Maria Luisa Vezzali / Dove il tempo si prende lo spazio

Maria Luisa Vezzali, Lo spettro di casa. Dal 2023 al 1977 e ritorno, Puntoacapo Editrice, pp. 94, euro 15,00 stampa

Una nuova opera di Maria Luisa Vezzali dà agio a chi frequenta la scrittura poetica, e la poesia (non sono identica cosa) favorendo prospettive rimaste nell’ombra troppo a lungo e fuori dal campo visivo dei più. Consente nuovi spostamenti nei perimetri di ciò che si dovrebbe conoscere ma che invece resta ignoto. Per mancanza di viaggi, di letture, di conversazioni. E, se andiamo a dare un’occhiata a quanto ci offre il “mercato” della poesia, scopriamo che l’inattualità per Lo spettro di casa è più di una sfumatura storica, o per meglio dire di pratica letteraria. Invece di “durata” bisogna parlare, e persuadersi che la realtà ha bisogno di scrittori che diano un nome ai fatti e alle cose accadute, e che diano tempo nuovo alle epoche attraversate aiutandosi col tatto. Cercare la grana delle immagini, sotto i polpastrelli (la seconda vista diventa prima) – così come accade imbattendosi nelle fotografie cui questo libro riserva il giusto spazio.

Siamo lontani dalle leve diaristiche che difficilmente proiettano dignità intorno a sé, tanto che la critica corrente non sa più che fare per approfondire e tentare di risolvere gli squilibri non si sa quanto precari o longevi. La scomparsa di Vittorini, Sereni, Zanzotto, Porta e Rosselli è scritta sui giornali, non sui libri sempre meno partecipanti allo choc storico cui assistiamo: popolato di voci povere di mezzi nella smisurata forzatura del pubblicare. Sono nodi difficili da reggere dandosi il tempo per districarli, senza contare che gli umori personali diluiscono la voglia di imparare. Dunque, togliamoci dalla testa l’idea che la cosa vada esposta così com’è, un poeta dovrebbe star lontano dalla profusione e prendere alla lettera i suoi accostamenti vitali alla realtà. Se non altro per certi periodi della vita. Questo è quanto Vezzali attua decidendo di non ignorare il (cosiddetto) tempo che dal 2023 viaggia fino al 1977 – in definitiva, significa non ignorare sé stessa. Finalmente il fermento del futuro, nella propria ricerca, fermenta il passato. Tensioni profonde del tempo, necessarie quanto inevitabili se si tiene conto di maturazioni e nuove conoscenze, di angoli dove sono finite tutte le carte dei giorni. Ecco come lo spazio irrompe nella fiducia che occorrerà per accordare l’esperienza.

Le onde luminose viaggiano, sono la struttura degli accadimenti, noi le percepiamo come “spettri” fedeli ai luoghi che ci hanno visti crescere e agire – scrivere su di esse è una anomalia consolidata, quella che per Vezzali è la casa della vita e che forma e trasforma in poesia. L’intima intonazione delle parole in ogni testo è il segno che si è state ragazze quando la città conteneva cortili gentili e strade infuriate, e c’erano anche artisti sui selciati emiliani degli anni ’70. L’irruzione della storia non prende il sopravvento sul linguaggio perché la storia produce conoscenza di per sé. Gli anni sono “cicli”, lì il tempo si prende lo spazio che serve alle voci per diffondere la scrittura. Ed ecco, durante la lettura di questo libro accade qualcosa: si alzano suoni, onde muovono l’aria e fanno vibrare le immagini in bianco e nero che così non raccontano più i fatti propri dell’autrice ma la storia che comprende tutti. Ma Vezzali evita gli stereotipi, sa che le anomalie del vissuto vanno costrette a dura indagine attraverso il linguaggio. A questo serve la poesia, la sua diversità.

Difficile mettere sulla stessa strada la lingua madre e il tempo che legano chi ammette che la poesia resta inconciliabile col resto del mondo. Occorre sopportare l’intemperanza della politica e i mutamenti del proprio passo, l’andatura che varia durante i decenni, l’essere discorde perfino col proprio credo, e in ultimo con la morte. Anche interrompersi durante lo scontro del buonsenso, qualunque cosa significhi, con i virus più antichi del genere umano e le stragi avviate dall’uomo sull’uomo. In tutto questo, e di molto altro ancora a cui bisognerà ragionare, Lo spettro di casa sta come realizzazione del linguaggio che Vezzali dal 1977 ha gradualmente riconosciuto come poesia. Negli anni successivi si è capito che poco c’è da ottenere ma sempre qualcosa da colmare, dalle parole incontrate al dolore necessario perché siano poesia.