delle reali condizioni di vita e di lavoro, delle lotte sindacali e della loro repressione.

Dal romanticismo di Victor Hugo al naturalismo di Émile Zola, fino a narrazioni contradditorie come Il popolo dell’abisso di Jack London, Cangianti e Evangelisti hanno scelto di calarsi nel passato con la visione e la cultura del presente, con la memoria delle lotte che sono state consumate per cambiare quelle realtà di subordinazione, di superstizione, di povertà che hanno dominato ogni epoca. La cultura militante ha sempre opposto un senso della storia progressivo all’idea di un presente univoco e atemporale, le cui ragioni di esistere sono consolidate nel passato, da essere spacciate per naturali, e non possono essere cambiate. Una visione del tempo che si addice ai desideri e alle strategie delle classi dominanti, delle élite, dei ricchi, degli sfruttatori. Contro questa concezione di percezione della realtà, non solo si oppone il collegamento storico tra il presente e il nostro passato, ma si è sviluppata una narrativa antagonista che intende utilizzare il fantastico e le sue metafore come armi intellettuali per sovvertire lo stato di cose presenti.

In tutti i suoi romanzi, Cangianti letteralizza le metafore, ovvero le rende elementi concreti della narrazione. Bisogna pensare all’insetto de La metamorfosi di Franz Kafka, metafora dell’isolamento del diverso come della disumanizzazione, che nel racconto diventa oggetto reale e concreto, un disturbante essere vivente. In Sangue e plusvalore l’elemento centrale, il mostro del romanzo, è una macchina che prende vita e succhia il sangue degli operai, e un ibrido biologico e meccanico che si ispira dalla metafora di Karl Marx tratta da Il capitale: «Il capitale è lavoro morto che resuscita, come un vampiro, solo succhiando lavoro vivo, e tanto più vive quanto più ne succhia».

Se il fantastico classico, specialmente l’horror, prevedeva il ristabilimento dell’ordine borghese contro il continuo risorgere delle forme misteriose e arcane del passato, configurandosi come presidio intellettuale illuminista, le forme narrative contemporanee descrivono un sovvertimento che sfugge a una classificazione conservatrice/progressista. Da qualche decennio l’horror ha assunto un ruolo distruttivo, si presenta con nuove forme di vita, come delirio anticapitalista. Cangianti si muove certamente all’interno di un fantastico sovversivo in cui non assistiamo al ripresentarsi di forme e poteri del passato in un’ottica di tempo circolare, ma di dialettica che rivoluziona i rapporti di forza sociali. L’etimologia di rivoluzione, dal latino “volvere” ovvero ruotare, girare, con il prefisso re, indietro, di nuovo, come in astronomia stabilirebbe il ritorno alla situazione precedente, il percorso di un’orbita che riporta al punto di partenza, ma nel tempo è diventato determinante un significato antitetico di rottura radicale, di non ritorno. Per l’horror è accaduta la stessa cosa, da narrazione del ristabilimento di un Ordine atemporale mitico alla rottura dell’ordine politico e sociale, all’impossibilità del ristabilirsi delle condizioni di partenza.

Il romanzo I morti siete voi è l’esempio di come horror e fantascienza collaborino alla rottura dell’ordine politico, sociale, relazionale, esistenziale, affettivo, e come il risultato sia un presente che consenta la progettazione di un futuro, qualunque esso sia ma diverso dal presente capitalista globale. Quindi storia, cronaca e passione si interconnettono in una rete neurale letteraria che elabora dati, che pensa, che destruttura, che inventa, che demistifica. Il lavoro di Cangianti è di ricerca storica e, contemporaneamente, di attività militante. Ne I morti siete voi le vicende del gruppo partigiano romano Bandiera rossa, una formazione comunista attiva nelle borgate, si collegano con il G8 di Genova con una forza sorprendente, con un legame che si impossessa del tempo e lo flette in una lotta tra bene e male, tra comunismo e fascismo, in uno scontro tra corpi e nuovi corpi che lavora in profondità nell’immaginario contemporaneo. Ma sono le vicende di Distruggi il male che utilizzano appieno i modelli della fantascienza per ibridarli con il racconto realista della crisi dei movimenti giovali durante il Riflusso che segue al ciclo di lotte degli anni Sessanta.

Sono abbastanza certo che Cangianti non abbia letto due racconti di Lino Aldani, “Screziato di rosso” e “Aria di Roma andalusa”, ma è interessante come l’importante scrittore italiano di fantascienza avesse lavorato sia sul rapporto narrativo tra Resistenza e fantastico sia sulle suggestioni di una Roma segreta e misteriosa che deve molto a un originale televisivo come Il segno del comando, diretto da Daniele D’Anza per la RAI nel 1971. L’attenta regia narrativa di Cangianti non nasconde le molteplici ispirazioni, dall’epopea della Resistenza popolare di traccia neorealista e ricca di autoironia, a Cherudek (1997), il più visionario dei romanzi di Valerio Evangelisti, alla geografia della mai completamente scomparsa capitale esoterica e iniziatica, alle utopie intellettuali e popolari, alla ricca letteratura dedicata alla fine della rivolta giovanile e del dilagare del disimpegno e dell’eroina. Ma per Cangianti quegli ideali dell’antifascismo spontaneo e popolare, senza partito, non sono mai morti, anzi sono destinati a rispuntare come le piante maligne da ogni crepa della nostra asfaltata società. Come in molte opere fantastiche esiste un libro guida, e in Distruggi il male ce ne sono due: Il signore degli anelli di Tolkien e Banditi di Piero Chiodi, comandante partigiano della Centotreesima Garibaldi e filosofo esistenzialista. La lettura di Tolkien che, nella finzione del romanzo, Cangianti affida a Enrico, il protagonista, un liceale che si avvicina ad Autonomia Operaia un po’ per amore e un po’ per senso salgariano di avventura, è quella ecologista e libertaria, interetnica, e che può essere sinteticamente riferita al saggio di Alessandro Portelli “Appunti su Tolkien e Il Signore degli anelli”, pubblicata sul numero 18 della rivista Primo Maggio (ripresa su Pulp Magazine).

L’utilizzo de Il signore degli anelli nel romanzo di Cangianti, alla faccia di decenni di riscrittura ideologica e pacchiana dell’estrema destra, recupera il tema della lotta contro il male che percorre tutta la lettera popolare fino agli anime giapponesi, quel sentimento di lottare dalla parte giusta, quell’emozione di mettere a rischio la propria vita contro l’ingiustizia e la sopraffazione, quella comprensione delle diversità che costituiscono il gruppo. In Distruggi il male la “compagnia” che si raccoglie all’Alberone non può essere più eterogenea nelle esperienze e nelle sofferenze così profonde nonostante le giovani età, l’opposto del mito dell’individuo superiore, del culto della morte, del disprezzo. Da Banditi di Chiodi invece ricava una lettura della Resistenza anti-mitica, contraddittoria, di felicità e paura abbracciate. Ma è la fine del sogno di rivolta che era nato nel ’77 a essere chiave di lettura che lega la guerriglia dei partigiani di Bandiera Rossa, al Movimento che si scontrava ad armi pari con le squadre di Francesco Cossiga, alla lotta in Val di Susa. Se passate per Roma vedrete sui muri delle vecchie case le lapidi che ricordano gli assassinati delle Fosse Ardeatine. Più di cinquanta di loro erano partigiani di Bandiera Rossa. Quando leggerete le parole nel marmo, pensate che la lotta non è finita e resistere non è mai inutile.