Ohio, titolo quanto mai ambizioso, è il primo romanzo di Stephen Markley, autore giovane e come tanti altri emerso da una scuola di scrittura, nel suo caso dell’Iowa. L’editore Einaudi ha supportato con una campagna abbastanza intensa l’uscita di questo libro, concomitante con la fine del primo lockdown in Italia nel maggio di quest’anno.
In altre recensioni ho letto accostamenti a Jonathan Franzen, autore nordamericano in grado di raccontare lo scarto tra realtà e apparenza nella middle class statunitense – d’altronde le differenze fra i due autori a mio parere sono evidenti, ed escluderei ogni tipo di paragone. Franzen critica, o comunque sottolinea, la crisi di un determinato ceto sociale di cui lui fa parte la media borghesia che ha studiato, che ha cultura elevata e spesso ottime retribuzioni, figlia diretta del secondo Dopoguerra, aderente a precisi dettami ideologici e politici. La critica arriva da molti scrittori, da Dave Eggers a Jonathan Lethem, A.M. Homes e a tratti Richard Powers, la cui età ha superato i cinquant’anni. Nel caso di Franzen la dissoluzione del suo mondo di provenienza è causa del logoramento dei legami familiari, primo tra tutti la relazione primaria tra genitori e figli, con uno sforamento eccessivo nel non detto, nel sottinteso, nei tabù che portano alla scarsa comprensione reciproca: si tratta di generazioni distanziate dalla rapida evoluzione della società civile, idealmente sempre più connessa ma di fatto isolata e desolata.
Markley non allude a tutto questo, in Ohio non ci sono legami parentali danneggiati o dominati dall’incomprensione. Gli unici ancoraggi verso cui tendono i quattro protagonisti sono quelli familiari: ciascuno in modo proprio e spesso inadeguato, ma tanto tangibili da apparire reali anche dal punto di vista fisico e pratico. La disconnessione raccontata da Markley pervade invece le sfere personali dei personaggi adagiati sul treno che li sta portando lontano, verso una destinazione ignota e non raccomandabile.
C’è chi – Stacey – rimane lontana dalla città di New Caanan, epicentro della storia, perché lesbica dichiarata e inserita nel cursus honorum universitario.
C’è chi – Tina – rimane lontana da New Caanan perché vittima di abusi adolescenziali e non più in grado di avere una relazione stabile con il partner, proprio perché toccata a fondo da episodi sessualmente violenti e mai descritti dall’autore.
C’è chi – Dan – rimane lontano dalla città e dai propri genitori perché imbarazzato dalle ferite fisiche e mentali che la guerra gli ha inflitto, un disagio palpabile nel terzo capitolo del romanzo in cui si avvertono gli echi di una guerra tanto inutile quanto dannosa per alcuni gruppi di statunitensi, soprattutto per coloro che non hanno potuto sbarcare il lunario e sono stati costretti ad arruolarsi. Giunti nella rete di una guerra ingiustificabile per alcuni, e tutto il contrario per certe élite. Stona parzialmente la prima parte dedicata a Bill in cui appaiono traffici loschi e vagamente intessuti di atmosfere in stile Breaking Bad, non proprio esaltanti forse a causa della poca dimestichezza dell’autore verso certe abitudini.
Markley è autore fine e intelligente, porta a conclusione ogni storia aperta comprese le sottotrame che rendono questo romanzo coinvolgente per un pubblico attento e intellettualmente onesto di fronte al fallimento conclamato del sistema-USA, di cui l’amministrazione Trump rappresenta, non ultimo, uno dei tanti episodi negativi. Da sottolineare la parziale somiglianza, ma d’esiti diversi, con la recente serie Friday Night Lights, sorta di docufiction sulla squadra di football alla scuola superiore di Dillon in Texas. La squadra rimane l’emblema di una cittadina che vive alti e bassi di una stagione sportiva come se ne andasse della propria salute economica e mentale, influenzando la vita di tutti gli abitanti, anche i più distanti e meno interessati allo sport. Se la squadra, costruita su legami forti e insondabili, sembra essere un buon antidoto alla solitudine e alla fine della giovinezza, in Ohio la fine della scuola superiore segna l’inizio non solo dell’età adulta, con il suo corredo di responsabilità improvvise, ma la ricerca del famoso posto nel mondo. Traguardo che non sembra nei destini dei protagonisti, né un miraggio per i milioni di ex-giovani posti di fronte alle stragi silenziose di una civiltà imperialista e vuota, interamente legata ad affari e finanza, scevra di cause e utopie in cui credere.