Il contesto è subito chiaro: dal riferimento iniziale si capisce che i protagonisti della vicenda vivono in una delle zone più belle della capitale, il quartiere Coppedè. Qui abita una famiglia borghese italiana tipica di questi anni. Due genitori non più giovani, la loro figlia quindicenne Costanza e Ernesto il figlio maschio più grande mandato a studiare in un college scozzese. Una volta messi in campo i personaggi di cui si vuole raccontare la storia, Sapo Matteucci ci propone nel suo libro d’esordio un percorso alquanto originale. Anche l’autore è un genitore non più giovane e il suo romanzo lascia trasparire qualche elemento autobiografico. Tutto il racconto è attraversato da un’ironia sottile ed efficace, valorizzata da una sicura raffinatezza stilistica. Chi vuole può vederci echi dei libri di Philip Roth o di Domenico Starnone, anche se in Matteucci certe vicende sono più “solari”.
L’elemento esistenziale è molto forte. Infatti, qui si ragiona a partire da un momento, quello che l’autore definisce “a un certo punto”, in cui una mano invisibile solleva bruscamente il velo sulla realtà che si sta vivendo e tutto sembra crollare o almeno viene messo radicalmente in discussione. E allora gli sforzi per essere un buon padre e un buon marito vengono vanificati dalla realtà che mostra insuccessi senza appello. La relazione di coppia va progressivamente in frantumi anche a causa degli attacchi reiterati della moglie che accusa il marito di essere succube della figlia, di concederle tutto e assecondando ogni genere di capricci. Senza parlare poi del fatto che la signora Teodora incolpa il marito di ogni piccolo incidente che avviene nella dimensione domestica mentre lei è fuori. Allora progressivamente, in famiglia, ogni situazione sembra diventare occasione di tensione e produce ansia di fallimento. All’interno del nucleo familiare in cui “abitano” comodamente alcuni animali, tra cui un coniglio, il delicatissimo equilibrio è facilmente turbato da piccoli “incidenti” che diventano tragedie. Ma bisogna fare i conti con cose importanti come le brusche scelte di vita della figlia adolescente, viziata fin da piccola, che non ha mai preso un mezzo di trasporto pubblico e che “a un certo punto” si accompagna con un giovane fidanzato che in casa viene soprannominato “mezzapensione” perché arrivava il giovedì e ritorna a casa (sua) il lunedì. Oppure bisogna far fronte alle difficoltà del figlio che deve misurare con rabbia e dolore le proprie aspettative con quelle dei genitori. Poi c’è il trafficare con auto e motorini – perduti, dimenticati, prestati – e i trasferimenti in giro per Roma a scarrozzare figlia e amici. Come se non bastasse, troviamo un cane che non si riesce a portare a spasso nei momenti giusti. Fino al culmine di un coniglio rompiscatole i cui denti prendono di mira l’arredamento domestico – ma d’altra parte, è quello il luogo ideale per far crescere un coniglio? Forse no, e infatti, spesso “je rodeva”.
Fatalmente, una persona che si trova in queste condizioni inizia a riflettere in termini esistenziali sul senso della vita, sulla possibilità di inganno che hanno riservato nel suo cuore i sogni e le aspettative giovanili. Se poi anche la perdita di capelli inizia a mandare inequivocabili segni di invecchiamento allora può essere il caso di rivolgersi a uno psicologo. Insomma, tanti nodi si legano tra loro a rendere la situazione inestricabile. Non è poco. Ma Matteucci riesce a restituirci questa dimensione con ironia e leggerezza senza mai perdere il nocciolo della questione. Dove sono finiti i suoi sogni giovanili? E le sue passioni? Erano un inganno oppure lui stesso, in qualche modo, ha tradito queste scelte e questi valori? Ora tutto sembra non esistere più, forse addirittura non essere mai esistito. E affiorano i rimpianti. Cosa si sarebbe potuto fare se non ci si fosse perduto dietro ai sogni? E cosa si sarebbe realizzato se non si avesse avuto la zavorra della famiglia?
Il libro ci conduce spediti fino alla fine. Tra un sorriso e una riflessione si incontra qualche luogo comune come quello che vorrebbe Roma città “marcia” oppure come quello che vede i giovani sempre e comunque persi in una società che non capiscono e che non li capisce. In conclusione viene da pensare che una buona dose di problemi derivi alla famiglia e al protagonista del romanzo proprio da quella condizione borghese che il quartiere Coppedè assai bene rappresenta. Ma nel romanzo l’epilogo è felice: l’anziano genitore in realtà trova forza nella sua mitezza e nella sua capacità di ascoltare e di sognare. È così che la vita ritorna a fiorire intorno a lui e ai suoi affetti, senza perdere di vista che anche le passioni finalmente ritrovano cittadinanza.