Silvia Ballestra / La sua Joyce pensa, scrive, agisce, lotta

Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza, pp. 248, euro 18,00 stampa, euro 5,49 epub

Chi fu Joyce Lussu? Senza dubbio una delle donne più autorevoli e influenti del Novecento italiano. Non sono molti oggi a ricordarlo perché la nostra memoria collettiva è ormai in condizioni disastrose. A meno che non si sia stati protagonisti di una carriera artistica o aver avuto riconoscimenti politici di rilievo, di certe figure si sono perse le tracce. E la scuola non ha fatto nulla per aiutarci a ricordare. Ecco allora che entra in ballo la letteratura, grazie alle parole di Silvia Ballestra che ha recentemente lavorato alla biografia di Joyce Lussu, coraggiosa partigiana antifascista nata sul litorale marchigiano nel 1912 e morta a Roma nel 1998.

Appena autonoma dalla famiglia si impegnò nelle fila di “Giustizia e Libertà” per combattere gli orrori del fascismo. A Ginevra conobbe l’amore della sua vita, Emilio Lussu, con il quale lottò “mano nella mano”. Donna bella e elegante, Joyce vantava un ottimo livello culturale e una sensibilità artistica non comune, in particolare per la poesia.

Per questioni anagrafiche, accompagnate da uno spiccato senso del valore della storia, ebbe modo di raccontarci gran parte del secolo scorso. Ed è proprio questo che ha fatto nei confronti della sua “amica-allieva” Silvia Ballestra, marchigiana come lei. A distanza di molti anni, l’autrice del libro ha riordinato i suoi appunti e li ha riversati in una pubblicazione che, come le più classiche biografie, parte dai primi giorni di vita e termina con la morte.

Sarà la lotta a qualificare per sempre la vita di Joyce Lussu. A partire da quando lei stessa, ancora giovanissima, subisce le manganellate delle squadracce fasciste per avere scritto una frase oltraggiosa contro Mussolini sui muri della sua città. Appena maggiorenne iniziò un’intensa vita clandestina, lontana dalla casa paterna, in cui vivere era diventato ormai troppo pericoloso. Ma il suo impegno non si limitò ai tratti tipici della lotta clandestina. La sua capacità di viaggiare e ambientarsi nelle città e nei paesi più diversi diventerà presto per lei un elemento che riuscirà a valorizzare durante il periodo dell’Italia liberata. A tutto ciò aggiungerà l’abilità nello studio e una capacità rivoluzionaria nel tradurre.

Alla fine della guerra, il marito Emilio fu incaricato del ruolo di ministro per i rapporti con la consulta nel governo Parri, prima, e nel governo De Gasperi poi. A questo punto Joyce decise di viaggiare, specialmente in Africa dove stavano nascendo i primi movimenti postcoloniali e dove si occupò di scoprire nuovi talenti nella letteratura e nella poesia. Infaticabile, alla fine degli anni Sessanta in Italia e in Europa è in prima fila nei movimenti di liberazione compreso quelli attenti a una critica della famiglia e della ripartizione rigida dei ruoli sessuali.

Sempre, per lei le parole divennero fondamentali nel suo impegno politico. Pur rimanendo ancorata alla sua attività poetica, vestì i panni della storica con l’obiettivo dichiarato di svolgere un’opera di divulgazione che raggiungesse il maggior numero possibile di persone.