Patrizia Valduga porta in sé la concretezza imposta dall’epoca e che raramente tocca l’animo dei poeti che oggi provano a tessere la cura formale dei versi con la realtà avversa ancor prima che si riesca a contrastarne l’oscurità. Detta così sembra che non esista ristoro né urgenza riparatrice (o almeno denunciante) all’interno di questo primo ventennio del 2000. Detta così sembra che i più siano sospesi in una perenne posa dov’è arduo vedere qualche forma di luce per la luce e confermi presenze sane nell’occhio.
Enea nell’Eneide guarda, nel tempio dedicato a Giunone, le pitture sulla guerra di Troia, e sono lacrime che sorgono di fronte a quegli eventi bellici – la “guerra di tutte le guerre” incatena e sommerge l’umano a distanza di millenni, i nemici vengono inventati all’uopo perché siano centrati e annientati azzerando il tempo dell’azione, almeno da Alamagordo in poi. I gestori e “padroni della guerra e della morte” investono sulla qualità tecnologica per trafiggere i popoli. Valduga in Lacrimae rerum intesse un battibecco continuo con sé stessa (si alzano pure i “vaffanculo”) e con gli amati endecasillabi poiché ne ha abbastanza della “guerra della mente” a lei imposta dai giorni. La poetessa sorveglia le sventure intorno, sente tagliate le proprie radici e non può che essere ribellione totale la risultante nella propria poetica il cui pensiero di libertà giammai è venuto meno. La clessidra del tempo non è mai stata tanto ostile, e andare alle cicatrici scatena moti di ribellione, sommovimenti tellurici dentro e fuori del corpo. La mente sa, e vuole a ogni costo sostenerne l’eccentricità. E la condizione creativa non ammette l’esilio e distanziamenti dalla realtà, Valduga non scende a patti né permette sensi capovolti di fronte al concretissimo sterminio in atto, vorrebbe solo “vendicare tutti i morti”.
Tommaso Montanari, in un articolo, ci racconta dell’artista Nada Anwar Rajab, che a Gaza colora le macerie con un progetto chiamato We are still here: arte come cura e resistenza. “L’umano nell’uomo” è lì presente come presente è nei versi di Valduga: la fede nell’arte e nella poesia cerca ancora di contrastare la tecnica (e la forza pecuniaria che la foraggia senza limiti critici) che “butta fuori l’uomo dalla Storia” (copyright Umberto Galimberti). Il sentire è il sostentamento del pensiero, ma quando la ragione viene elisa dal commercio estremo anche l’emozionale giocare con le immagini che allarga i confini della mente viene a mancare. In quest’ultimo libro non esistono digressioni, non sono allucinazioni quelle che Valduga vede nell’attualità occidentale ma il disfacimento dei miti come se le pietre millenarie si frantumassero trasformandosi in polvere. Frammista ai versi si vede benissimo come l’anima dell’umanità è asservita oggi al corpo distruttivo del dominio. Ma la nuda creatura, che ancora scrive, è lì: ancora centra il buio attuale.


