Sotto lo sguardo degli dèi

Lawrence Osborne, L’estate dei fantasmi, tr. Mariagrazia Gini, Adelphi, pp. 288, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

“Osborne però non si è mai reso prigioniero dell’esotismo di facile presa e che piace tanto ai Westerners”: riaffermo quanto scrissi in occasione dell’uscita di Cacciatori nel Buio (Adelphi, 2017), e in una certa misura bisogna affinare la sensibilità leggendo L’estate dei fantasmi (in originale Beautiful Animals) nella consueta e bellissima traduzione di Mariagrazia Gini. Le ragioni sono tante, chiederne una sintesi al recensore può risultare temerario poiché dentro l’estate infuocata descritta nel romanzo le escursioni dei giovani (anzi delle giovinette) portano con sé alternative vitali corredate di svolte improvvise e cambi di rotta, dunque meglio evitare facili riassunti che guastino la sorpresa e l’atmosfera fascinosa in cui è calata tutta la storia.

Nell’isola greca di Idra le famiglie benestanti s’incrociano a stuoli di artisti nullafacenti, i loro figli si tormentano fra ansiose bevute e gite verso spiagge abbondanti di relitti e chincaglierie industriali arrugginite. Il panorama possiede una qualità “sporca”, dai paesini imbiancati a calce, che tutti conoscono, in breve tempo attraverso pendii ricchi di boscaglia si raggiungono resort fatiscenti e posti sciatti ma isolati. Perfetti per la rampolla Naomi, tormentata fanciulla in vacanza e la sua nuova e bellissima amica Sam, acerba bellezza che verrà presto travolta nella catastrofe preparata da Osborne. Le idee discordi verso famiglia e matrigna, la vaga e sensuale presa di posizione verso la stagione e il posto di vacanza, il fumo e il vino di cui Naomi fa largo consumo appaiono come un naufragio annunciato che lo scrittore, come di consueto, scruta e racconta, descrive e fotografa con lenti Panavision di qualità. Le folate di vento, i profumi, il mare talvolta nero e minaccioso, i veleni che si nascondono in mezzo al frinire ossessivo delle cicale, e la ricchezza ostentata e imbevuta d’ozio, sono delizie che imbevono la scrittura di Osborne e ne esaltano il suo carattere straordinario.

Quando le due nuove amiche, forse infatuate l’una dell’altra, incontrano il giovane naufrago Faoud, Naomi escogita un piano che potrebbe farla evadere dalla sontuosa (ma non per lei) prigionia familiare, e che renderebbe quell’isola, quella potente residenza Egea su cui probabilmente si accumulano ancora gli scontri ancestrali degli dèi, la perfetta dimora dei suoi anni futuri. Scrive infatti il poeta Konstantinos Kavafis, citato mirabilmente a inizio di romanzo, che quando si spreca la vita in un posto la si distrugge nel mondo intero. Per questo il titolo offerto nella nostra lingua s’incarica di riconoscere nel romanzo una miscela di personaggi che sembrano ombre, postumi di figure leggendarie abitanti un tempo l’isola e l’arcipelago greco. Ombre autentiche che in fondo riconoscono il loro destino, se n’imbevono e lo portano a compimento. Le due giovani incarnano il proposito della realtà quando gli dèi vi gettano sopra meraviglie. Meraviglie loro stesse, di cui s’incanta Osborne inventandole e innamorandosene. Animali bellissimi, caratteri atroci, tutto ciò che questo scrittore ha conosciuto e assimilato in Estremo Oriente ha saputo consegnare alla stretta attualità (la migrazione mediterranea) dove ancora allignano fatti mondani in via di estinzione, e dove la giovinezza per altre vie inevitabilmente giunge alla catastrofe.