Saluti brigatisti

Alberto Fagiolo, Topografia del Caso Moro. Da via Fani a via Caetani, Nutrimenti, pp. 205, euro 16,00 stampa

La Casa Editrice Nutrimenti sta pubblicando saggistica che fornisce spunti interessanti a chi si occupa dei retroscena della nostra Storia, e ricerca le cause di quella perdita di sovranità politica che ha nelle vicende legate al Caso Moro uno degli esempi più eclatanti. Ricordiamo, tra i tanti titoli proposti, L’Armadio della Vergogna di Franco Giustolisi, Il Testimone di Guido Salvini (il giudice che ha riaperto le indagini sulla strage di Piazza Fontana), oppure La ragazza che vendicò Che Guevara, la storia della guerrigliera Monika Ertl, che nel 1971 uccise ad Amburgo l’uomo che aveva eliminato il rivoluzionario argentino. Questo nuovo libro sul Caso Moro aggiunge ulteriori dettagli a una ricostruzione storica che a distanza di quarant’anni non è ancora completa.

Roberto Fagiolo fornisce alcune informazioni che corroborano i sospetti di misteriose presenze dei Servizi segreti prima, durante e dopo il sequestro del Presidente della Democrazia Cristiana da parte delle Brigate Rosse. Lo scopo dichiarato di questa ricostruzione dell’agguato di via Fani e del sequestro dell’On. Moro, della successiva fuga verso la prigione brigatista di via Montalcini e di altri episodi controversi, è quello di chiarire definitivamente alcuni dei misteri del Caso Moro. Il saggio si sforza di individuare una volta per tutte il percorso di fuga del convoglio brigatista con il prigioniero, il luogo del presunto trasbordo dell’ostaggio, e tanti altri misteri di cui si è occupata anche recentemente la Commissione Parlamentare di Inchiesta. Questo ulteriore contributo approfondisce in particolare alcuni aspetti topografici alla vicenda, riproducendo cartine di Roma che evidenziano le zone e le vie in cui si trovavano i covi brigatisti e i luoghi in cui furono ritrovati i vari comunicati delle BR e le varie Lettere di Moro; e si ipotizza l’esistenza di un covo brigatista nelle immediate vicinanze di via Fani, usato per un cambio d’auto.

Un altro mistero su cui Fagiolo si sofferma è quello del covo BR nel ghetto ebraico, di cui parlò il militante dell’Autonomia Elfino Mortati, una pista investigativa foriera di ulteriori sviluppi. Purtroppo però la collaborazione di Mortati venne ben presto “bruciata” da un articolo del giornalista Guido Paglia. Il giorno stesso in cui uscì l’articolo di Paglia sul quotidiano La Nazione di Firenze, Mortati smise di collaborare con gli inquirenti, temendo rappresaglie da parte delle BR.

La ricostruzione di Fagiolo si sofferma anche sulle vicende del cosiddetto memoriale Morucci, di cui si ebbe notizia per la prima volta nell’estate del 1990, che ha cristallizzato una verità ufficiale di comodo sulla quale si sono adagiati per trent’anni tutti coloro che hanno indagato sul Caso Moro. Esiste infatti una sorta di verità contrattata sul Caso Moro, una sorta di complicità tra lo Stato e le BR, una seconda trattativa, parallela a quella per la liberazione dell’ostaggio, riguardante le carte di Moro, i documenti in suo possesso e quelli che fece a sequestro in corso dal suo studio da alcuni suoi stretti collaboratori. Secondo alcune ipotesi investigative, queste carte esplosive – cui bisogna aggiungere il famoso Memoriale Moro – avrebbero fornito una specie di salvacondotto per una soluzione politica che consentisse ai brigatisti, in particolare a Morucci e a Moretti, di uscire vivi dalla vicenda e di mantenere intatta la loro presunta purezza ideologica. Ecco perché molti non credono alla versione ripetuta come un mantra da Moretti e Morucci in tutti questi anni, che dietro le BR c’erano solo le BR. Oggi Morucci e Moretti sono uomini liberi, lo Stato che volevano abbattere è stato molto clemente, e Morucci addirittura ha trovato lavoro come consulente della GRISK, la società di intelligence del Generale Mario Mori e del Colonnello De Donno, protagonisti della Trattatativa Stato-Mafia, come esperto in materia di terrorismo.

Ma c’è una cosa che Fagiolo si limita soltanto ad accennare – ed è un peccato – nella sua pur dettagliata ricostruzione, ed è l’intricata vicenda delle Lettere di Moro, che sono state definite da Miguel Gotor l’Epistolario più importante del Novecento (insieme a quello di Antonio Gramsci). Le lettere di Moro quasi mai ci sono arrivate nella loro versione originale e autentica – sono copie di cui è andato perduto l’originale o che non corrispondono ad alcun originale, anzi di cui si è affermata fin dall’inizio l’inautenticità – e quasi mai sono arrivate ai loro veri destinatari.

L’unico originale di cui non esistono copie o trascrizioni in questa storia non è una lettera, bensì una cartolina, ed è l’unico messaggio che è stato spedito secondo i canali postali tradizionali ed è effettivamente arrivato all’indirizzo del destinatario. Si tratta di una cartolina indirizzata al Signor Vincenzo Borghi spedita da Fidenza quattro giorni dopo la scoperta del covo di via Gradoli (18 Aprile), che – scrive Fagiolo – “mostra immagini di Piacenza e una cartina stradale sulla quale è evidenziata con una crocetta la località di Cortemaggiore”. Questa cartolina arrivò a destinazione, in via Gradoli 96, il 29 Aprile. C’era scritto: SALUTI B.R. Chi spedì quella cartolina? Si possono fare infinite ipotesi, però Fagiolo ci rivela un indizio: c’erano soltanto due persone che chiamavano il sedicente Signor Borghi – alias Mario Moretti – Vincenzo invece di Mario. Queste due persone erano il colonnello dei Carabinieri Antonio Cornacchia (iscritto alla P2) e il giornalista d’assalto Mino Pecorelli (anch’egli iscritto alla P2 e ucciso l’anno dopo il sequestro Moro).

Le cartoline, con i loro inquietanti messaggi trasversali, arrivano sempre a destinazione…

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